Mi dispiace Jacopo e Angelo: per insegnare non basta la “costanza”

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Professori a 19 anni: la storia di Jacopo e Angelo, orgoglio e speranza dell’educazione italiana“, “A soli 19 anni vincono il concorso, ecco chi sono i due docenti tra i più giovani d’Italia“, “Docenti di ruolo a 19 anni, sindaco ‘sono motivo di orgoglio’” e tante storielle che vengono raccontate piuttosto che denunciare quanti docenti precari ci siano e quanti studenti siano costanti ma non possano permettersi di pagare €2500 per acquistare i 60 CFU (che servono per poter accedere ai concorsi di materie più teoriche come matematica, italiano, storia, fisica, latino…). In effetti, lo sappiamo, ai media italiani piace fin troppo raccontare le storie delle eccezioni o delle eccellenze, ma le voci della maggioranza non fanno evidentemente troppo rumore.

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Partiamo dal presupposto che se Jacopo e Alessio son riusciti a diventare docenti a 19 anni, possiamo esser solo felici per loro che non hanno effettivamente avuto bisogno di ottenere una laurea triennale, magistrale e poi i 60 CFU di cui la metà di tirocinio (osservazione, più che tirocinio) per poter SOLO accedere al concorso. Di questo loro non hanno chiaramente alcuna colpa e hanno fatto benissimo a cogliere la palla al balzo prima che il governo decida di rendere impossibile accedere anche all’insegnamento degli ITP – tanto si sa che il lavoro più semplice a cui accedere senza laurea è quello del ministro del governo.

Quello che verrà criticato in quest’articolo sono in primis i media (siamo passati dai laureati ai docenti in tempo record, ma mai che si parlasse di tutti gli altri che si trovano a dover scalare il monte Everest solo per lavorare), e poi parleremo di quello che ha detto uno dei due o entrambi (onestamente dall’intervista del Corriere non si comprende): «Mai arrendersi. Se si fallisce una volta, bisogna riprovare. La costanza premia sempre». Ma iniziamo da chi sono Jacopo e Alessio, che oltre a essere protagonisti di un articolo del Corriere, sono anche riusciti ad attirare l’attenzione dell’Ansa (che, per chi non lo sapesse, è l’Agenzia Nazionale Stampa Associata), prima agenzia di informazione italiana.

Entrambi 19enni, entrambi diplomati nel 2023 all’Istituto tecnico di Informatica e Telecomunicazioni “Marco Tullio Cicerone” di Sala Consilina, in provincia di Salerno. Pochi mesi dopo partecipano al concorso per insegnamento e diventano docenti tecnico-pratici, uno all’Istituto Vittone di Chieri e l’altro all’istituto Europa unita di Chivasso. Angelo racconta di come sia un vantaggio essere così giovani, in quanto vicini all’età degli stessi studenti, e possiamo solo concordare: peccato che per altre materie non puoi sognare neanche di affrontare il concorso prima di una laurea magistrale e quindi prima di cinque anni post diploma (sempre che tu riesca a scrivere una tesi magistrale, riuscire a rientrare nei 60 CFU, studiare e fare il tirocinio nel mentre).

Jacopo e Angelo: magari bastasse non arrendersi!

C’è un articolo in particolare che parla di Angelo e Jacopo come “orgoglio e speranza dell’educazione italiana“. Nello specifico, leggiamo: “In un sistema scolastico spesso criticato per la sua rigidità e lentezza nel riconoscere il merito, Jacopo e Angelo dimostrano che con sacrificio e dedizione si possono raggiungere obiettivi significativi“. Ma di quale sacrificio e dedizione stiamo parlando? I due giovani docenti sono stati fortunati perché a 19 anni sapevano già di voler diventare insegnanti e hanno avuto la fortuna di non essere appassionati a materie per cui il sistema scolastico è (non “criticato“, è) rigido e lento, ma per cui basta un diploma.

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Perché, cari media italiani a cui piacciono davvero tanto queste storielle, per diventare docente oggigiorno serve ottenere una laurea triennale e una laurea magistrale, e non finisce qui. Di recente, forse vi siete persi questo dettaglio, è stato aggiungo il PF60 CFU, che prevede l’apprendimento spesso di materie già studiate durante il percorso universitario ma che sei costretto a sostenere una seconda volta perché da quel sudato percorso puoi convalidare massimo 12 CFU (per intenderci, uno o due esami), e poi c’è quel tirocinio che consiste principalmente nell’osservazione di docenti di ruolo che, ahimè, spesso utilizzano metodi di insegnamento ormai obsoleti.

E finisce qui, poi? Oh no. Sempre presupponendo che tu riesca a iscriverti ai 60 CFU (il costo può arrivare fino a €2500, senza borsa di studio e sono a numero chiuso), poi devi fare la lezione di prova e se non la superi devi rifare da capo tutto il percorso. E se non la superi ancora… Niente, non puoi essere docente, non importano i minimo 9 anni di studio, cambia percorso e rinuncia ai tuoi sogni. Ma se la superi, poi sei docente! E invece no. Poi inizia la battaglia del concorso, del precariato, delle MAD, del “non ci servi più” detto da un giorno all’altro senza la certezza che nei mesi dopi avrai di nuovo un lavoro.

Quella di Jacopo e Angelo non è la testimonianza che le critiche al sistema scolastico siano insensate, ma forse dovrebbe far riflettere su come, dopotutto, pensare a un curriculum non dico triennale ma almeno magistrale che abiliti direttamente all’insegnamento (per intenderci, come Scienze della Formazione Primaria) non sarebbe male e permetterebbe a più giovani studenti appassionati come i due ragazzi di iniziare a lavorare e a non essere costretti a spendere soldi su soldi (perché i 60 CFU questo sono, un modo per fare arricchire le università) per poi attendere un concorso e sperare di poter lavorare.

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Quindi mai arrendersi, la costanza premia sempre, sacrificio e dedizione detti dopo pochi mesi fuori dalle scuole superiori un grandissimo paio di palle. Parlate con chi ha dovuto rinunciare a questi sogni a causa di un governo che ha deciso di approvare un DPCM che rende più complesso (anche solo a livello economico) diventare docente rispetto a ministro dell’Istruzione o dell’Università o persino del Primo Ministro dello Stato Italiano. Parlate con chi ha subito le università italiane con tanta teoria e nessuna pratica. Parlate con chi non si è ancora arreso dopo anni e anni, con chi è stato costante e ha fatto tanti sacrifici, ma non è servito a nulla.

Parlate con chi non è un’eccezione, ma la quotidianità.

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