Malika, 22 anni, cacciata da casa perché omosessuale

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Proprio nel periodo in cui Lega, Fratelli d’Italia, Simone Pillon, esponenti della destra che vivono nel mondo delle favole, vogliono farci credere che l’omofobia in Italia non esista, che ci sono già delle leggi che tutelano dalle discriminazioni, che il DDL Zan è un modo per togliere la libertà d’opinione, proprio nella nostra bella Italia, Malika, 22enne di Castelfiorentino viene cacciata da casa dai suoi genitori, viene minacciata, le viene augurata la morte da chi la dovrebbe amare a prescindere da qualsiasi cosa.

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Fonte: Fanpage

A denunciare la brutta e omofoba storia di Malika è stato Fanpage con un video su Instagram, raccontando quello che la 22enne ha dovuto subire da quando, a gennaio, ha deciso di fare coming out con i suoi genitori, dicendo di essere fidanzata con una ragazza. Proprio quei genitori che dovrebbero amarti a prescindere da qualsiasi cosa, proprio quei genitori che magari sono pro alla famiglia tradizionale però poi cacciano un proprio figlio, sangue del proprio sangue, vietandogli di tornare a casa anche solo per recuperare i propri effetti personali con minacce di morte.

La storia di Malika ci fa comprendere quanto il problema dell’omofobia sia un problema serio, persino nel 2021. In Italia pensiamo di essere tanto avanti, pensiamo che qui l’omofobia non esista o che, comunque, siano eventi sporadici, pensiamo che la Costituzione, la legge tuteli tutti i cittadini, anche le minoranze, tanto che destra e non solo ritengono che non ci sia bisogno di un’ulteriore legge a tutelare le persone omosessuali. Vorrei tanto che lo dicessero a Malika, che lei non è importante.

Perché non approvare il DDL Zan significa questo: «tu, persona che vieni minacciata, a cui viene augurata la morte, che non hai più un tetto dove stare e solo per il tuo orientamento sessuale, per la tua identità di genere o per il tuo sesso, non sei un mio problema, non sei importante. Preferisco poter avere il diritto di dire frocio a chi voglio, di paragonare una donna a una bambola gonfiabile e soprattutto di prenderti a botte solo perché hai avuto il coraggio di essere te stesso, di avere una tua personalità, cosa che io non riesco e non potrò mai riuscire ad ottenere perché sono solo un omuncolo che odia la vita».

La storia di Malika, la cui unica colpa è avere una famiglia omofoba

Sono ormai mesi che Malika non ha più una casa, non ha più una famiglia biologica. A metà gennaio, dopo che ha fatto coming out con la sua famiglia con una lettera in cui confida di essere fidanzata e di amare una ragazza, sua madre le ha mandato 20 audio violenti, urlando, con minacce, vietandole di tornare a casa, costringendola a vivere nella paura. E, come se non bastasse, anche suo fratello ha messo il coltello nella piaga, schierandosi dalla parte dei genitori.

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Fonte: fanpage

«Se torni ti ammazziamo, meglio 50 anni di carcere che una figlia lesbica», «dì a quella faccia di merda che se l’acchiappo le levo il cuore dal petto e la sbrano in mille pezzi» e ancora «l’altra gente son fortunati perché i figli li hanno normali e solo noi s’ha uno schifo così», solo alcune delle minacce che Malika ha ricevuto da sua madre, dalla donna che l’ha cresciuta e che dovrebbe solo amarla a prescindere da tutto. E con a prescindere da tutto non dovrebbe neanche essere incluso l’amore per una persona dello stesso sesso. Dei genitori riescono ad amare anche i figli assassini, e queste persone non riescono ad accettare che la propria figlia ami?

Le hanno detto che è la rovina della famiglia, come se una famiglia del genere non si sia già rovinata da sola, come se ci fosse qualcosa da rovinare. Malika, forse, l’avrebbe solo migliorata quella famiglia, avrebbe portato del colore in tanto grigiore, in tanta tristezza. Perché una famiglia che caccia da casa il sangue del proprio sangue, che dice ai carabinieri di non conoscerla solo perché omosessuale, non può neanche essere definita una famiglia. Perché la famiglia è amore.

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Fonte: Fanpage

Hanno cambiato la serratura di casa per vietarle di tornare in casa e recuperare i suoi vestiti, le sue cose personali. Ma Malika, tra le lacrime, capisce che non è lei ad aver sbagliato, che non è lei l’errore: «per quanto possa amare una persona dello stesso sesso, non ho tolto nulla a nessuno. Non ho fatto mancare nulla a nessuno», ha detto la ragazza della provincia di Firenze a Fanpage.

Malika è anche andata a denunciare la sua situazione ai Carabinieri, ma dopo mesi e mesi ancora non ha risolto nulla. Ha chiesto l’aiuto delle forze dell’ordine non solo per riavere le sue cose, ma anche perché si sente in pericolo, soprattutto da parte del fratello (e questa situazione ci riporta alla tragica storia di Maria Paola, uccisa perché fidanzata con un ragazzo transgender) che le ha detto «vieni qui che ti taglio la gola» o ancora «hai una malattia che si chiama tumore perché stai con una ragazza».

Da quando la storia è stata condivisa da Fanpage, in tanti hanno inviato messaggi di solidarietà a Malika, molti hanno proposto di ospitarla, in molti hanno donato, e anche il sindaco Alessio Falorni ha voluto dirle di contattarla al più presto per cercare di darle una mano «con tutti i mezzi a mia disposizione». Continua poi: «Come sindaco non permetterò mai che a Castelfiorentino una persona possa essere discriminata in questo modo, cacciata di casa e trattata come un reietta solo perché innamorata di una persona dello stesso sesso. Ci sono dei valori e dei princìpi che vanno garantiti e difesi».

Questa situazione, la storia di Malika, ci fa capire quando l’omofobia sia davvero un problema, anche nella nostra Italia, nello stato dell’amore, in quella che punta sempre il dito ma che, forse, dovrebbe cominciare a vedere i seri problemi di odio che ha al suo interno. Perché come Malika ci sono tante altre persone che vivono questa situazione, e nel 2021 non è più concepibile. Approvate il DDL Zan, proteggete chi ne ha più bisogno, proteggete Malika.

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