Tante volte abbiamo, ho scritto degli studenti universitari che hanno scelto il suicidio. Ogni volta che ho scritto un articolo del genere, soffrivo tanto. Non solo perché una persona si era tolta la vita. Ma perché questa persona era uno studente proprio come me e molto probabilmente provava le stesse cose che io, insieme a tanti altri universitari, proviamo ogni giorno. Forse avremmo potuto fare qualcosa, forse avremmo potuto salvarlo, pensavo ogni volta. Ma soprattutto mi chiedevo: perché nessuno evidenzia il problema? Perché nessuno interviene in qualche modo? Perché nessuno denuncia le università italiane?
Quando ho pensato di dover scrivere una dedica sulla mia tesi, non ci ho pensato due volte. Le parole mi sono uscite spontanee, una dopo l’altra. A chi non ce l’ha fatta, a chi ha mollato, a chi non si è sentito all’altezza, a chi ha trovato solo porte chiuse, a chi non crede più in se stesso, a chi ha pianto notti intere pensando a quell’esame, a chi si è dato la colpa di ogni fallimento, a chi ha preferito morire invece che fallire ancora. A me, che alla fine ce l’ho fatta. Il mio voleva essere un tentativo di denuncia, ma anche un modo per dare importanza a quelle persone che non ce l’hanno fatta.
Quando uno studente si laurea in tempo record, ne scrivono le più importanti testate. Quando, invece, uno studente si suicida, troviamo giusto qualche quotidiano locale, giornalisti o blogger che scrivono un articolo e poi l’argomento torna nel dimenticatoio. Ed è esattamente quello che non voglio che succeda. Io voglio che se ne parli, che ogni studente abbia il coraggio di parlarne, non solo con la propria famiglia ma anche con i propri colleghi. Voglio che nessuno studente arrivi a scegliere il suicidio (sia chiaro, chi sceglie il suicidio, soffre probabilmente di depressione, quindi avrebbe avuto bisogno di cure ancora più specifiche).
Da quando ho postato la mia tesi online, ho ricevuto tanto affetto, ma soprattutto tantissime persone, incluse mie conoscenti, mi hanno scritto per ringraziarmi, perché anche loro erano fra quelle persone a cui ho dedicato la tesi, perché anche loro avevano subito degli abusi psicologici da parte di alcuni professori. Perché anche loro avevano cominciato a darsi la colpa per qualcosa di più grande di loro. Per questo motivo ho scelto di raccogliere delle testimonianze e riportarne alcune in questo primo articolo: un po’ per conforto, un po’ per denuncia.
La mia tesi di laurea l'ho dedicata a tutti gli studenti che non ce l'hanno fatta, a tutti quelli che si son sentiti un fallimento a causa di un esame, a quelli che non hanno dormito a causa dell'ansia. L'ho dedicata a quelli che si sono suicidati, pur di non "fallire" ancora. pic.twitter.com/OldIZ6Q5hK
— kitty (@murderskitty) June 13, 2022
Università da incubo: le parole degli studenti
Quando ho iniziato l’università, ero ingenuamente convinta che non sarei mai stata bocciata. D’altronde, ho sempre studiato. Ho sempre dato il massimo. Ma all’università questo non bastava. La mia prima bocciatura l’ho avuta con una docente che oggi è in pensione. Poi ho riprovato. E ho riprovato ancora. Alla terza bocciatura mi ha detto che le facevo perdere tempo, che era imbarazzante per lei interrogarmi. Ancora oggi, io, non so il perché. So solo che non ho mai più ridato quell’esame con quella docente, e che ho avuto paura di presentarmi a un appello per mesi.
Poi, in realtà, ho anche assistito a tante situazioni degradanti. Ricorderò per sempre il mio primo esame orale. C’erano la docente e l’assistente. La prima interrogava anche più persone insieme, e se una non andava bene, la denigrava paragonandola all’altra che invece aveva studiato meglio. Ma quello che mi rimase impresso fu una scena in cui buttò a terra il libro di uno studente. Gli disse di raccoglierlo e poi: «ci hai messo più impegno a raccogliere il libro che a preparare quest’esame».
Il mio ultimo esame orale prima di partire in Erasmus, però, è stato online, e ho assistito a una scena terribile. Una studentessa rispondeva alle domande, sembrava anche abbastanza sicura. Ma al docente non piaceva. La bocciò, nonostante avesse risposto alle domande, e lei ha commesso l’errore di chiedergli in cosa dovesse prepararsi meglio, cosa dovesse fare per passare quell’esame che stava preparando da un anno. Gli ha detto che aveva persino la tesi pronta, ma stava rimandando la laurea a causa di quell’ultimo esame.
Lui le rispose urlando, insultandola e dicendole che non si sarebbe mai laureata, le ha chiesto il nome del suo relatore dicendo che gli avrebbe parlato per non farla laureare. Io questo lo chiamo sadismo, crudeltà, non conosco davvero un altro modo per descriverlo. Non so se oggi quella ragazza sia riuscita a laurearsi, ma la mia tesi l’ho un po’ dedicata anche a lei.
Una situazione molto simile me l’ha raccontata Spencer (nome fittizio), che scrive dal Molise: «sono agli sgoccioli del mio percorso magistrale in Storia dell’Arte presso UNIMOL. Sono sempre stata una ragazza molto ansiosa e la cosa si è complicata ancor di più con l’università, soprattutto nel percorso triennale». Per lei, adesso, va un po’ meglio, ma sta comunque avendo diversi problemi con un esame di una materia fondamentale. È alla sua quarta bocciatura, nonostante studi sempre.
