Il rapport Neet e la disoccupazione giovanile in Italia

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L’Italia non è un paese per giovani. Lo abbiamo detto più volte, e lo ripeteremo all’infinito. Non si va avanti: omofobia, razzismo, discriminazioni, università solo per chi se le può permettere, giornalisti che alimentano la cultura della fretta, suicidi, nessuna importanza alla salute mentale, lavoro inesistente, precariato, tirocini e stage gratuiti, nessun salario minimo… E adesso veniamo a scoprire che l’Italia è anche il paese europeo con il più alto numero di Neet: ma la colpa è dei giovani o di chi non dà loro un futuro?

Chi sono i Neet? Letteralmente «not in education, employment or training», ovvero giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni che non studiano, hanno smesso di cercare lavoro e non sono impegnati in nessun percorso formativo che permetta loro di poter trovare un’occupazione. In genere sono giovani che vivono con le famiglie, gravando anche sul reddito familiare, e a lungo andare sono particolarmente a rischio povertà ed esclusione sociale. Il report “NEET tra disuguaglianze e divari. Alla ricerca di nuove politiche pubbliche“, redatto dalla Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL) in collaborazione con ActionAid, associazione internazionale, i Neet in Italia arrivano fino a 34 anni.

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Ma andiamo passo passo. Perché l’Italia è un Paese di Neet? Perché i giovani continuano a vivere con i propri genitori, senza neanche cercare lavoro? Potremmo ridurlo semplicemente al “sono viziati e vogliono il piatto servito caldo dalla mamma“, ma non ci credo che non vi siate chiesti: perché? Il problema è che non c’è lavoro. Se un tempo magari con un diploma di scuola superiore potevi sognare di lavorare, oggi diviene sempre più difficile. Persino con la laurea triennale, è divenuto più complesso. Spesso si chiede una magistrale e, perché no, anche un master!

E ovviamente l’esperienza. Come non si può chiedere a un 18enne di avere esperienza? O come non la si può chiedere a un giovane che ha passato gli ultimi cinque anni solo a studiare? Quindi dopo aver cercato, e cercato, e aver trovato stipendi che ti farebbero fare la fame (troppo complesso stabilire un salario minimo per evitare lo sfruttamento dei giovani?) o condizioni di lavoro inammissibili, si sono arresi, demoralizzati, e hanno deciso di essere dei Neet. E ora passiamo al rapporto.

Il rapporto sui Neet italiani

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Il rapporto di 146 pagine intitolato “NEET tra disuguaglianze e divari. Alla ricerca di nuove politiche pubbliche” è stato curato da ActionAid e dalla CGIL Nazionale, con la prefazione di Giustina Orientale Caputo, Alessandro Rosina e Chiara Saraceno. È diviso in diversi capitoli, che noi non tratteremo interamente ma di cui parleremo in linea generale. Il rapporto è stato presentato «a Roma insieme alle raccomandazioni verso il nuovo Governo e Parlamento per indirizzare le politiche nazionali e territoriali per i giovani, a partire anche dalle lezioni apprese dai principali programmi di intervento, tra cui Garanzia Giovani».

Cosa dice il rapporto? In primis, nel Sud Italia c’è la più alta presenza di giovani che non studiano, non lavorano e non si formano, che equivale al 39% rispetto al 23% del Centro Italia, al 20% del Nord-Ovest e al 18% del Nord-Est. Tutte le regioni italiane superano l’incidenza media dei NEET sulla popolazione giovanile in Europa nel 2020 che resta al 15%. Forse, quindi, il problema non sono i giovani, o i giovani italiani, quanto più l’Italia che non è un Paese per giovani.

