Polonia: istituito il superprocuratore antiaborto, divorzio e LGBT

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Quando abbiamo scritto che in Polonia non poteva andare peggio, evidentemente è stata presa come una sfida, perché il paese più omofobo dell’Europa ha deciso di introdurre la figura del superprocuratore, per perseguitare tutti i cittadini accedendo ai dati personali, criminalizzando le donne che abortiscono punendole con 25 anni di carcere (e persino chi ha un aborto spontaneo sarà incarcerata per 5 anni). Ma non solo. Il Parlamento sta approvando l’Istituto per la famiglia e la demografia, per scoraggiare divorzi e disgregare le famiglie arcobaleno.

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È davvero angosciante dare questa notizia, soprattutto perché nessuno sta cercando di fare nulla di concreto per mettere in salvo quelle persone. E con “nessuno” non intendo le associazioni umanitarie che, per quel che possono, stanno invece cercando di far spargere la voce, ma proprio dell’Unione Europea che evidentemente non sta facendo, o forse non può, fare abbastanza. Mentre i diritti delle donne e delle famiglie non eterosessuali in Polonia vengono distrutti, su Twitter e su Instagram si parla di Spotify Wrapped da due giorni. Facciamo un recap di quello che è successo in Polonia nell’ultimo anno, per quanto riguarda le donne e la comunità LGBT.

Che succede in Polonia?

L’aborto

Lo scorso anno, quando la Polonia ha deciso di rendere ancora più restrittiva la legge già di per sé restrittiva sull’aborto. Lo Stato di Duda, infatti, aveva già una delle leggi sull’aborto più restrittive: basti pensare che c’erano meno di 2000 aborti legali ogni anno. Diciamo legali perché, ovviamente, chi ne ha la possibilità si reca all’estero o, purtroppo, si sottopone a interventi illegali e che potrebbero mettere in pericolo la donna. Tanto che, le organizzazioni femministe hanno fatto una stima di quanti aborti ci siano effettivamente: circa 200.000.

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«La Corte costituzionale ha presentato una motivazione scritta della sentenza sulla protezione della vita. Conformemente ai requisiti costituzionali, la sentenza è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale», ha annunciato il Governo polacco, senza se e senza ma, vietando quindi ufficialmente l’aborto. Il testo è stato pubblicato a fine gennaio e, da quel momento, le donne sono scese nuovamente in piazza. Più delle scorse volte, più arrabbiate e con più volontà di far rispettare se stesse e i propri diritti.

Tra l’altro, pensate un po’, la legge era stata già approvata a ottobre 2020 da Julia Przylebska, la Presidente della Corte costituzionale polacca, che ha lottato a lungo per far sì che le donne ottenessero sempre meno diritti. Pensate che, quando la legge che vietava l’aborto anche in caso di grave malformazione del feto e rendendola quindi legale solo se la madre rischiasse la vita o in caso di stupro o incesto, le proteste erano state così forti e massicce che avevano costretto il governo a rimandare tutto.

Se ricordate, qualche mese fa vi avevamo anche detto che l’aborto in caso di malformazione era quello più diffuso, di fatto, rendendolo illegale, è come se avessero ufficialmente reso illegale la pratica dell’aborto. In Polonia, quindi, una donna è costretta a fare nascere il suo bambino anche se nascerà morto, confermando lo Stato come quello con la legge sull’aborto più restrittiva in tutta Europa. Perché in Polonia la vita di un feto è più importante di quella di una donna.

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LGBT Free Zone

Per quanto riguarda invece le LGBT Free Zone, la storia è ancora più lunga e inizia quando più di un anno fa è stata introdotta la Carta della Famiglia polacca che però prendeva in considerazione solo la famiglia eterosessuale. Si sono aggiunte poi tante situazioni, come, ad esempio, i vescovi che volevano guarire gli omosessuali tramite delle cliniche create ad hoc. Il colmo lo si è però raggiunto con le LGBT-Free zones.

Cosa sono le LGBT-Free zones? Sono delle città o addirittura comuni conservatori che hanno firmato delle dichiarazioni negli ultimi tre anni affermando di essere «liberi dall’ideologia LGBT» oppure semplicemente sostenendo il «matrimonio tradizionale», insomma, in altre parole, essendo degli omofobi. A riguardo si è anche espressa a marzo scorso Ursula von der Leyen, Presidente della commissione europea, che in un tweet ha scritto «Essere noi stessi non è un’ideologia. È un’identità. Nessuno può portarcelo via», allegando la bandiera LGBT.

Per questo l’Unione Europea ha deciso di intervenire. «L’uguaglianza e il rispetto della dignità e dei diritti umani sono valori fondamentali dell’Ue, sanciti dall’articolo 2 del trattato dell’Unione europea. La Commissione utilizzerà tutti gli strumenti a sua disposizione per difendere questi valori», scrisse l’esecutivo europeo annunciando l’avvio della procedura d’infrazione. Insieme alla Polonia c’è anche l’Ungheria, che sicuramente non è messa meglio della prima.

