Iera sera sono ufficialmente iniziate le Olimpiadi 2024. Circa 10.500 atleti provenienti da 206 Comitati Olimpici Nazionali gareggeranno per l’ambita medaglia d’oro, e fra questi 10.500 atleti ci sono 15 atleti della Palestina. Sono solo 15, perché Israele – che tra l’altro è in gara tranquillamente mentre gli atleti russi devono gareggiare sotto bandiera olimpica a causa di quello che Putin sta facendo all’Ucraina da ormai più di un anno – negli ultimi mesi ha ucciso 342 atleti palestinesi. Ma a quanto pare ci laviamo la coscienza con un’ipocrita sulla pace sotto le note di Imagine di John Lennon.
«L’attacco russo all’Ucraina è una violazione dell’ordine mondiale e Israele lo condanna. Israele ha conosciuto molte guerre. La guerra non è lo strumento per risolvere i conflitti», queste le parole del Ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid a febbraio 2022, quando è scoppiata la guerra in Ucraina. Il premier invece: «Come tutti, preghiamo per la pace e la calma in Ucraina e speriamo ancora che il dialogo porti a una risoluzione. Questi sono momenti difficili e tragici, i nostri cuori sono con i civili che, senza colpa, si ritrovano in questa situazione». Già ai tempi sembrava ipocrita per chi seguiva da vicino il conflitto israelo-palestinese, ma da ottobre 2023 si è passati dall’ipocrisia al sadismo.
Tutto il mondo occidentale politico e non solo si è schierato dalla parte dell’Ucraina. Se i politici non hanno perso tempo a mandare un messaggio di solidarietà e sostegno, condannando la Russia, al popolo ucraino, anche gli influencer non temevano di “perdere followers“ giustificandosi con un “sì, ma non è quello di cui tratto di solito” per mettere una bandierina ucraina in una storia che sarebbe sparita dopo 24 ore. In poco tempo la Russia è stata esclusa da qualsiasi contest internazionale, e tranne qualcuno che non riteneva che la politica dovesse penalizzare artisti e atleti, per tutti andava bene. Tutti mettevano davanti la vita delle persone.
Per la Palestina, che di morti che ha migliaia di più, nessuno parla. A nessuno sembra strano che Israele continui a partecipare a competizioni anche facendo le vittime della situazione. O meglio, la popolazione mondiale è parzialmente sveglia, come si può vedere dalle tante manifestazioni e iniziative per fare luce su quello che stanno subendo da anni le persone palestinesi, ma chi effettivamente potrebbe far qualcosa, sembra che abbia troppa paura degli israeliani. Non condannano, non isolano, continuano a sostenere e chiudere un occhio perché finché le vittime non sono bionde con gli occhi azzurri, può anche andare bene.
15 atleti palestinesi di fronte a 342 atleti palestinesi uccisi da Israele. Non puoi chiedere la pace, se non condanni le persone che stanno contribuendo al genocidio di un intero paese. Non puoi chiedere la pace, se non ti schieri. Non puoi chiedere la pace, se sei indifferente. Scriveva Antonio Gramsci:
Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare.
Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.
I 342 atleti della Palestina uccisi dalle bombe israeliane
Scrittori e commentatori sportivi palestinesi sostengono che l’assalto israeliano a Gaza, che ha ormai causato quasi 40.000 vittime palestinesi, rappresenti anche un tentativo di eliminare lo sport e le prestazioni atletiche. «È un genocidio… la pulizia etnica del popolo palestinese, e gli attacchi contro gli atleti e lo sport in particolare nella Striscia di Gaza sono tutti attacchi molto sistematici per annientare e cancellare lo sport nel territorio,” ha dichiarato Abubaker Abed, un attivista sportivo con sede a Gaza, al giornalista di Anadolu. Oltre agli atleti, anche gli impianti sportivi non sono stati risparmiati. Dal 7 ottobre un totale di 42 strutture sono state rase al suolo a Gaza, mentre sette sono state distrutte in Cisgiordania, afferma la Federcalcio palestinese.
