Se qualcuno dovesse chiedermi come sia stato il periodo universitario per me, risponderei che è stato stressante, ansioso e mi ha fatto più volte dubitare delle mie capacità. Ma se me lo chiedesse in un momento di debolezza, risponderei che è stato il periodo che mi ha fatta crescere di più come persona.
Ieri mi sono laureata in Studi Italiani ed è ufficialmente finito il capitolo della mia vita in cui considero me stessa una studentessa (nonostante stia già frequentando un master per l’insegnamento, è diverso dal dover andare a lezione e presentarmi agli esami). Per cui, visto che sono una persona poco drammatica (letteralmente sulla mia torta di laurea c’era scritto “Laureata in drammi e tisanine”), condivido sul mio amato blog – che spero di poter riprendere a utilizzare alla fine di questo percorso non semplice – una considerazione finale.
La fine del capitolo del periodo universitario
[L’università] mi ha permesso di imparare che ho dei limiti, che la salute mentale è importante e che, se non curata, se trascurata, può portare a scelte tragiche per tante persone.Quando mi sono laureata in Triennale, ho dedicato la mia tesi a tutte le persone che non ce l’hanno fatta e che hanno vissuto l’università come un Inferno, e questo mi ha permesso di entrare in contatto con tantissime persone che mi hanno raccontato la loro esperienza e mi hanno aiutata a maturare un pensiero abbastanza profondo: per quanto durante il periodo universitario ti sforzi di vivere al meglio, la gran parte di noi ci sopravvive e basta, per poi trovarsi catapultato nel mondo del lavoro senza una reale esperienza, senza le capacità necessarie per potersi davvero mettere in gioco, ma possiede solo la teoria.
In particolare, per quanto ci sentiamo soli, non compresi, per quanto la cultura della fretta e tutti i giornali alla ricerca del click scrivano degli “studenti prodigio” per poi, pochi articoli dopo, scrivere dell’ennesimo studente che si è suicidato, in realtà non siamo soli. Non siamo soli perché ci sono fin troppe persone che si sentono esattamente come ci sentiamo noi, che provano le stesse emozioni e vorrebbero urlare e piangere tanto quanto noi. Per cui parlatene, denunciate un sistema che non funziona e non abbiate timore di essere giudicate.
Solo quando ho parlato, non mi sono sentita più sola e ho compreso che il problema non ero io, ma tutto quello che mi aveva circondata per anni.
Questo periodo mi ha insegnato che anche chi in classe sembra più preparato, alza sempre la mano e fa di tutto per farsi notare, nel giorno dell’esame può provare ansia, e mi ha permesso di empatizzare e comprendere che anche chi sembra perfetto, in realtà possiede le mie stesse fragilità.
Mi ha anche insegnato, però, che ci saranno colleghi che non guarderanno mai al di là del proprio naso: se ce la fanno loro, con il sostegno economico dei genitori, la casa a due minuti dall’università e nessuna necessità di guadagnarsi da vivere, ce la devono fare tutti, anche quelli che sono costretti a scendere in piazza a manifestare perché una casa non la trovano e la Regione non dà alloggio a chi è idoneo (ma non beneficiario a causa di una mancanza di posti letto) al dormitorio studentesco per ISEE basso.
Questi sette anni mi hanno fatto capire che ci sono docenti che insegnano per trasmettere la propria passione agli studenti, e altri che lo fanno per un senso di megalomania, per sentirsi potenti e forse perché a loro è stato insegnato così: lo studente è inferiore e tale si deve sentire. Mi ha insegnato anche che l’esperienza internazionale è fondamentale per uscire da questa mentalità in cui lo studente è inferiore, deve penare per superare un esame ed è normalissimo che lo provi diciassette volte.
L’Erasmus ti cambia la vita perché ti fa rendere conto che la normalità universitaria non è quella italiana, ma è parlare tranquillamente con docenti appassionati che fanno di tutto per rendere i corsi interessanti per gli studenti, che sono colleghi, non menti da riempire con nozioni che dimenticheranno pochi giorni dopo l’esame.
Questo periodo mi ha insegnato che alla politica attuale non interessa davvero dei giovani, che più diventa difficile il percorso accademico, più le loro tasche si riempiono. Perché se uno studente appassionato vuole insegnare, deve fare triennale, magistrale, un percorso di 60 CFU (che equivale a un master), il tirocinio e chiaramente deve anche fare delle lezioni di prova. E il tirocinio è principalmente osservazione, la stessa osservazione di quei docenti che aspettano semplicemente la pensione perché non ce la fanno più e perché le generazioni sono cambiate, e come cambiano le generazioni dovrebbe cambiare anche il modo di insegnare.
E in tutto ciò: paga il master €2500, paga l’affitto, paga le tasse, paga la spesa, paga tutto. Però se vuoi essere un ministro italiano, va bene anche il diploma [e sia chiaro che non ritengo la laurea sinonimo di intelligenza, semplicemente la mia è una critica al sistema che aggiunge CFU su CFU quando basterebbe creare una facoltà o almeno un curriculum indirizzato a chi vuole insegnare].
L’università mi ha insegnato che per quanto ti dicono che “è il periodo più bello della tua vita”, tu non ci crederai mai abbastanza. Come può essere il periodo più bello della mia vita se ho attacchi di panico prima di un esame, non dormo la notte per l’ansia e temo costantemente che un docente mi umili davanti a tutti? E non può esserlo neanche se queste cose non le provo io, ma sono circondata da persone che le provano. Sicuramente, però, l’università – insieme a mia madre e alla rappresentanza studentesca – mi ha insegnato che per quanto una persona urla e sbraita, più cerca di umiliarti, più cerca di buttarti giù, più tu devi ridere.
Devi ridere perché è una persona piccola piccola e tu hai modo di crescere e migliorarti, ma lei resterà sempre quella persona che ha cercato di umiliarne una trent’anni più piccola di lei.
Non dirò mai che l’università è stato il periodo più bello della mia vita: dirò che ESN Perugia ha reso il periodo dell’università il più bello della mia vita, dirò che l’esperienza internazionale mi ha permesso di vivere al meglio i restanti anni dell’università, dirò sempre che l’Uniba non è un’università adatta agli studenti, ma per docenti che hanno bisogno di far accrescere il proprio ego, e dirò anche un immenso grazie ai docenti Unipg di Studi Italiani che insegnano con passione e dedizione nei confronti degli studenti, sempre con un sorriso sulle labbra e cercando di far sentire a proprio agio i propri alunni durante gli esami.
Infine, ho capito, rispetto alla triennale, che se trovi un gruppo di amici con cui vivere questo inferno, camminarci all’interno è molto più piacevole, e non è un dono che tutti riescono ad avere.
Perciò, a chi mi chiede o mi chiederà com’è stato il periodo universitario per me, dirò che è stato un inferno, che ho avuto attacchi di panico, crisi d’ansia e di pianto, ho avuto giornate o settimane in cui ero rintanata in casa e non avevo alcun desiderio di uscire. Ma dirò anche che è stato il momento in cui ho conosciuto me stessa per la prima volta e ho compreso la persona che volevo e non volevo essere.
Giulia, 26 anni, laureata in Filologia Italiana con una tesi sull’italiano standard e neostandard, “paladina delle cause perse” e studentessa di Didattica dell’Italiano Lingua non materna. Presidente di ESN Perugia e volontaria di Univox. Amo scrivere, leggere, guardare serie tv e anime, i gatti e seguire le giuste polemiche.
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