Qualche settimana fa era scoppiato il caso Malika, la ragazza cacciata di casa dalla madre che le ha augurato la morte. Inizialmente ha fatto tanto scalpore, poi è venuto fuori che la sua famiglia è musulmana e quindi in molti hanno cominciato a giustificare la madre dicendo che il DDL Zan non serve perché non sono cristiani (cosa?!). Il caso di Arezzo di cui vi parliamo oggi, però, coinvolge solo una famiglia italiana e cristiana, per cui quali sono le giustificazioni che troveranno gli omofobi?
Dicono che il DDL Zan non serve poiché esiste già l’art.62 del codice penale (che però non obbliga un giudice a dare l’aggravante, è questa la differenza che Simone Pillon non ha sottolineato nei suoi tanti post); dicono che è liberticida (quando l’art.4 del disegno di legge sottolinea come siano esonerate le idee politiche); dicono che in Italia non c’è un grave problema di omofobia e transfobia. Ma poi da Malika al ragazzo di Arezzo ci sono reazioni spropositate solo perché i propri figli amano qualcuno delle stesso sesso.
Forse alcune famiglie preferiscono che un figlio uccida piuttosto che, semplicemente, nel modo più puro possibile, ami. Ci fa tanto pensare al caso di Maria Paola, uccisa dal fratello che non sopportava che la sorella fosse fidanzata con un ragazzo transgender. Sorella che, a causa sua, non è più in vita e non potrà amare più nessuno. Il ragazzo di Arezzo ha voluto parlare con La Repubblica di quel che ha dovuto sopportare dopo il coming out, e noi ve lo riportiamo qui.
Arezzo: preso a calci e pugni da mamma e zio
Il ragazzo di Arezzo ha preferito rimanere in anonimo, ma, seguito dall’avvocato Antonio Panella, ha voluto condividere la sua storia in modo da aiutare le persone, le tante persone, che si trovano nella sua stessa condizione, come avevamo visto le scorse settimane con la giovane Malika. In Italia il problema dell’omofobia non è da sottovalutare e, in questi giorni, anche con la storia di Fabiana, la ragazza che non riesce a trovare casa perché transgender, ne abbiamo avuto solo la conferma. C’è bisogno di un disegno di legge che tuteli tutti. C’è bisogno del DDL Zan.
«Quando ho raccontato a mia madre e a suo fratello di essere omosessuale sono stato offeso, preso a calci e pugni e aggredito con una bombola del gas. Mia madre mi ha tolto le chiavi di casa, mio zio ha distrutto il computer dove tenevo tutti gli appunti dell’università. Ho trovato la forza di andare via di casa con l’aiuto di mio padre e oggi mi ritrovo una denuncia per maltrattamenti in famiglia e lesioni personali sporta da mia madre», ha raccontato il 28enne di Arezzo a La Repubblica.
Il ragazzo risiede nel Valdarno aretino, ha 28 anni, è laureato ma cerca ancora lavoro, come tante giovani menti italiane. I suoi genitori sono separati, ma suo padre non gli ha mai fatto mancare nulla e, anche in questo caso, lo ha sostenuto. «Senza di lui non ce l’avrei mai fatta», dice, parlando del padre che gli ha dato la forza di andarsene da casa dopo essere stato picchiato in seguito al coming out.
Il colmo, però, è stato raggiunto quando è stato denunciato lui, ragazzo gay di Arezzo, dalla madre: «Mia madre non mi riconosce più come figlio, ha chiuso tutti i contatti e non mi aiuta economicamente. Addirittura io, dopo aver subito vessazioni di ogni genere, sono stato raggiunto da una denuncia per maltrattamenti in famiglia e lesioni personali che è proprio quello che pensavo di aver subito io. Non capisco come una madre possa fare una cosa del genere ad un figlio».
La signora, infatti, secondo quanto riferito dalla sua legale, non avrebbe mai picchiato il figlio, né lo avrebbe cacciato da casa. Ha giustificato il cambio della serratura, avvenuto a ottobre 2020, perché lei aveva paura di essere aggredita dal figlio, che lei ha anche denunciato. Il pm Marco Dioni si occupa del caso, mentre l’avvocato della donna ritiene che la sua assistita sapesse dell’omosessualità del figlio da sei anni, ma che non aveva mai fatto nulla.
Speriamo che la verità venga al più presto fuori e che, chiunque sia la vittima, che sia il ragazzo di Arezzo che ha raccontato la sua storia o la madre, possa ottenere la giustizia che merita.
Giulia, 25 anni, laureata in Lettere Classiche, “paladina delle cause perse” e studentessa di Filologia Italiana. Amo scrivere, leggere, guardare serie tv e anime, i gatti e seguire le giuste polemiche.
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