Hassan Abu Zaitar, Shaker Safi e Basem Al-Nabahin sono solo alcune delle vittime degli attacchi aerei e terrestri israeliani che hanno devastato la Striscia di Gaza dal 7 ottobre dello scorso anno – e la guerra è iniziata ancor prima, come sanno gli affezionati lettori del blog. L’uccisione di atleti e giocatori a Gaza da parte di Israele, insieme alla distruzione degli impianti sportivi dell’enclave, ha suscitato crescenti richieste di squalificare Israele dal torneo, mentre attivisti e spettatori mettono in dubbio la legittimità della sua partecipazione. Ma non è servito a niente, perché quando si parla di Israele, si decide che nessuna competizione è politica.
Secondo il Comitato Olimpico Palestinese e la Federcalcio palestinese, circa 400 atleti sono stati uccisi dal 7 ottobre. La federazione calcistica ha specificato che la guerra ha causato la morte di 245 calciatori, tra cui 69 bambini e 176 giovani uomini. Inoltre, sono stati uccisi 33 scout e 70 membri di associazioni sportive. Gli attacchi israeliani hanno provocato la morte di numerosi olimpionici, con 69 vittime durante l’assalto in corso, secondo la Campagna palestinese per il boicottaggio accademico e culturale di Israele, lanciata nel 2004.
Tra le vittime si annovera Majed Abu Maraheel, il primo olimpionico e portabandiera della Palestina, morto a causa di insufficienza renale in un campo profughi a giugno. Il 61enne corridore olimpico di lunga distanza, che aveva gareggiato nella gara maschile dei 10.000 metri ai Giochi Olimpici di Atlanta del 1996, è deceduto mentre il blocco degli aiuti umanitari da parte di Israele ha lasciato molti, tra cui Maraheel, senza cure mediche adeguate.
A gennaio, l’allenatore della squadra olimpica palestinese di calcio, Hani Al-Mossader, è stato ucciso in un attacco aereo israeliano. Lo stesso mese, Nagham Abu Samra, una campionessa di karate che avrebbe dovuto partecipare alle Olimpiadi di Parigi, è morta in un ospedale in Egitto dopo aver ceduto alle ferite riportate. Era stata gravemente ferita da un attacco israeliano che l’aveva colpita alla testa e costretta all’amputazione di una gamba. Anche importanti calciatori sono stati uccisi negli attacchi israeliani. A marzo, Mohammed Barakat, soprannominato la “leggenda di Khan Younis”, è morto in un raid nella città meridionale della Striscia di Gaza.
Adi Quran, direttore senior del gruppo per i diritti umani Avaaz con sede negli Stati Uniti, ha dichiarato che le Olimpiadi e l’attuale leadership del CIO saranno ricordate per «aver chiuso un occhio su un paese che commette quello che la Corte Internazionale di Giustizia ha definito un plausibile genocidio e apartheid», facendo riferimento a una sentenza preliminare della Corte Internazionale di Giustizia che riconosceva il genocidio come un rischio plausibile a Gaza. Israele è accusato di genocidio dalla massima corte delle Nazioni Unite, che nella sua ultima sentenza ha ordinato a Tel Aviv di interrompere immediatamente le sue operazioni nella città meridionale di Rafah.
Quran prevede che gli atleti protesteranno contro la presenza di Israele alle Olimpiadi e che i tifosi boicotteranno gli eventi in cui verrà issata la bandiera israeliana. Secondo Abed, ci vorrà un decennio per rilanciare lo sport nella Striscia di Gaza. «La guerra a Gaza ha cambiato tutto. Ha ucciso i sogni di molti». E noi ci auguriamo lo stesso. Gli atleti non abbiano paura di dire: Palestina Libera. Non abbiano paura di boicottare. Non abbiano paura di condannare. Bisogna avere coraggio. Bisogna non essere indifferenti.
Giulia, 25 anni, laureata in Lettere Classiche, “paladina delle cause perse” e studentessa di Filologia Italiana. Amo scrivere, leggere, guardare serie tv e anime, i gatti e seguire le giuste polemiche.
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