La giornata delle donne in Afghanistan, in Iran e in Polonia

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Felice giornata delle donne, ma come dice Malala Yousafzai: «Ho alzato la voce, non in modo da poter urlare, ma per far sentire quelli senza voce. Non possiamo avere successo quando metà di noi rimangono indietro», e noi che abbiamo questa voce abbiamo la responsabilità di parlare per chi sta ancora lottando. Ho deciso di portare tre esempi, di cui si parla più di altri ma di cui comunque non si parla abbastanza. L’Afghanistan, dove le donne non possono studiare e hanno difficoltà a lavorare o viaggiare; l’Iran dove le donne vengono uccise semplicemente perché manifestano o non indossano correttamente l’hijab; la Polonia, dove le donne non hanno il diritto di abortire.

Giornata delle donne…

…in Afghanistan

Mesi fa, ormai più di un anno fa, abbiamo ascoltato con i brividi la conferenza stampa dei talebani in cui dicono di essere cambiati, di voler rispettare i diritti delle donne di lavorare o essere indipendenti, come anche hanno detto di rispettare l’orientamento politico, tanto che hanno detto che non si vendicheranno delle persone che sono state amiche della democrazia. Hanno precisamente affermato che «non ci vendicheremo con nessuno. I diritti delle donne saranno tutelati dalla Sharia». Ma qualcuno ci ha creduto?

«Ci impegniamo per i diritti delle donne all’interno della Sharia. Le donne potranno avere attività in settori e aree diverse, come l’educazione e il sistema sanitario, lavoreranno spalla a spalla con noi. Se la comunità internazionale è preoccupata, assicuriamo che non ci saranno discriminazioni all’interno della nostra cornice di Sharia. Permetteremo alle donne di lavorare e studiare all’interno del nostro sistema.

Le nostre donne sono musulmane e saranno quindi felici di vivere dentro la cornice della Sharia. Permetteremo alle donne di studiare e lavorare all’interno della cornice della Sharia, saranno attive nella società ma rispettando i precetti dell’Islam. Le donne sono parte della società e garantiremo i loro diritti nei limiti dell’Islam».Parole dei talebani alla conferenza stampa

Tuttavia nella stessa conferenza stampa dissero anche che avrebbero rispettato «i media all’interno della nostra cornice culturale. I media privati possono continuare la loro attività con alcune richieste: l’Islam è un valore molto importante», sottolineando che i media «non devono essere in contrasto» perché l’Islam «deve essere considerato per lo sviluppo dei programmi. I media devono essere imparziali, possono criticare il nostro lavoro così possiamo migliorare e non devono andare contro l’unità nazionale».

Nella realtà però, come fa sapere Committee to Protect Journalists (CPJ), «i talebani questa settimana hanno perquisito le case di almeno quattro giornalisti e operatori dei media», facendo sapere che ««sta indagando sulle ultime notizie secondo cui militanti talebani oggi hanno picchiato almeno due giornalisti nella città di Jalalabad, provincia di Nangarhar (Est), dove stavano seguendo una manifestazione contro la presa del potere da parte dei talebani». E non solo.

A dicembre scorso il ministro dell’istruzione superiore ha annunciato che le donne sono ufficialmente bandite dalle università in Afghanistan. Il divieto ha limitato ulteriormente l’istruzione delle donne: le ragazze erano già state escluse dalle scuole secondarie da quando i talebani sono tornati al potere nel 2021, e nelle ultime settimane hanno anche interrotto la vendita di contraccettivi in ​​due delle principali città dell’Afghanistan, sostenendo che il loro uso da parte delle donne è una cospirazione occidentale per controllare la popolazione musulmana.

Le cittadine, ovviamente, sono terrorizzate e angosciate da questa decisione: Zaiban, donna con una figlia ancora piccola, ha detto di usare «segretamente contraccettivi per evitare una gravidanza immediata. Voglio crescere bene mia figlia con adeguate strutture sanitarie e scolastiche, ma i miei sogni sono andati in frantumi quando l’ostetrica la scorsa settimana mi ha informato che non aveva pillole contraccettive e iniezioni da offrirmiHo lasciato gli studi per sposarmi e non voglio che il destino di mia figlia sia uguale al mio. Cerco un futuro diverso per mia figlia. L’ultima speranza di pianificare la mia vita è finita».

