
Trento: professore dice frasi sessiste a una studentessa
Un episodio recente avvenuto in una scuola di Trento ha riportato al centro del dibattito pubblico il tema del sessismo nelle istituzioni scolastiche. Secondo quanto riportato da TrentoToday, una studentessa ha denunciato pubblicamente il comportamento sessista di un docente, che avrebbe rivolto nei suoi confronti commenti inappropriati. Questo episodio non è rimasto isolato: ha fatto emergere un malessere più ampio vissuto da molte ragazze all’interno del contesto scolastico, un ambiente che dovrebbe essere luogo di crescita, sicurezza e rispetto, ma che in troppi casi si rivela tutt’altro.

Le parole del professore di Trento nei confronti della sua studentessa
Secondo la testimonianza della studentessa, il professore avrebbe fatto allusioni e osservazioni di carattere sessista, umilianti e inadeguate, in un contesto che invece richiederebbe sensibilità, empatia e professionalità. La vicenda è emersa pubblicamente grazie al coraggio della ragazza, che ha voluto denunciare non solo per sé stessa, ma per tutte le giovani che subiscono episodi simili in silenzio. «Apri la bocca che ti metto il gettone», le ha detto il docente, portando le sue parti intime vicino al volto della minorenne. In più, sembrerebbe che in più occasioni l’avrebbe anche chiamata “amore“.
Il docente ha ammesso «di utilizzare un linguaggio volgare e “piccante” quando si sente esasperato», e nonostante questo e le speranze dei genitori della ragazza, la scuola non è ancora intervenuta con dei provvedimenti nei confronti del docente che, al momento, insegna ancora. Per questo motivo la famiglia della vittima ha scelto di diffidare la scuola. L’avvocata Parolari che segue la giovane ragazza ha scritto sia alla scuola che alla provincia di Trento, invitandoli a «fornire un immediato riscontro in merito. Con riserva, da parte dei genitori della studentessa, di agire nelle sedi civili e penali per tutelare i diritti della figlia».

Dal suo canto, l’istituto scolastico ha avviato accertamenti interni, ma intanto l’indignazione si è diffusa rapidamente, trovando eco nei movimenti studenteschi e nei media locali. L’episodio ha messo in luce una ferita più profonda: quella di una scuola che spesso non è attrezzata per prevenire, riconoscere e affrontare situazioni di discriminazione e violenza di genere, e questo perché viviamo con un governo che si rifiuta di prevenire le violenze, ma vuole solo punirle.
D’altronde, la scuola si è limitata a “richiamare” il docente in quanto, mettere le proprie parti intime vicino al volto di una minorenne, non sarebbe una “molestia“, ma solo “linguaggio inappropriato”. Siamo estremamente preoccupati da come questa scuola possa educare gli studenti al rispetto altrui, se i punti di riferimento solo docenti che hanno un “linguaggio inappropriato”, che però più che linguaggio inappropriato è una molestia. Quello che la scuola ha fatto è stato affiancare un altro docente a quello sotto accusa. Di fatti, quindi, lui continua a insegnare nonostante tutto, mentre la minorenne è terrorizzata al pensiero di incontrare ancora l’insegnante.
Le parole della madre della vittima
Parlando con TrentoToday, la madre della vittima ha affermato che sua figlia «continua a sentirsi esposta, sola, e in una posizione difficile. Ci è stato detto che il problema è stato risolto, ma il docente è ancora in classe e il disagio di nostra figlia persiste. Come madre, mi preoccupa profondamente il messaggio che sta ricevendo: che certe parole e atteggiamenti possano essere tollerati, sminuiti, o addirittura giustificati. Non è così che si educa al rispetto. Abbiamo scelto di parlare perché crediamo che la scuola debba essere un luogo sicuro, dove le ragazze e i ragazzi possano sentirsi tutelati».
«Minimizzare quanto accaduto non solo non protegge chi subisce, ma rischia di scoraggiare chiunque, in futuro, si trovi nella stessa situazione e decida di chiedere aiuto».
Tramite la sua avvocata, Valeria Parolari, ha anche criticato la gestione della situazione da parte della scuola, in quanto non sta tutelando sua figlia e quindi causando una «vittimizzazione secondaria, con effetti potenzialmente gravi sul piano psicologico, educativo e relazionale». «Ridurre comportamenti lesivi a un generico “linguaggio inappropriato” è un atteggiamento inaccettabile, che contribuisce a minimizzare la gravità dei fatti. Non si tratta semplicemente di parole fuori luogo, ma di una condotta che presenta tutte le caratteristiche della molestia. Il linguaggio, in questo contesto, è parte integrante dell’azione molesta: è uno strumento che può veicolare allusioni, intimidazioni, umiliazioni e che, soprattutto nei confronti di una persona minorenne, può avere un impatto profondamente lesivo sulla dignità e sul benessere psicologico».

Conclude, poi: «In un momento storico contrassegnato da gravi emergenze di violenza, non solo nei confronti delle donne ma in generale in una società sempre più segnata da aggressività e abusi, fatti di questo tipo vanno ostacolati e condannati con fermezza, tanto più se commessi da un docente, uomo adulto, nei confronti di una studentessa minorenne. E ancor di più da parte della scuola, che è — e deve restare — un presidio educativo, culturale e civile fondamentale nella nostra società».
Questo caso ci ha dimostrato come serva una scuola capace di prendere posizione, di stare dalla parte delle vittime, di educare al rispetto e alla parità. L’avvocata e la famiglia della studentessa non si arrendono. Continueranno a parlarne, a far sentire la propria voce, a cercare giustizia. Non vogliono che tutto venga insabbiato, né che resti impunito un docente che – più che trasmettere conoscenza – ha dimenticato cosa significa essere un educatore. Un docente che ha dimenticato cosa significa essere docente.
“Not all men”, certo. Ma troppo spesso, il colpevole è sempre un uomo. E troppo spesso, ancora oggi, a pagarne il prezzo sono le ragazze.
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Giulia, 26 anni, laureata in Filologia Italiana con una tesi sull'italiano standard e neostandard, "paladina delle cause perse" e studentessa di Didattica dell'Italiano Lingua non materna. Presidente di ESN Perugia e volontaria di Univox. Amo scrivere, leggere, guardare serie tv e anime, i gatti e seguire le giuste polemiche. Instagram: @murderskitty