Lewis Hamilton e l’ombra del razzismo in F1

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Mancano 50 giorni all’accendersi delle prime luci della stagione 2022, mentre il ritorno di Lewis Hamilton non risulta ancora confermato, ma ancora più sicuro che mai. Il sette volte campione del mondo è stato però avvistato a Los Angeles, intento a godersi questi ultimi giorni di vacanza con un sorriso rilassato stampato sul volto.

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Fonte: FormulaPassion

Ma sono proprio gli avvenimenti della stagione ormai conclusa a riportare l’attenzione su un tema ancora più delicato: in molti sono arrivati a sostenere che gli eventi che hanno caratterizzato il finale del GP di Abu Dhabi 2021 non fossero semplicemente dovuti all’incapacità del direttore di gara Michael Masi. La FIA è stata accusata di aver applicato discriminazioni razziali nei confronti di Hamilton, pur di favorire la vittoria di Max Verstappen.

Verstappen si è visto coronare campione del mondo, e proprio questo atto è stato giudicato increscioso soprattutto dai fans di Lewis: dal parlare bonariamente di una P1 rubata, si è arrivati a discutere di una possibile “white supremacy in Formula 1.

Secondo l’opinione di una parte consistente dei tifosi, la FIA avrebbe voluto assicurare la vittoria del titolo mondiale ad un pilota dalla pelle bianca, arrivando a gestire la competizione in favore del pilota della Red Bull.

Eppure Lewis Hamilton è riuscito a conquistare ben sette volte il tanto agognato titolo mondiale, eguagliando il record della leggenda di Michael Schumacher. Lo stesso Schumacher che è stato accusato maldestramente sui social di essere un sostenitore della white supremacy – senza alcun fondamento razionale, ovviamente.

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Fonte: Pinterest

Ma nonostante le accuse di razzismo – rivelatesi infondate – in riferimento alla gara tenutasi al Yas Marina Circuit, non si può scagionare la F1 e soprattutto gli amanti del motorsport: viviamo in un mondo dove ancora oggi il colore della tua pelle può pregiudicare la tua intera esistenza, dove è più facile odiare il diverso che rispettarne le particolarità. Viviamo in un mondo squallido dove si nasconde l’essere razzisti dietro a commenti ininfluenti e non richiesti come “non mi piacciono i suoi capelli“, “non mi piace il suo modo di vestire“, “non mi piace il suo cane” che si trasformano in odio e in insulti sprezzanti, che discernono dalla sua carriera di pilota professionista.

GP di Gran Bretagna 2021: l’incidente Hamilton-Verstappen

Avevamo già approfonditamente discusso dell’incidente avvenuto a Silverstone che aveva segnato l’acuirsi della rivalità tra Hamilton e Verstappen, terminato con quest’ultimo indolenzito in ospedale e il pilota della Mercedes a festeggiare l’ennesima vittoria nella sua amata Inghilterra. Proprio questo atto è stato mal giudicato dall’opinione pubblica, ma la questione è subito stata eclissata: il post Instagram che era stato appena rilasciato dall’account ufficiale della scuderia traboccava di insulti razzisti nei confronti di Hamilton, corredati persino da alcune emoji raffiguranti delle scimmie.

Questo disgusto è stato denunciato e condannato “con la massima fermezza” tramite un comunicato congiunto tra Mercedes e FIA, affinché “i responsabili siano puniti“. Successivamente anche la Red Bull si era discostata dalla terribile reazione dei suoi fans, dichiarandosi contraria ad ogni forma di odio razziale.

Ma questo non è bastato per placare il conflitto: la questione è stata apparentemente abbandonata dai diretti coinvolti, ma non è scemate tra i sostenitori dei due piloti. Sono stati proprio quest’ultimi ad alimentare il “cattivo sangue” scorso tra Hamilton e Verstappen e non hanno ancora smesso di farlo.

Test pre-stagionali 2008: cori razzisti per Hamilton

Ad essere presi in causa in quel 2 febbraio del 2008, a Barcellona, invece sono stati i fans di Fernando Alonso, i quali si sono divertiti a cimentarsi in cori razzisti dedicati a Lewis Hamilton e al resto della sua famiglia.

Hamilton e Alonso erano reduci da una stagione complicata: la McLaren si era ritrovata a gestire – maldestramente – i due piloti, entrambi affamati di vittoria e pronti a tutto pur di ottenerla. Così, dopo il conseguimento del titolo mondiale da parte di Kimi Raikkonen, all’epoca al volante della Ferrari, Alonso ha optato per spostarsi alla Renault.

Durante i test-prestagionali della McLaren, a Barcellona, i tifosi di Alonso hanno voluto palesare il loro disappunto contro Hamilton presentandosi sugli spalti con il viso cosparso di pittura nera e striscioni a sfondo razzista: “Il pilota della McLaren è stato fischiato e insultato ogni volta che si è allontanato dal camper del team per entrare nei box, durante la giornata di test di sabato 2 febbraio. L’inviato del quotidiano sportivo Marca ha detto che le grida ‘puto negro’ e ‘negro de mierda’ si erano sentite chiaramente e che erano state coinvolte molte persone tra la folla”.

