Il massacro del Circeo non è stato solo un evento di cronaca nera, ma la testimonianza di una violenza che ancora non è cessata, a distanza di quasi cinquant’anni. Oggi in data 25 novembre ricorre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. In questo episodio di “Una Tazza D’horror” ci teniamo a raccontare una storia raccapricciante che oggi più che mai ci deve ancora far riflettere sulla gravità della situazione.
Il massacro del Circeo
Donatella Colasanti, sopravvissuta agli orrori di quei giorni, ha raccontato più volte nel corso della sua vita delle sevizie perpetuate sulla sua persona, non solo a processo, ma anche in alcune interviste volte a sensibilizzare un’Italia ancora troppo retrograda e patriarcale per comprendere appieno il tema della violenza contro le donne.
Donatella, all’epoca dei fatti, aveva solo 17 anni, era una ragazza come tante del quartiere romano della Montagnola. Correva il 1975, era autunno, settembre. L’altra vittima, che trovò la morte per mano dei suoi aguzzini, si chiamava Rosaria Lopez, lavorava come barista e aveva 19 anni.
Conobbero un giorno Carlo, un ragazzo che risultò poi estraneo al crimine, ma che fu colui che mise in contatto le due giovani con i responsabili, suoi amici. Oggi si è soliti pensare che i propri amici non potrebbero mai compiere un orrore del genere, li conosciamo, non sono mostri, saremmo capaci di definirli “bravi ragazzi” senza dubitare neanche un istante.
Carlo le invitò a prendersi un caffè al bar, quotidianità innocua a cui molti di noi sono soliti prendere parte. Qui conobbero due degli artefici di questo massacro, Gianni Guido e Angelo Izzo, i cui modi raffinati e l’appartenenza alla Roma Bene rassicuravano, erano “bravi ragazzi” allora.
Guido aveva anche lui 19 anni, studiava architettura; Izzo invece aveva già la fedina penale sporca, con venti mesi di carcere alle spalle a causa di una rapina a mano armata compiuta con il terzo complice della violenza su Donatella e Rosaria. Ma Izzo studiava medicina, era figlio di una delle famiglie più agiate di Roma, pareva un “bravo ragazzo” anche lui. Oltre ad un fatto di poco conto: aveva soltanto stuprato due ragazzine assieme a degli amici, ma in galera non c’era finito. E tutti e tre, anche il terzo complice Andrea Ghira, erano militanti di movimenti neofascisti. Ma erano anche loro “bravi ragazzi”.
Questi ragazzi fanno amicizia, decidono di rivedersi tutti assieme, ma il giorno dell’appuntamento Carlo non si presenta, Guido e Izzo dicono alle due giovani di seguirli, le avrebbero portate ad una festa, lì avrebbero trovato Carlo. Inutile dire che da Carlo non arrivarono mai.
Donatella parla di una telefonata, con la quale i due continuano a tessere l’inganno: Carlo sta al mare, in una villa al Circeo. Ma alla villa Carlo non c’era. Alla villa i due promettono un milione di euro ciascuna in cambio di sesso, le due rifiutano. Guido allora tira fuori una pistola, e cominciano le minacce. Donatella e Rosaria comprendono il pericolo, scoppiano in lacrime. Vengono rinchiuse in un bagno, poi al mattino Izzo “si infuria come un pazzo e ci ammazza di botte” per un lavandino rotto. Le due giovani vengono separate, alla sera arriva Ghira.
Donatella e Rosaria per più di un giorno e una notte vennero violentate, seviziate, massacrate e abusate verbalmente.
(…) Ghira dice che ci porterà a Roma ma poi ci hanno addormentate. Ci fanno tre punture ciascuna, ma io e Rosaria siamo più sveglie di prima e allora passano ad altri sistemi. Prendono Rosaria e la portano in un’altra stanza per cloroformizzarla dicono, la sento piangere e urlare, poi silenzio all’improvviso. Devono averla uccisa in quel momento.
