I bambini palestinesi detenuti nelle prigioni israeliane

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Negli ultimi giorni è stato pubblicato nelle varie pagine a sostegno della Palestina un video di un ragazzino di 12 anni che viene liberato dopo tre mesi e mezzo di detenzione in un carcere di un territorio occupato. Il nome del bambino, secondo eye.on.palestine che ha condiviso il video, è Mohammed Darwish. Online, tuttavia, non si trova alcuna notizia su di lui, ma non per questo la notizia deve essere per forza falsa: non è una novità infatti che le forze israeliane imprigionino bambini e minorenni palestinesi senza alcun motivo, e non solo. Molte donne vengono anche picchiate mentre sono imprigionate.

Qualche tempo fa abbiamo discusso di come Israele spaventi gli studenti in possesso di libri di storia palestinese. Questo è stato segnalato da diverse fonti, oltre che dal Comitato di Gerusalemme della Conferenza Popolare per i Palestinesi all’Estero. Il comitato ha condannato tramite il Quds Press il curriculum israeliano distorto che viene imposto agli studenti palestinesi nella Gerusalemme occupata. Questo è avvenuto a seguito della distribuzione di libri contenenti informazioni errate sulla Palestina e su Israele all’interno delle scuole Al Eman. Ma le preoccupazioni non si limitano a questo!

Un ulteriore esempio riguarda l’annuncio di Ben-Gvir su Twitter, in cui ha affermato di aver «chiesto alla polizia israeliana di far rispettare il divieto di esporre bandiere dell’OLP che mostrino un’associazione con un’organizzazione terroristica nello spazio pubblico e di fermare qualsiasi incitamento contro lo Stato di Israele». Il nuovo governo guidato da Benjamin Netanyahu ha proseguito con una politica ostile nei confronti dei palestinesi, cercando di ottenere una dichiarazione da parte del massimo organo giudiziario delle Nazioni Unite riguardo ai 55 anni di occupazione militare israeliana della Cisgiordania.

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Per conoscere le origini del conflitto Israelo-Palestinese, vi riporto a un nostro vecchio articolo, in cui, con l’aiuto di alcuni esperti di storia e geopolitica, e insieme ai video e alle immagini dei giorni contemporanei, cerchiamo di raccontare quello che una popolazione sta passando da tanto, troppo, tempo. Per la Palestina ci sono state delle persone che si sono schierate. C’è stata Bella Hadid, che è lei stessa palestinese, ma anche Emma Watson, che è persino stata attaccata e accusata di antisemitismo per la sua presa di posizione dall’ex ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, Danny Danon. Tuttavia, sono sempre pochi.

In passato, abbiamo portato alla luce anche il problema del razzismo perpetrato dai media. Abbiamo evidenziato come le guerre in paesi al di fuori dell’Europa vengano spesso normalizzate e come esistano diverse categorie di profughi: quelli di “serie A” e quelli di “serie B”. Abbiamo discusso del fatto che le fuggite quotidiane delle persone dalle zone di guerra spesso non suscitino un grande impatto mediatico o toccano profondamente il cuore delle persone, probabilmente perché non si adattano all’immagine stereotipata di “persone europee con occhi blu e capelli biondi”, come affermato dal Vice Procuratore Capo dell’Ucraina, David Sakvarelidze. La posizione assunta dall’Italia e dagli Stati Uniti, che hanno votato a favore, è testimonianza di questa realtà.

Mesi fa, il Ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid ha condannato l’attacco russo all’Ucraina, definendolo «una violazione dell’ordine mondiale». Egli ha sottolineato che Israele, che ha affrontato molte guerre, non considera la guerra uno strumento per risolvere conflitti. Il governo israeliano ha espresso il suo sostegno all’integrità territoriale e alla sovranità dell’Ucraina, ha dichiarato. Il premier, invece, ha affermato: «Come tutti, preghiamo per la pace e la tranquillità in Ucraina e continuiamo a sperare che il dialogo conduca a una soluzione. Questi sono momenti difficili e tragici, e i nostri pensieri sono rivolti ai civili che si trovano in questa situazione senza colpa alcuna». E la Palestina?