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Fonte: FormulaPassion

Il direttore del circuito ha ordinato la rimozione degli striscioni che erano stati affissi di fronte alla base del team. ‘Vorremmo fare un appello ai tifosi affinché si comportino correttamente, nessun tipo di comportamento offensivo può essere tollerato‘,ha detto il direttore del circuito Ramon Pradera“, aveva concluso l’agenzia britannica Reuters.

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Non avevamo la minima intenzione di prendere in giro nessuno, tanto meno di ridere di Hamilton a causa del colore della sua pelle. Non sono razzista e mi vergogno di apparire come tale sulla stampa inglese“, aveva controbattuto Toni Calderón, uno dei fans che si era dipinto irrispettosamente il volto.

A differenza di molti altri paesi, come il Regno Unito e la Germania, La Spagna non ha una storia in Formula 1. Così, quando è arrivato Fernando Alonso, il sostegno per lui si è rapidamente trasformato dalla passione in una sorta di fanatismo. Gli spagnoli non vogliono riconoscere questo comportamento come razzista, ma è esattamente quello che è. Potrebbe essere una minoranza di tifosi, ma troppe persone sono disposte a negare l’esistenza del razzismo e i giornalisti spesso giustificano l’ingiustificabile“, aveva riferito Santiago Segurola, ex vicedirettore del quotidiano sportivo spagnolo Marca.

Appaiono assurde le parole di Bernie Ecclestone, ex pilota e magnate della F1: “Penso che sia tutta una sciocchezza. In Spagna le persone sostenevano Alonso e a San Paolo sostenevano Felipe. Non credo che avesse nulla a che fare con il razzismo. Probabilmente era tutto per scherzo, piuttosto che qualcosa di offensivo“.

Le reminiscenze di Lewis Hamilton: gli atti di razzismo a soli 13 anni

Sono stato la prima volta in Italia a Parma per una gara. Mi ricordo che ho subito atti di razzismo, avevo 13 anni ed era la prima volta che viaggiavo da solo. Dei ragazzini che provenivano da altri paesi, mi gridavano di tutto in pista. Mio padre mi disse di combattere in pista, non con i pugni. Fortunatamente ho seguito il consiglio, altrimenti sarei andato in galera. In Italia ho conosciuto tante bellissime persone. É una questione di educazione, che spesso manca. Non succede solo in Italia, in tutto il mondo il sistema è sbagliato. Spero che quei ragazzini siano cresciuti“.

Le parole appartengono a Lewis, rilasciate alle penne di Sky Sport, e sono parole che in realtà non parlano di rassegnazione, ma di una verità che ancora sono in molti a non voler vedere, una verità che non tutti sono disposti però ad ignorare. Non é il solo ad aver ricevuto fischi e insulti a sfondo razziale addirittura in tenera età.

La Formula 1 ha voluto abbracciare la campagna “We Race As One, ma non sarà mai sufficiente il solo rilasciare qualche commento sporadico a sostegno dei successi ormai indelebili conquistati da Lewis Hamilton, primo pilota mulatto ad aver partecipato ad un Gran Premio di F1, per cancellare l’ombra del razzismo che versa ancora oggi nel mondo del motorsport.

Il padre Anthony arrivò addirittura ad indebitarsi pur di farlo gareggiare nelle prime competizioni di karting, pur di permettergli di raggiungere le capacità eccezionali, la solida velocità e il successo innegabile che oggi lo accompagnano.

Questi sono solo alcuni casi che hanno macchiato la storia della F1, ma non saranno gli ultimi che richiameranno i media all’attenzione.

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Fonte: The Guardian

Il primo titolo mondiale, ma 13 anni dopo

Si racconta così, Lewis, al quotidiano britannico Financial Times: “Non ero felice. Avevo realizzato il mio sogno, ma non ero io, non potevo essere io e non avevo fiducia in me stesso allora, quindi sono rimasto in silenzio. Reprimiamo così tante cose che non ci rendiamo conto del dolore che abbiamo sperimentato”.

Mentre guardavo le foto dei festeggiamenti della squadra, mi sono reso conto che le squadre erano ancora completamente bianche, c’erano pochissime persone di colore e mi sono chiesto come potesse succedere questo dopo che sono stato qui così tanto tempo“.

“Tutto quello che è successo dopo la morte di George Floyd mi ha colpito duramente. Non potevo credere che così tante persone fossero ancora in silenzio su quello che era successo. Ora sono disposto a rischiare il mio lavoro, la mia reputazione. Voglio che la comunità nera sappia che li ascolto e che sono con loro”.

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Fonte: Herald Sun

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