F1: “We Race As One” ma dopo Bahrain, Arabia Saudita e Abu Dhabi anche Qatar per 10 anni

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Il progetto “We Race As One” abbracciato dalla Formula 1 è nato per sostenere la battaglia che da quasi due anni il mondo si è ritrovato a combattere contro la pandemia di Covid-19, ma specialmente come iniziativa in difesa dei diritti umani per lottare contro ogni forma di discriminazione.

Abbiamo visto piloti inginocchiarsi a sostegno del movimento “Black Lives Matter“, criticare apertamente le leggi omofobe attuate dal primo ministro ungherese Viktor Orbàn, manifestare per aumentare la sensibilità sul tema del cambiamento climatico, diffondere il mondo del motorsport tra i giovani, e soprattutto le giovani, tramite borse di studio e presentazioni inclusive.

Poi, però, li abbiamo visti correre ancora una volta in Bahrain, e in Russia, e in Turchia. Li rivedremo presto anche a Jeddah e ad Abu Dhabi. Ma non solo. Quest’anno, dal 19 al 21 novembre, si disputerà il primo Gran Premio del Qatar di F1, con un contratto valido dal 2023 che marca così un appuntamento fisso per altri dieci anni.

“We Race As One” oppure “We Race As Money”?

Stefano Domenicali, CEO del Formula One Group si era dimostrato estremamente sicuro ad inizio stagione: “È importante che ciascun pilota comprenda l’importanza del proprio ruolo non solo come professionista, ma come uomo che ha a cuore ciò che lo circonda“.

È un vero peccato, dopo queste toccanti parole, che la F1 continui ad appoggiarsi a circuiti come il Jeddah Street in Arabia Saudita o il Yas Marina negli Emirati Arabi, ad Abu Dhabi, dove non si conosce il rispetto per i diritti umani, e dove la cultura motoristica non è nemmeno così largamente diffusa.

Non che questa postilla possa causare problemi, considerando che i costi dei biglietti rimasti invenduti sono già sopperiti dalle cifre esorbitanti che questi Stati pagano con gioia per ospitare Gran Premi di Formula 1 e non solo.

L’automobilismo è uno sport per ricchi, questo ormai lo abbiamo ribadito anche in seguito alla scoperta dei prezzi da capogiro per l’acquisto dei biglietti d’accesso al Tempio della Velocità, in vista del GP d’Italia 2021. Ma c’era ancora una flebile speranza nel sostenere che fosse uno sport a favore della battaglia per i diritti umani.

Domenicali è ancora fiducioso su questo punto: “Stiamo parlando di sport, stiamo parlando di una piattaforma che ha l’obiettivo di creare divertimento e unire le persone, e “Lo sport aiuterà e migliorerà la positività e i giusti valori in ogni paese in cui andremo. Poiché i riflettori della F1 sono così grandi che non puoi nasconderti“.

Nessuno si nasconde, il mondo è già a conoscenza di sufficienti violazioni di diritti in questi Paesi, tali da poter riscontrare un serio problema da non poter continuare ad ignorare.

Qatar e Arabia Saudita? Oggi l’approccio è quello di assicurarci che attraverso la F1, questi Paesi cambino. Non ci saranno scuse, nessun filtro. Non possiamo pretendere di cambiare dal giorno alla notte una situazione millenaria. Possiamo dar loro un’incredibile opportunità, che non possono sprecare. Direi che aiuteremo la comunità a cambiare più velocemente piuttosto che più lentamente“.

Ironico. Quando Orbàn si divertiva a proclamare leggi omofobe in Ungheria e a paragonare gli omosessuali a pedofili, il quattro volte campione del mondo Sebastian Vettel rischiava una squalifica per aver indossato una maglietta richiamante la bandiera arcobaleno della comunità LGBTQ+, con tanto di dicitura “Same Love” e mascherina abbinata, a causa del divieto di mostrare simboli politici o ideologici durante il pre-gara.

