La maggioranza non vuole proprio far votare i fuorisede

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Fin troppi studenti e lavoratori hanno dovuto rinunciare al proprio diritto e dovere di voto in numerose occasioni a causa del loro essere dei fuorisede, ovvero delle persone che non vivono nella città in cui hanno la residenza. È il caso di chi, ad esempio, studia in un’altra città e spostare la residenza significherebbe anche rinunciare a una borsa di studio da fuorisede e doverne accettare una da residente. Il governo potrebbe facilmente trovare una soluzione, che vada dal voto online con lo Spid al far votare in presenza nella città dove si è domiciliati, previa richiesta. Ma poi significherebbe far votare i giovani.

Durante le elezioni politiche del 25 settembre, le regioni con la più bassa affluenza elettorale coincidono anche con quelle da cui proviene la maggioranza dei fuorisede (ricordiamo che ha votato il 63,9% dei più di 46 milioni di aventi diritto, dato più basso nella storia repubblicana). A differenza di altri paesi nel mondo, in Italia i fuorisede devono far ritorno al proprio comune di residenza per poter votare, salvo alcune eccezioni. Questa situazione comporta ostacoli economici e logistici che limitano la loro partecipazione al processo elettorale.

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L’associazione no-profit The Good Lobby, che si impegna per una società più democratica ed equa, ha evidenziato il legame tra l’alto tasso di astensionismo alle recenti elezioni politiche e la maggiore concentrazione dei fuorisede in alcune regioni. Questa correlazione può essere osservata confrontando i dati sull’affluenza elettorale con quelli sull’incidenza dei fuorisede tra coloro che hanno il diritto di voto. Più nel dettaglio, la regione dove si è votato di meno è stata la Calabria (50,8 per cento di affluenza), seguita dalla Sardegna (53,2 per cento), dalla Campania (53,3 per cento), dal Molise (56,6 per cento), dalla Puglia (56,6 per cento), dalla Sicilia (57,3 per cento) e dalla Basilicata (58,8 per cento).

Il governo non vuole far votare i fuorisede

In Italia si lotta da anni per far votare i fuorisede, anche grazie a un progetto di legge promosso dal Comitato Voto dove vivo, a prima firma della deputata del Partito Democratico Marianna Madia. Si era riusciti ad arrivare in Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati, assunto come testo base per il proseguimento dell’iter per la formulazione della legge, tuttavia poi ci si è dovuti scontrare contro la Lega e, in particolare, contro Igor Iezzi.

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Il leghista «ha presentato un emendamento sostitutivo del nostro testo. Che cestina il nostro testo e lo sostituisce con una delega al governo per la disciplina della materia. Il punto però è che si tratta di una delega in bianco», ha spiegato Alessandro De Nicola, fuorisede marchigiano che vive a Roma, tra i fondatori del “Comitato voto dove vivo”. Spiega che «la delega avrebbe avuto senso se corredata con dei principi, criteri direttivi, che servono per ispirare l’azione dell’esecutivo. Invece non ci sono. Per questo abbiamo deciso di presentare dei nuovi sub-emedamenti che, però, sono stati bocciati».

Il comitato aveva richiesto che fosse garantito il sistema del voto anticipato presidiato alfine di assicurare il diritto di voto anche ai fuorisede. Questa battaglia è stata portata avanti per anni, e si sperava che tutto il lavoro svolto fino ad oggi non andasse perduto. Due settimane fa, il 22 maggio scorso, la delega al Governo per disciplinare il voto dei fuorisede è finalmente arrivata in aula. Tuttavia, il giorno in cui la discussione e il successivo voto avrebbero dovuto iniziare, i tecnici della Camera hanno evidenziato l’incostituzionalità di una delega priva di principi e criteri direttivi.

Inoltre, manca anche una clausola finanziaria all’interno della proposta, il che significa che i decreti non potranno essere emanati finché non sarà prevista una copertura finanziaria adeguata. La prospettiva di far votare i fuorisede non sarà quindi realizzabile in quanto tra i sub-emendamenti approvati, è stato stabilito un periodo di 18 mesi per l’emissione dei decreti legislativi, che rappresenta un ostacolo alla tempestiva attuazione della misura.

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Inoltre, come spiega De Nicola, il primo comma della delega non specifica per quali tipi di consultazioni elettorali è prevista la possibilità di voto a distanza. Nel secondo comma si afferma che il Governo avrà anche il compito di modificare le tariffe per il rimborso delle spese di viaggio dei fuorisede che ritornano nella loro località di residenza per votare: «Ma quale sarebbe il senso di ciò se l’obiettivo principale della misura è consentire il voto a distanza?».

La maggioranza ha delegato all’esecutivo la responsabilità di prendere decisioni in merito al voto dei fuorisede. Tuttavia, al momento sembra che l’obiettivo principale sia quello di guadagnare tempo e svuotare di significato una proposta che mirerebbe a facilitare l’accesso al voto per 5 milioni di persone anziché garantirlo. Possiamo dire di essere sorpresi?

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