Censura e poteri forti nel 2021: parliamone

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Le cronache degli ultimi giorni in realtà già parlano da sole. Dopo i ban dai social di diverse personalità del mondo politico si fa presto a chiedersi – legittimamente – quanto e fino a che punto la libertà di espressione sia compromessa. Diverso è gridare alla censura.

Censura? O forse regole?

Senza impelagarsi in una nozione sincronica o diacronica di censura, è di più immediata comprensione cominciare invece con un esempio. Poniamo che ci sia una festa al quale tutti siamo invitati: oltre ai soliti riferimenti come orario e luogo dell’evento l’organizzatore richiede uno specifico dressing code perché la festa è a tema hawaiano.

Tutti siamo quindi tenuti a rispettare tale prescrizione al fine della più generale riuscita della festa. Il signor X, invece, vuoi per inconsapevolezza vuoi per spregiudicatezza non lo fa e si presenta alla festa con un elegante vestito da sera. L’organizzatore quindi decide di ammetterlo al ricevimento ma facendo presente a tutti gli altri invitati che non ha rispettato il tema.

È giusto che tutti lo sappiano, perché in una eventuale foto di gruppo della serata l’unico vestito in maniera non conforme, ammettiamolo, un po’ stonerebbe. E perché noi altri invitati storceremmo il naso, visto che ci siamo prodigati nel rispettare le regole imposte dall’organizzatore, impegnandoci a scegliere l’outfit che più si adeguava alla regola.

L’organizzatore non ha certo nessuna intenzione di limitare la generale libertà di espressione del Signor X che in tutti i momenti della sua vita può scegliere di vestirsi nel modo che più gli piace; ma in quel determinato contesto non ha rispettato una regola che era la conditio sine qua non della festa. Il signor X non è stato censurato, ma è stata semplicemente fatta notare la sua trasgressione in un contesto in cui vigevano regole ben precise.

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Fonte: pixabay

I social network non sono una festa a tema hawaiano, ovviamente, ma un po’ le somigliano: sono dei privati che offrono dei servizi a chiunque sia iscritto. Questi privati, però, per la buona riuscita dei loro servizi e per far sì che tutti gli aderenti ai servizi vivano al meglio la loro esperienza impostano delle regole che possono essere più o meno stringenti a seconda dei casi. Regole che noi tutti accettiamo al momento dell’iscrizione.

Contravvenire a queste regole implica il venir meno al patto che si è stabilito, e quindi l’azienda ha tutto il diritto di ricorrere a provvedimenti quando ritiene che le regole siano state vietate. Questi provvedimenti sono censure?

Onestamente, parlare di censura in un sistema democratico nel 2021 fa un po’ sorridere. Ma soprattutto, ad un livello più profondo, dovrebbe farci riflettere. Fa sorridere ma anche riflettere vedere alcune forze politiche e i propri rappresentanti urlare alla censura. In un ipotetico sistema che ammette la censura non dovrebbe essere proibito parlare di censura? In tv nazionale, magari. Leggermente contraddittorio, vero?

Libertà di espressione, varie ed eventuali

Inoltre, a parte il caso che più di altri ha occupato le nostre news negli ultimi giorni (ovvero il ban di Trump, che meriterebbe una discussione a parte), ci sono da fare degli opportuni distinguo.

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Fonte: Pixabay

Innanzitutto, parliamo di libertà di espressione. Libertà di espressione è un concetto che noi tutti facenti parte di un sistema democratico abbiamo più o meno introiettato, anche se siamo a digiuno di diritto. In generale, quindi, potremmo dire che siamo liberi di esprimerci come meglio crediamo.

Tuttavia, talvolta è necessario una sorta di bilanciamento tra interessi contrastanti. Se la mia libertà di espressione lede altrui diritti e/o libertà ho ancora diritto ad esprimermi? Porre dei limiti alla libertà di espressione non significa di per sé censurare, significa innanzitutto evitare che dalla mia libertà di espressione derivino dei danni ad altri individui.