Ma dalla Polonia arrivano delle lamentele da parte di Jan Duda, presidente dell’assemblea regionale di Małopolska con un’idea molto chiara sul non da farsi: «Alcuni barbari vogliono spogliarci dei fondi che sono cruciali per le nostre famiglie per vivere bene, ma questi sono soldi che ci meritiamo, non è una sorta di carità», ha detto il padre del Presidente, sostenuto anche dall’arcivescovo Marek Jędraszewski (è colui che in passato paragonò l’omosessualità alla peste nera) che durante un sermone domenicale ha affermato che «la libertà ha il suo prezzo. Questo prezzo include l’onore e non si puó comprare mettendo in svendita i propri valori, i nostri valori nazionali cristiani». 

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Il superprocuratore

Arriviamo quindi alla notizia di oggi, quella del superprocuratore. Marta Lempart, cofondatrice dello “Sciopero delle donne” che per mesi e anni è stata in piazza per lottare per i diritti delle donne polacche, ha parlato con La Repubblica, spiegando che adesso con questa figura «potranno sorvegliare le donne per capire se vogliono abortire o prendere la pillola del giorno dopo, perseguitare le famiglie arcobaleno, strappare i figli alle persone Lgbtq+, impedire divorzi. Stanno chiudendo il cerchio».

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Anche in questi giorni, le donne e tutte le persone capaci di comprendere la gravità di quello che sta facendo il governo polacco, divenendo una vera e propria dittatura in cui le donne non hanno il diritto di scegliere sul proprio corpo e in cui le persone vengono discriminate in base al proprio orientamento sessuale, stanno manifestando davanti alla sede del Pis, (Diritto e giustizia), il primo partito polacco che sta per approvare due leggi abominevole. Le proteste sono chiamate «non chiedermi il sangue» e i manifestanti sono stesi davanti alla sede coperti da lenzuola rosse.

Le leggi contro cui si lotta sono quelle che porteranno a un regime autoritario senza il minimo della privacy, con le donne che verranno incarcerate se decideranno di abortire, o anche se avranno un aborto spontaneo. Con le coppie in crisi che verranno rintracciate per evitare il divorzio, o le famiglie omogenitoriale che rischiano di vedersi privati del proprio figlio. Si chiamerà Istituto per la famiglia e la demografia, per scoraggiare divorzi, impedire aborti, disgregare le famiglie arcobaleno e, permettetemi, per abolire la libertà.

Quest’Istituto, «avrà accesso a tutti i dati personali dei cittadini mai raccolti dallo Stato polacco: dati medici, anagrafici, civili e penali, i dati scolastici, tutto», spiega Marta Lempart, che al momento sta subendo 83 processi di cui uno di questi potrebbe mandarla in carcere per otto anni. Per lei, questo è «un nuovo, micidiale attacco alle donne, alle minoranze, agli oppositori, alle persone Lgbtq+. L’Europa non può più stare con le mani in mano, deve agire. Queste leggi sono una provocazione, uno schiaffo in faccia anche all’Unione europea».

Il Presidente di quest’istituzione abominevole sarà Bartlomiej Wroblewski, esponente della fondazione ultracattolica Ordo Iuris. Proprio oggi si discuterà sull’aborto in Polonia. Irene Donadio, membro dell’associazione umanitaria International Planned Parenthood Federation European Network (Ippf), spiega a La Repubblica che «nonostante la morte di Izabel, la legge punta a punire le donne con 25 anni di carcere per aborto e 5 anni per aborto spontaneo», mirando a prendere come modello il Salvador, uno dei Paesi in cui le donne non hanno alcun diritto.

Fa molto pensare il fatto che la Polonia, dopo aver sconfitto prima il nazismo e poi il comunismo, adesso stia introducendo tramite la democrazia un nuovo regime totalitario, controllando i cittadini, reprimendo le minoranze e gli oppositori. Fa molto anche pensare che l’Unione Europea non stia facendo nulla di serio per salvare quelle persone. Fa pensare che, in contemporanea, in Ungheria il Parlamento dà il via libera al referendum sulla “legge contro la propaganda LGBT“.

Fa molto pensare che, nel frattempo, uno dei più grandi alleati italiani di questi due popoli europei, Matteo Salvini, abbia paragonato la GPA, la gestazione per altri, al nazismo, «un indegno supermercato», poiché si potrebbe «scegliere pure il colore dei capelli, quello degli occhi», di un bambino. Ma non ha detto neanche una parola di quello che sta succedendo nei paesi con cui voleva costruire un Rinascimento europeo. Vergogna Matteo Salvini, e vergogna a chiunque non abbia aperto bocca su questa situazione.

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