Dei dati appena letti, il 56% sono donne, come è risultato anche negli anni precedenti: questo dimostra quanto sia più complesso per una donna uscire da questo target di persone. «Le disuguaglianze di genere si riproducono anche osservando i ruoli in famiglia dei NEET: il 26% sono genitori e vivono fuori dal nucleo familiare di origine; tra questi c’è un’ampia differenza tra donne e uomini che vede un 23% di madri NEET rispetto ad un 3% di padri NEET. Il 20% delle NEET sul totale della popolazione dei NEET italiani sono madri inattive. La motivazione all’inattività è spesso legata alla disparità di genere nei carichi di cura». Dei Neet italiani, la maggior parte sono inattivi:

  • Il 66% del totale, quindi 2 su 3, e tra questi circa il 20% non cerca ma è disponibile;
  • C’è una tendenza ad essere inattivi soprattutto tra i diplomati (32%) o con un titolo di studio minore (16%);
  • Rispetto ai disoccupati (coloro che cercano regolarmente un lavoro) il dato preoccupante è relativo al tempo: il 36,3% dei disoccupati è in cerca di un lavoro da più di un anno;
  • Quasi 1 su 2 ha avuto precedenti esperienze lavorative e tra questi il 54,3% è donna.
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Nel rapporto vengono anche evidenziati quattro diversi gruppi di neet:

  1. Giovanissimi fuori dalla scuola: «hanno dai 15 ai 19 anni, senza precedenti esperienze lavorative e inattivi. Non percepiscono un sussidio, hanno soltanto la licenza media e vivono in un nucleo familiare composto da coppia con figli. Si tratta di un gruppo abbastanza residuale, ma allo stesso tempo significativo rispetto alla popolazione e trasversale a tutta l’Italia».
  2. Alla ricerca di una prima occupazione. Sono residenti nel Mezzogiorno: fra i 20 e i 24 anni, «hanno la cittadinanza italiana e il diploma di maturità. Sono in un nucleo familiare monogenitoriale, maschi e vivono in una città metropolitana o grande comune. Questo è il cluster più numeroso e mette in luce la fragilità del mercato del lavoro del Sud».
  3. Ex occupati in cerca di un nuovo lavoro: «Hanno tra i 25 e i 29 anni, hanno perso o abbandonato un lavoro e ora sono alla ricerca. Sono principalmente maschi, con un alto livello di istruzione, appartenenti ad un nucleo familiare single e percepiscono un sussidio di disoccupazione. Vivono nelle regioni centrali del Paese».
  4. Scoraggiati: «giovani dai 30 ai 34 anni con precedenti esperienze lavorative e ora inattivi. Sono principalmente residenti nelle regioni del Nord Italia e in aree non metropolitane. Incidono in questo gruppo il genere femminile e il nucleo familiare composto da una coppia senza figli».

La vicesegretaria generale di ActionAid, Katia Scannavini, ritiene che servano «politiche integrate, sostenibili nel tempo e che rispondano in modo efficace ai bisogni specifici dei giovani, riconoscendo tra le cause della condizione di NEET le disuguaglianze che attraversano l’intero Paese. È necessario ripensare ai servizi, lavorare a stretto contatto con i territori, rafforzare le reti di prossimità, intercettare i giovani più lontani dalle opportunità. Prevenire e contrastare il fenomeno NEET significa per ActionAid garantire giustizia economica e sociale alle nuove generazioni, l’esercizio dei propri diritti, l’accesso ad eguali opportunità, indipendentemente dalla condizione socioeconomica di partenza, dal genere, dalla cittadinanza e dalla Regioni in cui si vive».

Il segretario confederale della CGIL, Christian Ferrari, invece ritiene che occorra «modificare la narrazione sui giovani nel dibattito pubblico, per ridare loro centralità nelle politiche e negli interventi dei prossimi anni. I giovani non sono il problema del nostro Paese, ma una straordinaria risorsa fin qui inespressa. Le condizioni di contesto, infatti, li hanno relegati troppo spesso in una situazione di esclusione sociale come quella dei Neet». Ritiene anche indispensabile partire «dall’analisi delle politiche pubbliche che non sono riuscite a ridurre l’evidente svantaggio delle nuove generazioni, come la cosiddetta Garanzia Giovani».

Per far ciò, conclude, bisognerebbe contrastare la precarietà nel lavoro, rilanciare gli investimenti sul sistema pubblico di istruzione e formazione e utilizzare efficacemente le risorse che l’Europa sta mettendo a disposizione, dal Pnrr ai Fondi strutturali. «Sono questi gli ambiti prioritari su cui agire per invertire la tendenza». E noi speriamo davvero che possano riuscirci, perché l’Italia ha bisogno di una rinascita, e per far ciò deve poter contare sui giovani. Vi ricordiamo che il 18 novembre è indetta una manifestazione nazionale.

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