Ieri le donne hanno manifestato davanti un’università di Kabul, come si vede in un video condiviso online. I talebani hanno affermato che il divieto universitario era dovuto al fatto che le donne non osservavano le regole dell’abbigliamento islamico e altri “valori islamici“, facendo l’esempio delle studentesse che camminavano senza un tutore maschio. L’interazione tra studentesse e studentesse “non è consentita dalla legge della Sharia“.

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Manifestazione a Kabul

Il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Afghanistan, Richard Bennett, ha presentato un rapporto al Consiglio dei diritti umani a Ginevra in cui si afferma che il divieto dei talebani all’istruzione femminile «può equivalere a persecuzione di genere, un crimine contro l’umanità». Il rapporto elenca varie altre crisi aggravanti, come l’aumento dei matrimoni forzati e precoci, abusi sessuali e aggressioni, il divieto alle donne di altri spazi pubblici come parchi e palestre e altre restrizioni che limitano la capacità delle donne di lavorare e viaggiare in modo indipendente.

…in Iran

In Iran c’è una guerra civile da quando è stata uccisa Mahsa Amini, uccisa dal regime iraniano perché non ha indossato correttamente l’hijab. Perché voleva essere una donna libera. È stata brutalmente picchiata perché non accettava di sottostare a quel regime. Dopo di lei, le donne iraniane, le sue sorelle, hanno cercato di vendicare la sua morte, o meglio di cambiare la situazione per far sì che le donne del futuro possano avere quello che loro non hanno e non hanno avuto: la libertà.

Mahsa Amini è stata arrestata per aver indossato un “hijab improprio” ed è morta durante la custodia. Tuttavia, un capo della polizia iraniana ha categoricamente negato tutte le accuse. «Improvvisamente ha avuto un problema cardiaco mentre era in compagnia di altre persone che ricevevano una guida [ed] è stata immediatamente portata in ospedale con la collaborazione dei servizi di emergenza», ha detto la polizia. Il presidente Ebrahim Raisi ha ordinato al ministro dell’Interno di aprire un’inchiesta sul caso. Diversi legislatori hanno affermato che solleveranno il caso in parlamento, mentre la magistratura ha affermato che formerà una task force speciale per indagare.

Amnesty International intanto ha denunciato la situazione: «Le circostanze che hanno portato alla morte sospetta in custodia della giovane donna di 22 anni Mahsa Amini, che includono accuse di tortura e altri maltrattamenti in custodia, devono essere indagate penalmente. La cosiddetta ‘polizia della moralità’ di Teheran l’ha arrestata arbitrariamente tre giorni prima della sua morte mentre applicava le leggi del Paese sul velo forzato abusivo, degradante e discriminatorio. Tutti gli agenti e i funzionari responsabili devono affrontare la giustizia».

In più, è stata uccisa anche un’altra ragazza: Hadith Najafi, «uccisa da 6 proiettili nella città di Karaj». A ciò si aggiunge anche che il ministro degli Esteri iraniano, Nasser Kanaani, citato dai media statali, ha dichiarato: «Minimizzando la gravità di una serie di blocchi imposti nelle comunicazioni nel Paese, gli Stati Uniti stanno cercando di portare avanti i loro obiettivi contro l’Iran», facendo riferimento a come Elon Musk, con il sostegno del governo USA, ha attivato il servizio Internet satellitarie Starlink, in quanto il governo dell’Iran aveva bloccato l’accesso a internet in tutto il Paese.

Ma non solo Mahsa Amini e Hadith Najafi, anche Mahak Hashemi, 16enne uccisa in Iran perché indossava un cappello invece del velo durante le manifestazioni per i diritti delle donne iraniane. Per riavere il suo cadavere, i genitori della ragazza avrebbero dovuto pagare un riscatto per ottenere il corpo indietro. Non solo, è stato anche vietato di essere in grado di dare un ultimo addio attraverso un funerale o altri tipi di ricordi organizzati pubblicamente. E ancora oggi le donne vengono uccise, giorno dopo giorno… E manifestano, e urlano, e fanno sentire la propria voce. Per se stesse e per le donne del futuro.

Secondo un primo rapporto del comitato scientifico ordinato dal Ministero della salute, «alcuni studenti sono stati esposti a una sostanza irritante (non ancora identificata ndr)», facendo riferimento a dei misteriosi attacchi hanno interessato – in quattro mesi –  230 scuole in 25 province della Repubblica islamica, e che hanno coinvolto soprattutto le studentesse. Delle fonti non confermate infatti hanno accusato dell’avvelenamento degli studenti dei gruppi religiosi radicali che vorrebbero le ragazze fuori dalle scuole e dal diritto all’istruzione, proprio come nel vicino Afghanistan.

