Femminicidi: la storia di Alessandra Matteuzzi e Giulia Donato dovrebbero insegnarci a comprendere i primi segnali

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Alessandra Matteuzzi è stata una delle tante donne uccise lo scorso anno, è stata resa un numero, un dato, mentre Giulia Donato è stata la prima donna uccisa nel 2023. Cos’hanno in comune le due ragazze? Non solo il fatto di essere vittime di femminicidio, ma anche il fatto che entrambi i loro assassini hanno dato segni in passato delle loro intenzioni e di come la relazione fosse tossica e si sarebbe dovuta concludere quanto prima. Ovviamente, spesso chiudere una relazione non basta, tant’è che la stessa Matteuzzi aveva lasciato da mesi il partner, e tante donne vengono uccise da ex partner. Ma quando ci sono alcuni segnali, le donne vanno ascoltate, e aiutate.

Alessandra Matteuzzi aveva 57 anni ed era appassionata di moda, tanto da lavorare nel settore da anni in qualità di rappresentante di vendita di uno showroom con sede anche a Milano. Sul suo profilo Instagram, infatti, si vedono diverse foto in cui prova outfit, felice, libera. Giovanni Padovani, l’assassino, è invece un calciatore di 27 anni nato a Senigallia, in provincia di Ancona, ma che, per il calcio, vive a San Cataldo, dove gioca per la squadra cittadina. Pur di uccidere Alessandra, avrebbe abbandonato il raduno, preso un aereo e si sarebbe appostato sotto casa sua.

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Lei lo aveva anche denunciato a fine luglio, ed agli inizi di agosto era stato aperto un fascicolo in procura, con le indagini delegate ai carabinieri. Gli investigatori hanno avviato gli accertamenti e sentito diversi testimoni, inviando una prima informativa in Procura attorno alla metà di agosto, sebbene dovessero ancora ascoltare altre persone al momento lontane da Bologna per le vacanze. In più, qualche giorno prima di essere uccisa, Alessandra Matteuzzi aveva anche chiamato il legale per comunicargli che Padovani si era presentato ancora sotto casa sua.

Giulia Donato, invece, era una donna di 23 anni, una ex maestra d’asilo che ha dovuto sopportare la peggiore delle perdite, quella delle propria figlia (avuta da una relazione precedente) a un solo mese di vita. Era una figlia, era un’amica, ed è stata ridotta a essere solo unnumero, il primo numero di speriamo una non troppo lunga serie come gli scorsi anni. Un numero in una lista di vittime. Il suo assassino era una guardia giurata, Andrea Incorvaia, che ha ucciso lafidanzatacon l’arma che possedeva legalmente e che utilizzava per lavoro.

Femminicidi di Alessandra Matteuzzi e Giulia Donato: quando non ci si rende conto del pericolo

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Alessandra Matteuzzi si sarebbe potuta salvare? Dall’analisi dei telefoni dell’uomo che l’ha uccisa, il calciatore e modello reo confesso del femminicidio che si è consumato il 23 agosto scorso a Bologna, sotto la casa della vittima, sono emerse delle note davvero terrificanti. “La uccido“, si legge in uno degli appunti scritti un mese prima del femminicidio, giusto per dimostrare come il gesto non sia stata una “pazzia“, ma un vero e proprio omicidio premeditato.

Sul suo telefono, come già era emerso nei messaggi via chat alla donna e sui social, il 27enne accusava la ex di averlo tradito solo perché lei aveva deciso di lasciarlo, stufa proprio della sua gelosia ossessiva. In un appunto del 2 luglio 2022 si legge che l’uomo voleva uccidere Alessandra Matteuzzi «perché lei mi ha ucciso moralmente». «Vado in carcere», scrive ancora. Secondo l’autopsia del medico legale, l’assassino ha colpito la vittima con calci, pugni e martellate alla testa, al torace, braccia e gambe accanendosi su di lei per lunghi minuti, senza fermarsi nemmeno davanti alle urla disperate della donna che la stessa sorella ha sentito al telefono.

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Per Giulia Donato, la situazione non era poi così diversa. La sorella del killer, Valentina Incorvaia, racconta del periodo difficile che stava vivendo il fratello, descrivendolo come “sconvolto“: «Quel giorno ho provato prima a chiamare lui perché dovevamo fare delle commissioni. Poi, visto che non rispondeva alle mie continue telefonate, ho provato al cellulare di Giulia. Quando anche da lei il telefono squillava a vuoto, ho capito che era successo qualcosa di grave e mi sono precipitata in via Anfossi». L’uomo aveva intrapreso un percorso di psicoterapia, ma non aveva informato i datori di lavoro.

Anche nel suo caso, l’analisi delle chat è stata fondamentale in quanto ha fatto emergere diversi messaggi inquietante. «Se mi lasci, mi uccido», scriveva a Giulia. La famiglia e gli amici di lei raccontano di come avessero intuito che la storia fosse al capolinea, tuttavia «non avevamo percepito che fosse in pericolo, altrimenti ci saremmo attivati». Alessandra Matteuzzi e Giulia Donato si sarebbero potute salvare? Ma soprattutto: come possiamo salvare tutte le altre donne?

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