Taj Mahal: storia di un amore eterno o di un’eterna bugia? – Una Tazza D’horror #43

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Il Taj Mahal rientra a pieno titolo fra le nuove sette meraviglie del mondo, ma la sua storia può avere due diverse chiavi di lettura: la prima, la più romantica, vede il sontuoso palazzo come simbolo di un amore eterno; l’altra, più cruda, come un tentativo di liberare la propria coscienza. Sarà quest’ultima ad essere protagonista di questo episodio di “Una Tazza D’horror“.

Taj Mahal: storia di un amore eterno o di un’eterna bugia?

Il grandioso palazzo, dalla bellezza inaudita, viene commissionato dall’imperatore moghul Shan Jahan, allo scopo di realizzare un mausoleo in onore della morte della terza consorte Arjumand Banu Begum, conosciuta poi come Mumtaz Mahal, “la luce del palazzo“. I lavori estenuanti dureranno ventidue anni, dal 1632 al 1654, lasciando ai nostri occhi quest’opera spettacolare, situata ad Agra, nella parte settentrionale dell’India, e riconosciuta dal 1983 come patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.

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Fonte: ELLE Decor

Controversa è la storia che accerchia la sua edificazione, tra mito e realtà, oggi raccontata dall’immaginario collettivo soltanto come una favola tra innamorati, culminata con la morte della donna, alla quale l’imperatore avrebbe voluto donare tale meraviglia. Ma pare che la vera storia, quella che persino le guide locali cercano di nascondere, sia un’altra.

Shan Jahan aveva già contratto matrimonio con due altre donne prima di incontrare Mumtaz Mahal, rendendola sua moglie e poi la sua favorita. In dieci anni, fu lei a concepire quattordici dei suoi figli, ma viste le condizioni dell’epoca non stranisce scoprire che otto di questi non raggiunsero l’età adulta. Le gravidanze, però, divennero troppe, e nonostante l’imperatore fosse al corrente dei rischi che correva sua moglie, questa rimase incinta ancora una volta.

Trovò la morte a causa del parto, quando le complicanze si erano già rese note da tempo, tanto da permettere alla donna di porre tre richieste nelle mani di Shan Jahan all’esalare del suo ultimo respiro: non sposare un’altra donna, prendersi cura dei figli ancora in vita, e onorare la sua morte con la costruzione di un’opera memorabile. E su questo non si può dire che l’uomo le mancò mai di rispetto.

D’altronde era rimasto vedovo di una sola delle sue donne, e possedeva (sottolineo il termine) almeno cinquanta concubine, obbligate a giacere con lui in qualsiasi condizione richiesta se non si voleva incorrere in punizioni anche peggiori: le immagini del kamasutra che disseminavano la residenza imperiale, rimosse soltanto di recente per non urtare la sensibilità dei turisti.

Fonte: Viator

Nessun nome doveva apparire ad identificare gli artisti che presero parte ai lavori di edificazione del Taj Mahal: il sontuoso palazzo doveva appartenere solo a Mumtaz Mahal, e beh, progettazione a parte, l’opera più pesante e minuziosa venne affidata agli schiavi dell’imperatore. Furono ventimila gli schiavi che lavorarono ogni giorno per la costruzione del mausoleo, mentre i materiali giunsero da tutto il mondo, donati da re e imperatori, portando comunque l’impero indiano a risentirne in termini finanziari. Costruito interamente in marmo, non mancano oro, lapislazzuli, ametiste, diamanti e altri decori preziosi.

Ma Shan Jahan non toccò soltanto la firma di architetti e artisti, sembra che abbia anche reso loro impossibile replicare tale opera, imprigionandoli o tagliando loro gli arti.

Dopo una rivolta scatenata per la successione al trono, il figlio Aurangzeb uccise il fratello e imprigionò il padre: Shan Jahan per quasi otto anni poté solo ammirare da lontano il Taj Mahal, prima di trovare anche lui la sua morte. Le due sorelle vennero risparmiate.

Fonte: Sharing the Wonder

Il Taj Mahal è conosciuto nel mondo con l’epiteto di “monumento dell’amore“, anche se chiunque abbia reputato romantica la sua storia, forse, non ne conosceva davvero i retroscena. Tra indiscrezioni di guide locali, podcast a tema e libri storici non poi così celebri, si può risalire a tutte queste informazioni che mi sembrano figlie della loro epoca, ma non certo un simbolo d’amore.

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