È lo stesso principio per cui, ad esempio nel campo del giornalismo, esiste il diritto di critica ma purché la critica non si risolva in offese gratuite e fuori contesto. Chiunque può esercitare tale diritto, esprimendo opinioni e giudizi (condivisibili o meno) ma non per questo è giustificato ad usare epiteti offensivi nei confronti della persona, della cosa, dell’azienda in questione. Perché dall’insulto deriverebbero dei pregiudizi alla persona, cosa, azienda in questione. Dei danni, poniamo d’immagine ma anche economici e così via. E questo è solo uno dei limiti che può trovare la nostra cara “libertà di espressione”.

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Fonte: Pexels

Nel caso in cui non ce ne fossimo ancora accorti, libertà non vuol dire “faccio quel che mi pare perché nessuno mi può dire niente”. Questo sarebbe nascondersi dietro la libertà di espressione, non praticarla.

La libertà di espressione è un grande potere nelle nostre mani, e com’è noto «da un grande potere derivano grandi responsabilità». Libertà di espressione significa responsabilità. E responsabilità non significa censura.

Ecco perché fa sorridere ma anche riflettere come volti noti della politica nostrana abbiano immediatamente gridato alla censura visti gli eventi degli ultimi giorni. In un sistema che ammette la censura, il diritto di critica viene meno. Lo stesso diritto di critica che si sta esercitando nel momento in cui si grida alla censura. Curioso, vero?

Il temuto ban

Ricevere un ban da un social non significa che qualcuno ci ha messo un bavaglio. Significa aver violato delle regole, significa aver detto o fatto qualcosa che ha potenzialmente leso gli interessi altrui.

Questo concetto, tuttavia, sembra sfuggire a molti soprattutto sul web. Il web, così come i social, sono sempre stati percepiti sin dall’inizio come una sorta di zona franca, una terra di nessuno in cui tutti possono tutto. Ovviamente il web offre molte libertà, chiunque può aprire un blog, commentare, twittare, postare ecc. senza dover chiedere il permesso a nessuno, solo perché vuole farlo.

Ecco perché, forse, sui social soprattutto l’odio, le volgarità, gli insulti, il bullismo sono ormai all’ordine del giorno. Perché si ha la sensazione di non essere controllati da nessuno. Eppure, non è così. E no, non perché ci sia un Grande Fratello che decide di mettere un bavaglio a caso (Piccola osservazione: curioso, vero, come in queste polemiche salti continuamente fuori Orwell? Che uno si chiede se quelli che lo citano a sproposito lo abbiano davvero letto Orwell).

Non saprei come dirlo in altri modi: no, non siete dei soggetti scomodi ai poteri forti. Negli uffici delle “lobby” (ma esistono davvero? Hanno un luogo fisico? Non ci è dato saperlo) non c’è un Grande Fratello con un pulsantone rosso di allarme che scatta quando qualcuno di voi ha svelato un arcano segretissimo al grido di “Censuriamolo! Nessuno deve sapere!”. Probabilmente il 99% di noi per i “poteri forti” sono soltanto dei numerini. Il massimo che “i poteri forti” sanno di noi è che la notte guardiamo i video dei cagnolini e che al mattino cerchiamo sul motore di ricerca la ricetta per la sbrisolona.

Fonte: pixabay

Altro importante distinguo. Nella maggior parte dei casi, il ban parte da segnalazioni di altri utenti.

È il caso dei profili “temporaneamente limitati” di Twitter. Una sorta di avviso agli utenti, come per dire “se vuoi vedere i contenuti di questo account sappi però che sono sospetti, forse hanno violato qualche regola”. Tant’è che basta accettare di aver preso visione del messaggio, e i contenuti sono immediatamente visibili. A molti, inoltre, capita di veder limitato temporaneamente il proprio profilo per il numero di seguaci troppo alto rispetto ai seguiti. O ancora per aver postato immagini che urtano l’altrui sensibilità. Sono ban temporanei, appunto, facilmente risolvibili.

Ditemi pure se mi sbaglio, ma non mi sembra censura questa. In un mondo che offre mille possibilità per esprimersi. La censura, quella seria, non è questa. Non si dovrebbe parlare di censura non tanto per stabilire i confini di cosa è o non è ma per il semplice fatto che è una seria mancanza di rispetto a chi la censura l’ha vissuta sulla sua pelle, per limitarci solo al contesto italiano. E nemmeno tanto tempo fa.

Più che parlare di censure, bisognerebbe iniziare a parlare di responsabilità. E per questo non bastano 180 caratteri e due faccine.

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