Violenza digitale sulle donne: un problema che diviene sempre più serio

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Revenge porn, cyber-flashing, doxing, body shaming. Sono solo alcune delle violenze digitali a cui le donne ogni giorno sono sottoposte. In genere, però, si tende a generalizzare e chiamare tutto: revenge porn, e questo porta solo a minimizzare il problema. Se un ragazzo invia una dickpic non desiderata a una ragazza (cyber-flashing), non è revenge porn. Se condivide tutti i suoi dati con un gruppo di sconosciuti, è doxing, non revenge porn. Per non parlare dei deep fake porn, dove addirittura il corpo nudo o pornografico non è della vittima, ma vi è solo inserito il volto.

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Fonte: Pinterest

Secondo un rapporto pubblicato da Women’s Aid, il 45% delle vittime di violenza domestica ha subito una qualche forma di abuso online durante mentre il 48% è stato oggetto di molestie o abusi online dopo la fine di una relazione. Il Gruppo di esperti del Consiglio d’Europa (Grevio) ha definito il problema della violenza di genere commessa online e anche i crimini perpetrati tramite tecnologie di tracciamento sviluppate da società di sicurezza informatica. Il problema, infatti, è che manca ancora una definizione universale della violenza contro le donne online.

La ministra per le Pari Opportunità Elena Bonetti e Marija Pejcinovic Buric, Segretaria generale del Consiglio d’Europa, hanno spiegato in una nota congiunta che «la raccomandazione invita ad agire per evitare che i perpetratori, senza consenso, controllino le possibilità di una donna di acquisire, utilizzare e conservare risorse economiche, controllando attraverso gli strumenti di internet banking i conti bancari e le attività finanziarie». Insomma, proteggendo la vittima. Sebbene, in realtà, basterebbe educare l’uomo al rispetto. Per le vecchie generazioni ormai è tardi, ma per le nuove c’è speranza.

Concludono: «La violenza di genere è una grave minaccia alla libertà e ai diritti delle donne, ivi inclusa la violenza online e la criminalità informatica (cybercrime). Abbiamo a nostra disposizione sia gli strumenti per riconoscerla che per affrontarla. Proprio perché quest’anno celebriamo l’anniversario di due trattati essenziali del Consiglio d’Europa, e in virtù della giornata istituita dalle Nazioni Unite, invitiamo tutti gli Stati parte a seguire le indicazioni della Convezione di Istanbul e le linee guida indicate nella nuova raccomandazione Grevio».

Interessante è l’intervista di Elle con Silvia Semenzin, ricercatrice in Sociologia Digitale, coautrice del libroDonne tutte puttane:Revenge porn e maschilità egemone e promotrice della campagna #intimitàviolata che ha portato nel luglio 2019 all’approvazione della legge italiana. La legge è stata approvata in Lazio, che «si dimostra ancora una volta all’avanguardia nelle battaglie di civiltà. La legge ci permette di offrire degli strumenti operativi alle vittime, grazie anche a un impegno economico importante da parte della Regione di 550mila euro per il triennio 2020-2022», disse la consigliera Sara Battisti, prima firmataria della legge.

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Revenge porn: le parole di Silvia Semenzin

«Nel 2021 le denunce sono cresciute del 78% secondo i dati della polizia postale, il problema, però, è chela legge risulta inefficace nell’80% dei casi», ha detto la ricercatrice, sottolineando che questo è dovuto al fatto che «Nel 2021 le denunce sono cresciute del 78% secondo i dati della polizia postale, il problema, però, è chela legge risulta inefficace nell’80% dei casi». Come abbiamo anticipato all’inizio, infatti, ci sono diversi tipi di violenza digitale, per cui ridurli solo al revenge porn è completamente sbagliato e soprattutto deleterio. La dott.ssa Semenzin ritiene che siano quattro i motivi per cui la legge è inefficace:

  1. «Il fatto che ci si sia focalizzati sull’idea della vendetta (“revenge” appunto) ha portato a prevedere il dolo specifico. La vittima deve procurarsi le prove, magari persino entrando nei gruppi dove è avvenuto il reato e deve dimostrare che il suo carnefice volesse farle del male»;
  2. «Nel testo manca anche l’elemento della violenza di gruppo: la legge inquadra il problema come se fosse una faccenda tra due persone e ci si focalizza sul trovare il carnefice che per primo ha dato il via alla condivisione»;
  3. «Non viene presa in considerazione la responsabilità delle piattaforme digitali quando invece la tecnologia gioca un ruolo centrale nella distribuzione»;
  4. «Non è stato previsto nessun tipo di sostegno legale e psicologico alle vittime né campagne educative e di sensibilizzazione».
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Fonte: SportFair

Nell’intervista con Elle, si parla poi di due fenomeni di cui in Italia si parla poco e niente, dell’upskirting e del downblouse: «Con il termine “upskirting” si indicano le foto fatte sotto la gonna, ma esiste anche il “downblouse” per le foto alle scollature». Sono quindi dei contenuti che vengono scattati a persone non consenziente e spesso anche inconsapevoli, che non sapranno mai di essere state violate in quel modo meschino e viscido. Altro tipo di cyber violenza è il “doxing”, «ovvero condividere insieme alle tue foto anche le tue informazioni personali».

Ha parlato anche di deep fake porn, che è una tendenza che negli ultimi mesi ha cominciato ad essere molto visualizzato anche in Italia: «si tratta di foto o video artificiali dove viene inserito il viso di una persona reale. Esistono anche tecnologie molto user friendly che permettono di “spogliare” le foto delle donne. È un fenomeno in crescita su Telegram dove esistono anche dei bot che, inviando la foto di una ragazza, ti restituiscono la foto spogliata». Ancora una volta, quindi, Telegram è background di violenze sessuali online (e non solo di revenge porn, come troppo spesso crediamo) a discapito della donna per mano di uomini, spesso anche sconosciuti.

Il problema, in questo caso, è che «in Italia non esiste una legge specifica che riconosca questo problema. C’era stata una proposta di legge del Movimento 5 Stelle per regolamentare il deep fake porn, ma credo sia caduta nel vuoto. Al momento è possibile tutelarsi solo attraverso altri reati». Insieme a ciò, «nella legge attuale italiana al momento non sono nemmeno nominate» le piattaforme come Telegram o Pornhub, che spesso sono background di revenge porn e violenze sessuali, «ma la loro regolamentazione e responsabilizzazione dovrebbero essere parte del dibattito».

Insomma, per l’ennesima volta abbiamo avuto la testimonianza che le donne non sono protette. E non abbiamo bisogno di uomini che dicano che “loro non lo fanno“, che “non tutti gli uomini sono così“. Abbiamo bisogno di uomini, e di donne, che approfittano del potere che hanno per poter dare una mano, per far sentire non solo la propria voce, ma soprattutto quella che tantissime altre persone, non hanno. Ma alla fine dei conti, non abbiamo bisogno di protezione. Abbiamo bisogno di rispetto e, soprattutto, di educazione. Educate i vostri figli al rispetto per il prossimo.

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Fonte: Pinterest

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