Greenpeace sotto attacco: una causa da 660 milioni di dollari minaccia il futuro dell’organizzazione ambientalista

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Una delle più importanti organizzazioni ambientaliste del mondo è finita nel mirino di una gigantesca compagnia petrolifera. Greenpeace è stata condannata da una giuria del North Dakota a pagare oltre 660 milioni di dollari a Energy Transfer, società responsabile del contestato oleodotto Dakota Access. La causa, che inizialmente prevedeva un risarcimento richiesto di 300 milioni di dollari, rischia di avere conseguenze devastanti: Greenpeace USA potrebbe essere costretta a chiudere dopo oltre cinquant’anni di attività.

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La condanna rappresenta un grave precedente nella lotta per la giustizia climatica e la libertà di espressione. Secondo numerosi osservatori, si tratterebbe di una SLAPP (Strategic Lawsuit Against Public Participation), cioè una causa strategica il cui scopo non è ottenere giustizia, ma mettere a tacere le critiche e bloccare le attività di chi si oppone agli interessi delle grandi corporation. In questo caso, l’obiettivo sarebbe quello di indebolire un movimento globale che da decenni denuncia gli effetti dell’industria fossile sulla crisi climatica.

La lotta di Greenpeace: un attacco alla libertà di protesta

Greenpeace è conosciuta a livello mondiale per le sue azioni dirette nonviolente e per la sua capacità di portare l’attenzione su temi ambientali ignorati dalla politica e dall’industria. Nel corso degli anni ha contribuito a importanti vittorie ambientali: dalla protezione degli oceani alla tutela della biodiversità, fino al contrasto alla deforestazione. L’organizzazione è indipendente, non riceve fondi da governi o aziende e vive grazie al sostegno di cittadini e cittadine di tutto il mondo.

La gigantesca compagnia petrolifera Energy Transfer ha intentato una causa contro Greenpeace negli Stati Uniti e contro Greenpeace International per 300 milioni di dollari. E quello che più temevamo è accaduto: una giuria in North Dakota si è espressa a favore di una condanna che porterebbe Greenpeace a pagare oltre 660 milioni di dollari in questa causa pretestuosa. In un contesto in cui politici negazionisti della crisi climatica, come Trump o Milei, governano interi Paesi, la battaglia per il futuro del pianeta e dei suoi abitanti è in serio pericolo.

L’azione legale intentata da Energy Transfer arriva in un contesto politico particolarmente complesso. In diversi Paesi del mondo stanno guadagnando spazio movimenti e leader che negano l’esistenza della crisi climatica, come il presidente degli Stati Uniti Donald Trump o il presidente argentino Javier Milei. Il rischio, sempre più concreto, è che venga criminalizzata qualsiasi forma di dissenso ecologista e sociale.

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Una minaccia globale al movimento ambientalista

La condanna contro Greenpeace non colpisce solo un’organizzazione: è un segnale d’allarme per tutto il movimento ecologista e per chiunque si batta per i diritti umani, la giustizia climatica e la salvaguardia del pianeta. Se questa sentenza dovesse diventare un precedente giuridico, molte altre realtà potrebbero essere trascinate in tribunale con accuse infondate e richieste di risarcimento astronomiche. Si tratterebbe di un meccanismo potenzialmente in grado di mettere in crisi ogni forma di attivismo ambientale.

Il caso Greenpeace dimostra come le grandi compagnie petrolifere, forti di risorse illimitate, cerchino di ostacolare in ogni modo la transizione ecologica e di delegittimare chi ne denuncia gli impatti. Oltre a causare danni enormi agli ecosistemi e alle comunità locali, queste aziende provano ora a silenziare chi chiede giustizia e responsabilità.

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Trump ha già cancellato dai siti governativi americani la parola “cambiamento climatico”, ora il rischio è che venga cancellata anche Greenpeace. Aiutaci a continuare la nostra lotta! Non possiamo permettere che gli interessi economici delle grandi compagnie petrolifere e i deliri di onnipotenza di chi governa, mettano a tacere chi si batte per difendere il pianeta.

Le conseguenze: una battaglia che riguarda tutti

Mentre i governi faticano a rispondere all’emergenza climatica e a mantenere gli impegni dell’Accordo di Parigi, il ruolo delle organizzazioni indipendenti come Greenpeace si fa sempre più centrale. La loro capacità di mobilitare l’opinione pubblica, fare pressione sulle istituzioni e proporre alternative concrete è uno degli ultimi baluardi contro la crisi ecologica globale.

La condanna inflitta a Greenpeace è quindi molto più di una disputa legale. È una battaglia simbolica tra due visioni opposte del futuro: da un lato, un sistema basato sull’estrattivismo e sull’impunità; dall’altro, chi si impegna per un mondo equo, sostenibile e in pace con il pianeta.

In risposta alla causa, migliaia di persone in tutto il mondo stanno manifestando il proprio sostegno a Greenpeace attraverso una petizione internazionale, a testimonianza di come l’attacco a una voce possa accendere la volontà collettiva di non farsi mettere a tacere.

Giulia, 26 anni, laureata in Filologia Italiana con una tesi sull'italiano standard e neostandard, "paladina delle cause perse" e studentessa di Didattica dell'Italiano Lingua non materna. Presidente di ESN Perugia e volontaria di Univox. Amo scrivere, leggere, guardare serie tv e anime, i gatti e seguire le giuste polemiche. Instagram: @murderskitty

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