Mi picchiano in testa col calcio della pistola, sono mezza stordita, e allora mi legano un laccio al collo e mi trascinano per tutta casa per strozzarmi, svengo per un po’, e quando mi sveglio sento uno che mi tiene al petto con un piede e sento che dice: “Questa non vuole proprio morire”, e giù a colpirmi in testa con una spranga di ferro. Ho capito che avevo una sola via di uscita, fingermi morta, e l’ho fatto. Mi hanno messa nel portabagagli della macchina, Rosaria non c’era ancora, ma quando l’hanno portata ho sentito chiudere il cofano e uno che diceva: “Guarda come dormono bene queste due”.
Donatella Colasanti
Donatella e il cadavere di Rosaria giacevano nella macchina, mentre i tre ragazzi si erano recati a cena al ristorante, rimanendo anche coinvolti in una rissa con dei militanti comunisti. Donatella iniziò disperata a calciare contro le pareti del bagagliaio. Un metronotte se ne accorse, pensò si trattasse di un gatto rinchiuso nell’auto, e avvisò i Carabinieri.
Donatella venne ritrovata, ma l’incubo non finì mai. Le ferite fisiche, le ossa rotte, la pelle lacerata, quelle guarirono. Il danno psicologico rimase, finché un tumore al seno non la portò via all’età di 47 anni. Donatella morì con la consapevolezza che la legislazione italiana, però, non avrebbe fatto veramente giustizia. Morì con la consapevolezza che sarebbe diventata una delle tante vittime della violenza contro le donne, e che il futuro avrebbe riservato lo stesso trattamento a tante altre ancora, troppe.
Izzo e Guido vennero arrestati poche ore dopo il ritrovamento. Ghira era riuscito a scappare, persino ad avvisare la famiglia per eliminare le prove da quella villa al Circeo. Minacciò ancora Donatella, qualora avesse testimoniato contro di loro.
La prima sentenza del tribunale dichiarò colpevoli Izzo, Guido e Ghira, condannati all’ergastolo. Ghira, però, era già fuggito in Spagna e non venne mai trovato. La sentenza venne modificata in appello: la pena di Guido venne ridotta a trenta anni dopo la dichiarazione di pentimento (e l’accettazione della famiglia di Rosaria di un risarcimento).
Donatella scelse di andare a processo sostenuta da centinaia di attiviste femministe, e con il supporto dell’avvocata Tina Lagostena Bassi.
Guido e Izzo riuscirono però entrambi ad evadere, lasciandosi alle spalle il carcere italiano tra gli anni ’80 e ’90, rifacendosi anche una vita prima di ritornare più volte nelle mani della giustizia, ancora e ancora. Donatella ricevette sempre telefonate minatorie, tanto da richiedere l’isolamento di uno dei criminali, Izzo.
Nel 2004 venne concessa ad Izzo una condizione di semilibertà, abbastanza per commettere altri due femminicidi: le vittime questa volta rispondevano al nome di Maria Carmela Linciano, di 49 anni, e Valentina Maiorano, di soli 14 anni, rispettivamente moglie e figlia di un pentito che Izzo aveva conosciuto in prigione. Le due donne vennero legate e soffocate prima di essere sepolte nel cortile di una villetta a Mirabello Sannitico. Izzo venne condannato ad un altro ergastolo, confermato in appello.
Donatella chiese giustizia contro coloro che avevano reputato Izzo idoneo a riavere la sua libertà, condannando di fatto alla morte altre due donne innocenti.
Oggi le cose non sono cambiate, oggi ancora la giustizia non funziona a dovere, oggi ancora non vi sono politiche efficienti volte a prevenire l’avvento di questi orrori. La violenza contro le donne esiste, ed è figlia di una società malata alla cui base c’è il patriarcato, la ridicolizzazione delle vittime e il negazionismo dei carnefici.
Perchè sono tutti “bravi ragazzi”, e lo rimangono anche dopo aver rapito, torturato, stuprato e ucciso una donna. Rimane quest’ultima la colpevole, doveva prevedere che poteva succedere, non doveva fidarsi dei suoi amici, non poteva permettersi di uscire da sola, non doveva bere alcolici, non doveva indossare quella gonna, non poteva vivere. Quel fiocco rosso dovrebbe essere segno di una società che avanza, non dovrebbe venirci legato al collo.
Giulia, Giu per chiunque. 20 anni. Studentessa di lettere e fonte di stress a tempo pieno. Mi diletto nello scrivere di ogni (ma soprattutto di F1) e amo imparare. Instagram: @ xoxgiu