I bambini della Palestina arrestati dagli israeliani

Il video a cui facciamo riferimento è questo, e la didascalia recita: «Le forze di occupazione israeliane rilasciano il bambino di Gerusalemme Mohammed Darwish dopo 3,5 mesi di reclusione nelle carceri di occupazione». Il problema è che a Mohammed è andata persino bene, perché in questi giorni sono tantissimi i minorenni che sono morti a causa dell’esercito israeliano: Ramzi Hamid, 17 anni, ad esempio, è morto per le ferite riportate dalle forze di occupazione pochi giorni fa nel villaggio di Silwad, a nord-est di Ramallah.

Nel 2017 l’associazione a supporto dei prigionieri e dei diritti umani ha pubblicato un report sulla detenzione dei minorenni in Palestina: «circa 700 bambini palestinesi di età inferiore ai 18 anni provenienti dalla Cisgiordania occupata vengono perseguiti ogni anno dai tribunali militari israeliani dopo essere stati arrestati, interrogati e detenuti dall’esercito israeliano. L’accusa più comune imposta contro i bambini è il lancio di pietre, un reato punibile secondo la legge militare fino a 20 anni di carcere. Dal 2000, più di 12.000 bambini palestinesi sono stati detenuti».

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Nella pratica del sistema giudiziario militare, non sono previste procedure speciali di interrogatorio per i bambini detenuti dalle forze armate israeliane, e non sono stabilite disposizioni per garantire la presenza di un avvocato o persino di un familiare durante gli interrogatori dei minori. Spesso, la maggioranza dei giovani riferisce di aver subito abusi e di essere stati costretti a fare confessioni sotto costrizione durante questi interrogatori.

I soldati israeliani, durante l’arresto e l’interrogatorio dei bambini, spesso ricorrono a forme di maltrattamento quali schiaffi, percosse, calci e spinte violente. Inoltre, i bambini palestinesi sono regolarmente soggetti a insulti e abusi verbali. Nonostante le raccomandazioni del Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura risalenti a maggio 2009, che suggerivano la videoregistrazione degli interrogatori, finora non è stata adottata alcuna disposizione in merito. Tra l’altro, alcuni bambini palestinesi sono imprigionati nelle stesse prigioni degli adulti.

L’Ordine militare 1644, emanato il 29 luglio 2009, ha introdotto un tribunale militare appositamente dedicato ai bambini palestinesi, mettendo così fine a 42 anni di pratica in cui i minori di 12 anni erano processati negli stessi tribunali degli adulti. Tuttavia, l’ordine non affronta molte delle lacune che caratterizzano un processo equo nei tribunali militari per i minori. Queste carenze includono disposizioni insufficienti riguardo alle competenze dei giudici, assenza di protezioni aggiuntive durante gli interrogatori e un linguaggio discrezionale che conferisce al pubblico ministero un’ampia autorità per limitare le garanzie per i minori. Questo solleva dubbi sul fatto che il Military Order 1644 possa effettivamente apportare miglioramenti significativi alla tutela dei bambini palestinesi all’interno del sistema legale militare israeliano.

Anche Save the Children si è occupata dell’impatto del sistema di detenzione militare israeliano sui bambini palestinesi: «Save the Children chiede al governo di Israele di rispettare il diritto internazionale e di porre fine alla detenzione di bambini in base al diritto militare e al loro perseguimento nei tribunali militari. Inoltre, Save the Children chiede al governo di Israele di adottare misure immediate per adottare salvaguardie pratiche che migliorino il sistema esistente per quei bambini che sono attualmente in detenzione militare». «Inoltre, Save the Children chiede all’Autorità palestinese (AP) di garantire un sostegno sufficiente alla riabilitazione e al reinserimento dei bambini detenuti. Ciò include l’accesso a mirati e specializzati sostegni psicosociali».