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Studentesse in ospedale in Iran

…e in Polonia

E infine voliamo nella vicinia Polonia, un paese dell’Unione Europea che però rende quasi impossibile alle donne abortire. L’anno scorso la Polonia ha preso la decisione di rendere ancora più restrittiva la già restrittiva (più di tutta l’Europa) legge sull’aborto. Prima di questa legge si contavano solo 2000 aborti legali ogni anno, e sottolineiamo legali perché chi ne aveva la possibilità andava all’estero oppure, nel XXI secolo come era fatto quando vivevamo in tempi non fatti per le donne, si sottoponevano a interventi illegali che potevano anche mettere in pericolo la propria vita. Le organizzazioni femministe hanno stimato circa 200.000 aborti totali.

«La Corte costituzionale ha presentato una motivazione scritta della sentenza sulla protezione della vita. Conformemente ai requisiti costituzionali, la sentenza è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale», ha annunciato il Governo polacco, senza se e senza ma, vietando quindi ufficialmente l’aborto. Il testo è stato pubblicato a fine gennaio 2021 e, da quel momento, le donne sono scese nuovamente in piazza. La legge infatti vietava l’aborto anche in caso di grave malformazione del feto, che era anche la forma più comune per cui una donna sceglieva di abortire. Vietando questo caso, quindi, l’hanno pressoché reso illegale.

A queste situazioni, poi, si sono aggiunte anche altre ancora più gravi. Ad esempio, Ad esempio, ricorderete la storia di Izabela, una donna a cui è stato negato l’aborto, decisione che le è costata la vita. Izabela aveva 30 anni, era polacca ed era incinta. Era, perché è morta a Pszczyna a causa di un’infezione dovuta a delle complicazioni sorte nella 22esima settimana di gravidanza. Secondo la legale (Jolanta Budzowska) che rappresenta la famiglia i medici hanno scelto di non operarla per far sì che il feto morisse “naturalmente“, come stabilito dalla legge polacca sull’aborto e che vieta a qualsiasi medico di interrompere delle gravidanze anche per difetti congeniti. Solo che quando è morto il feto, è morta anche Izabela.

Ma non solo: gli stessi medici sono messi in una situazione critica. Jolanta Budzowska, un avvocato con sede a Cracovia che rappresenta la famiglia della signora Sajbor e altri tre in casi di negligenza relativi alla nuova legge sull’aborto, ha detto al New York Times che «la legge ha un effetto agghiacciante sui medici». Il dottor Kochanowicz, direttore dell’ospedale, ha infatti spiegato che i medici «rischiano non solo di perdere il diritto alla pratica, ma anche la responsabilità penaleTutte le decisioni sono gravate dall’ansia». Addirittura è negato di abortire anche alle donne ucraine che si trovano in Polonia per scappare dalla guerra, e che sono state stuprate dai soldati russi.

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Sciopero delle donne in Polonia

C’è comunque un piccolo passo avanti, quindi concludiamo l’articolo con una piccola speranza: proprio nelle ultime ore il Parlamento ha respinto un disegno di legge che avrebbe introdotto pene detentive per “promuovere pubblicamente o chiedere l’aborto” o fornire informazioni su come le donne possono ottenere aborti in Polonia o all’estero. Il disegno di legge, intitolato “L’aborto è un omicidio”, avrebbe proibito di «promuovere pubblicamente qualsiasi attività riguardante la possibilità dell’aborto nel Paese e all’estero» e di «sostenere pubblicamente l’interruzione della gravidanza nel territorio del Paese e all’estero».

Oggi noi donne italiane gioiamo, scriviamo commoventi post sui social e probabilmente faremo anche polemica contro il nostro Presidente e la nostra ministra delle Pari Opportunità e della Famiglia, che sono donne che non ci rappresentano in quanto non vogliono aumentare i diritti delle donne ma, al contrario, sembra che vogliano persino privarci del diritto di scegliere sul nostro corpo. Ma un pensiero facciamolo anche per quelle donne che hanno meno di noi. Per le donne in Afganistan, in Iran e in Polonia. Insieme a tutte le nostre sorelle.

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