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Fonte: FormulaSpy

Cara FIA, dobbiamo essere noi a riferirti che sostenere i diritti umani non è un’ideologia di pensiero?

Qatar, Arabia Saudita e Abu Dhabi: le prime rigide normative

Il Gran Premio del Qatar è stato ufficializzato per il week-end dal 19 al 21 novembre 2021, al circuito di Losail, già noto al motomondiale dal 2004, costruito appositamente per ospitare la MotoGP. È stato firmato un accordo che renderà ricorrente il Qatar nel calendario della Formula 1 dal 2023, non più a Losail, ma in un circuito inedito.

La collaborazione avrà valenza di dieci anni, a mancare all’appello solo l’appuntamento per la prossima stagione.

Nel frattempo, però, in Arabia Saudita i lavori si dimostrano strepitosamente in ritardo: con un circuito ancora in via di definizione, comunque non mancano ad arrivare le prime imposizioni da dover rispettare per potersi garantire l’ingresso nel paddock.

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Fonte: Daily Muslim

È stato annunciato quale “dress code” dovrà essere rispettato. Come predisposto dall’immagine soprastante, sarà impossibile per gli uomini indossare calzoncini corti, e per le donne vestiti scollati con braccia e gambe (fino alle ginocchia) scoperte, nonostante le elevate temperature. Non sarà possibile nemmeno sfoggiare alcun make-up sul volto.

Non basta mostrare un arcobaleno

Non ci saranno scuse. Nessun filtro“.

Possiamo dar loro un’incredibile opportunità, che non possono sprecare“.

La F1 è convinta di poter cambiare il mondo con un hashtag e qualche arcobaleno.

Purtroppo non bastano belle parole preconfezionate per i giornalisti, quando in Qatar una donna ha bisogno dell’approvazione di un uomo per studiare all’estero, sposarsi, lavorare in posizioni pubbliche, viaggiare, ricevere cure legate alla sua salute riproduttiva, abortire. Non può sottrarsi ad un rapporto sessuale con il proprio marito senza una ragione “legittima” e non può diventare la principale responsabile dei suoi figli dopo un divorzio.

Non bastano quando in Arabia Saudita la libertà d’espressione, associazione e riunione pacifica vengono represse con molestie, arresti e persecuzioni per coloro che difendono i diritti umani.

Non bastano quando negli Emirati Arabi le persone appartenenti alla comunità LGBTQ+ sono legalmente perseguibili perché considerate alla stregua di criminali. In Arabia Saudita si rischiano fino ad un massimo di quattordici anni di reclusione, in Qatar la pena di morte.

Non bastano quando in Bahrain si sono manifestati più di mille casi di gravi abusi umanitari da parte della polizia del Ministero dell’Interno, in soli sette anni, in un Paese che non conta nemmeno due milioni di abitanti.

Non bastano quando in Turchia il presidente Erdoğan lascia la Convenzione di Istanbul, trattato che si esprime contro ogni forma di abuso e violenza sulle donne, volto a prevenire l’impunità dei colpevoli e favorire la protezione delle vittime.

La sbiadita promessa di portare la tanto agognata differenza non basta più.

Ron Dennis, ex team principal della McLaren, diceva sempre che una scuderia, per approdare in F1, ha bisogno di un budget di 90 milioni di sterline, e per essere competitiva altri 100.

Questo può solo farci immaginare quanto siano ingenti le somme necessarie ad allestire un Gran Premio.

Infatti, la Formula 1 può contare sull’appoggio di sceicchi e colossi petroliferi, ma in tali condizioni non può pretendere di difendere i diritti umani.

Per il momento possiamo solo darvi appuntamento a stasera per il GP degli USA dalle 21:00 in diretta TV su Sky Sport F1 HD, Sky Sport Uno e in live streaming su SkyGo e NowTV. Su TV8, invece, trovate la differita disponibile dalle 23:00.Cliccate qui se volete seguirla direttamente dal vostro dispositivo.

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