“Stop al genocidio” era un messaggio di pace, la solidarietà al governo israeliano e i manganelli no

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Reduci dall’attesissima 74esima edizione del Festival di Sanremo, ci siamo ritrovati a dover fare i conti con le conseguenze di uno “Stop al genocidio” sporcato di odio, e l’ignoranza di un indottrinamento che non permette di decodificare i messaggi della cultura dell’informazione.

“Stop al genocidio” era un messaggio di pace, la solidarietà al governo israeliano e i manganelli no

Il palco del teatro Ariston offre la scena a Ghali e al suo alieno Rich, mentre risuonano le parole di “Casa mia, brano che gli varrà un quarto posto e tante accese polemiche. Ma queste critiche sono macchiate dalla consapevolezza di essere responsabili di un sistema che riesce a giustificare l’alone di morte e repressione che opprime il popolo palestinese da 75 anni, non solo da quel fatidico 7 ottobre, quando quattro mesi fa la televisione cominciava a diffondere le immagini degli attentati di Hamas.

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Fonte: informazione.it

Quattro mesi fa noi di Cup of Green Tea scrivevamo: “Cup of Green Tea è dalla parte delle vittime palestinesi che da anni vengono uccise, picchiate e arrestate da Israele, ma non è dalla parte di Hamas che uccide e violenta delle persone innocenti. Cup of Green Tea non è mai dalla parte di Israele che per anni ha ucciso, picchiato e arrestato persone solo per il fatto che sono palestinesi, ma è solidale nei confronti di tutte le vittime innocenti“.

Oggi le testate giornalistiche sfruttano ogni appello a favore della Palestina come incomprensione degli attacchi di Hamas, reputando Israele unica vittima degli eventi che stanno coinvolgendo la Città di Gaza e non solo. Oggi la Rai si rende ancora una volta portavoce di una politica menefreghista dei diritti umani, alla quale risulta comodo convogliare solo le notizie che possono sedare gli animi dei cittadini. Oggi si parla di odio e discriminazione perpetuato da un artista che conosce bene queste due forme di disumanità, ma che trova ancora il coraggio di amare l’Italia.

Ma soprattutto, oggi una manifestazione di “Rete Napoli per la Palestina” si trasforma in un incubo. Il presidio era stato programmato per richiedere un intervento televisivo all’emittente nazionale, per spiegare anche il resto della storia che si tende a censurare in un Paese dove la libertà di parola è un diritto sancito dalla Costituzione. La polizia è intervenuta sul posto: 5 attivisti sono stati colpiti dai manganelli delle Forze dell’Ordine, altrettanti i poliziotti feriti nella colluttazione.

Fonte: Agenzia Dire

Questo perché Mara Venier, conduttrice di Domenica In, prima ha tolto la parola ad un altro concorrente del Festival, Dargen D’Amico, il quale ha portato sul palco di Sanremo un pezzo che pone l’attenzione sulla questione migranti (“Va bene, però qui è una festa, ci vorrebbe troppo tempo per affrontare determinate tematiche; qui stiamo parlando di musica e quindi chiedo scusa a tutti quanti“), e poi replica l’accaduto con Ghali.

Nel fuorionda la conduttrice dirà ai giornalisti: “Così mettete in imbarazzo me, non vi faccio parlare più, perché non è questo il posto per dire alcune cose“.

Non solo. Le viene chiesto di leggere un testo redatto da Roberto Sergio, amministratore delegato della Rai: “Ogni giorno i nostri telegiornali e i nostri programmi raccontano e continueranno a farlo, la tragedia degli ostaggi nelle mani di Hamas oltre a ricordare la strage dei bambini, donne e uomini del 7 ottobre. La mia solidarietà al popolo di Israele e alla Comunità Ebraica è sentita e convinta“. Venier sottoscrive ogni singola parola.

A commentare è anche l’ambasciatore di Israele in Italia Alon Bar: “Ritengo vergognoso che il palco del Festival di Sanremo venga sfruttato per diffondere odio e provocazioni in modo superficiale e irresponsabile“.

Questa la risposta dell’artista sotto accusa: “Mi dispiace che abbia risposto in questo modo, c’erano tante cose da dire. Ma per cosa altro avrei dovuto usare questo palco? Io sono un musicista prima di salire su questo palco: ho sempre parlato di questo fin da quando sono bambino. È da quando ho 13-14 anni che parlo di quello che sta succedendo nelle mie canzoni. Sono nato grazie ad internet e non è dal 7 ottobre che ne parlo, questa cosa va avanti già da un po’“.

Il fatto che l’ambasciatore parli così non va bene, continua la politica del terrore, la gente ha paura di dire stop alla guerra, stop al genocidio, stiamo vivendo un momento in cui le persone sentono che vanno a perdere qualcosa se dicono viva la pace. Ci sono dei bambini di mezzo: quei bambini che stanno morendo, chissà quante star, quanti dottori, insegnanti, quanto geni, ci sono lì in mezzo“.

Fonte: Vogue

Il sociologo Stuart Hall parlava di come l’uomo nella cultura dei media dovesse imparare a decodificare i messaggi che riceveva da questi, ma aveva individuato anche diverse reazioni, dove il modello definito come “egemonico dominante” mostrava lo specchio di una realtà odierna, con una maggioranza di persone che assorbe positivamente ogni messaggio, senza realmente decodificarlo, senza soffermarsi sul suo significato concreto. Questo modello era seguito dalla “versione negoziata”, dove la persona comprendeva in profondità il messaggio, ma agiva passivamente, non voleva modificare lo status quo. Solo una piccola parte, il “codice oppositivo”, comprendeva e reagiva a quel messaggio fuorviante promulgato dai media.

Uno “stop al genocidio” è stato reso strumento di odio, quando la condanna era rivolta al governo israeliano, e non era un supporto al terrorismo – nel senso più originale del termine – perpetuato da Hamas. E nel frattempo la cultura dell’informazione perde di valore, censurando i messaggi scomodi e sfruttando il megafono dei media per diffondere la parte di storia che più aggrada agli alti vertici soltanto.

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