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I dati e le testimonianze condivise da Save the Children sono veramente terrificanti. «Non ti senti un essere umano in quel posto. Eravamo trattati come animali», ha detto Amina, detenuta quando aveva 15 anni. Molti ragazzi hanno descritto la loro detenzione come “tortuosa“, “una delle esperienze più difficili che una persona può sopportare“, “disumanizzante“, “umiliante” e ha segnalato diversi tipi di maltrattamenti e abusi:

  • 81% sono stati picchiati fisicamente almeno una volta, e il 43% sono stati picchiati numerose volte;
  • 88% non ha ricevuto l’assistenza sanitaria che hanno richiesto, anche quando esplicitamente richiesto;
  • 46% sono stati privati di cibo e acqua, e quasi tutti questi bambini (93%) ha detto che questo è successo più di una volta; altri hanno riferito che gli è stato dato cibo ‘non commestibile’ tra cui carne cruda;
  • 85% è stato spesso svegliato nel cuore della notte, con alcuni che hanno riferito che gli allarmi sono scattati ogni poche ore per disturbare il loro sonno.

Chiaramente tutto questo ha un impatto sulla salute mentale dei minorenni. Quasi la metà di loro dice di non essere più riuscito a tornare alle proprie vite normali, e l’85% ritiene che sono cambiati a causa di quest’esperienza. Secondo i dati di Save the Children, i bambini che sono stati arrestati sperimenta oggi:

  • 53% esperienza capricci e rabbia
  • 49% si sente incapace di esprimere le proprie emozioni e sentimenti
  • 42% non sono in grado di concentrarsi
  • 15% segnala pianto eccessivo
  • 47% sperimenta insonnia o difficoltà a dormire
  • 39% ha incubi ricorrenti o frequenti
  • 27% segnala sonno eccessivo
  • 13% ha bisogno delle luci per dormire
  • 61% ha iniziato a fumare
    29% ha sperimentato la perdita di appetito.

La storia di Issa, palestinese arrestata a 15 anni

Save the Children condivide proprio il caso di studio di Issa, anche lei detenuta quando aveva 15 anni. È stata arrestata alla fine di una giornata scolastica, è stata sparata a una gamba da un soldato israeliano ed è caduta a causa del dolore. Tre soldati hanno cominciato a colpirla con forza mentre era a terra sanguinante. Dei paramedici hanno tentato di portarla in ospedale, ma i soldati israeliano li hanno fermati.

«Sono stata interrogata invece che portata in ospedale, ma i soldati mi hanno dato delle fasce per coprire la ferita sulla gamba. Poi mi hanno messo una fascia sugli occhi, mi hanno legato i polsi con delle strisce di plastica e mi hanno portata a un secondo centro di interrogatori».

La ragazza dice di essere stata confusa e non sapeva per cosa stava venendo arrestata, e quando ha chiesto di parlare con i suoi genitori e di parlare con un avvocato conoscendo i suoi diritti, le è stato negato. «Mentre venivo interrogata, continuavano a urlarmi contro e hanno messo una pistola sul tavolo di fronte a me per mettermi paura. Hanno detto parole cattivissime. Non voglio pensarci». Issa ha ovviamente negato qualsiasi accusa, e quindi l’hanno portata in carcere e l’hanno incatenata a una sedia di metallo per polsi e caviglie. Le hanno tolto tutti i vestiti e lei aveva tanto freddo, in quanto era dicembre.

Il giorno dopo l’hanno interrogata di nuovo, e lei ha insistito sui suoi diritti. «Mi hanno chiesto di mostrargli la mia ferita, così gli ho mostrato la mia ferita. Poi hanno premuto sulla ferita, dicendo che non si sarebbero fermati finché non avessi confessato. È stato il peggior dolore che abbia mai provato. Allora ho deciso confessare per fermare il dolore. Ho detto che ho lanciato due pietre». Solo a quel punto è stata portata da un medico. Issa è stata condannata a sette mesi di prigione, con allarmi durante la notte per non farla dormire, e se non ti svegliavi venivi picchiata. «I bambini che vengono arrestati hanno dei diritti, e questi diritti dovrebbero essere protetti», ha concluso.

Potete leggere il report completo qui.

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