La docente la “bullizza” mentre parla: «mi fa le faccette, alza le sopracciglia, addirittura l’ultima volta fece il gesto delle mani nei capelli per poi concludere con: “Lei deve necessariamente avere un handicap, altrimenti non si spiega il motivo di tale ignoranza”». Ma lei non è l’unica: «i ragazzi escono dall’aula piangendo, hanno crisi d’ansia nel mezzo dell’esame liquidate da lei come “scenette napoletane”: ci sono persone che ripetono l’esame anche 9 o 10 volte». E questo ha anche influito sui suoi esami, tanto da non riuscire «più a parlare fluentemente quando è di fronte a me, entro spesso in confusione per paura di essere schernita e ovviamente ciò mi porta ad annullare tutto lo studio fatto nei mesi precedenti».
La cosa che mi ha sconvolta di più, è l’ultima parte della sua testimonianza, dove racconta che il Rettore è già a conoscenza di tutto, ma, essendo una piccola università, consiglia agli studenti di provarlo finché non riusciranno a passarlo. «Vivo le giornate e le nottate con ansia, ho subito un ritardo negli esami perché pensavo che preparandolo da solo avrei avuto maggiore possibilità di successo, ma nulla. Tutta l’università ha il terrore di questa donna, anche i ragazzi* che vi hanno studiato anni fa, dunque la fama (negativa) la precede. Spero che portando la mia esperienza tra tante qualcosa possa cambiare», scrive Spencer. E noi ce lo auguriamo.
Un’altra testimonianza sugli abusi dei professori ci arriva da Aria (nome fittizio), studentessa laureata in Archeologia e che ha deciso di raccontare la sua esperienza alla triennale, in particolare di un laboratorio fondamentale per chi studia archeologia. «La professoressa G era nota a tutti per essere terribile e l’anno precedente ero riuscita ad evitarla, dopo aver sperimentato un mese di un suo corso (perdendo così un semestre, peraltro): dovevo fare qualcosa. Ho scritto al docente con cui volevo seguire il corso per tentare di cambiare, ma non c’è stato verso».
Tuttavia, non si è arresa e ha contattato il Direttore del corso di studi, «chiedendo a lui di poter cambiare, appellandomi al fatto che la Prof G avesse stabilito che il corso sarebbe stato immotivatamente online (un lab. di progettazione a distanza, si salvi chi può!!), specificando che per il mio benessere mentale sarebbe stato dannoso. Sono stata liquidata con poche parole, scaricando la palla ad altri». E qui, dice, inizia il periodo più brutto della sua vita.
«Spesso avevamo lezioni e revisioni al di fuori dei giorni previsti, alcune volte anche fino alle 9/10 di sera. Revisioni durante le quali la classe si trovava divisa in due: una parte di studenti veniva letteralmente adorata dalla Prof G, sulla base di evidenti e indubbie abilità e capacità ottime. Un’altra parte di studenti, che non eccellevano, venivano trattati come degli idioti qualunque, non meritevoli nemmeno del minimo rispetto: offese personali e sul proprio lavoro, grida, sdegno. Naturalmente io ero tra questi», racconta. «Stavo sveglia la notte per soddisfare le sue richieste assurde in tempi brevissimi (seguivo anche altri due corsi), mangiavo mentre stavo al pc, mi è capitato di non avere il tempo per lavarmi i capelli».
«Passavo tutto il giorno tutti i giorni attaccata al pc nel completamento del mio progetto, dovendo lavorare agli altri esami la notte. Avevo letteralmente paura di addormentarmi: dormire significava per me poi svegliarsi e dover affrontare un nuovo giorno d’inferno. Ero divorata dall’ansia: avevo crisi di pianto continue e isteriche, spesso accompagnate da convulsioni violente. Credo di aver anche sfiorato lo sviluppo di un DCA, in quanto stavo ore e ore senza nemmeno bere, mentre in altri momenti ingurgitavo la qualunque.
Mia mamma era preoccupatissima, si era rivolta ad alcuni centri di salute mentale, mi ripeteva che il mio benessere contava più di una laurea o di una rata in più da pagare. Io non volevo sentir ragione: per me ormai era una questione di sopravvivenza, tutta la mia vita era lì, mi aspettava al varco il 18 Febbraio 2021».
La docente ha anche sottolineato che, chi volesse, avrebbe potuto cambiare corso. Ma questo non era possibile. Tutti gli studenti, i docenti e persino il rettore conoscevano le problematiche concernenti questa docente, ma «nella sua pagina del sito di ateneo ogni anno lei rendeva noti i risultati che otteneva nei questionari di gradimento degli studenti». «Qualcuno di noi che diceva la verità c’era, ma tanti (la maggior parte) nascondevano la realtà, scrivendo giudizi positivi temendo poi ritorsioni in sede d’esame. Essendo i questionari anonimi, questo atteggiamento non me lo sono mai spiegata». Lei, però, ha voluto dire la verità.
«Nell’imminenza dell’esame ho compilato molto accuratamente il questionario di gradimento: non mi sono risparmiata, ho raccontato tutto e il mio papiro di disperazione dopo qualche giorno gridava nella pagina della Prof G, in mezzo a tanti conniventi e falsi complimenti dei miei compagni.(Dopo aver ultimato questa mail ho controllato e il mio commento è stato rimosso, allora forse così granitica inscalfibile la G non è)», ci fa sapere. Aria, dopo tanti sacrifici, è riuscita a laurearsi, ma, sottolinea, è stata una laurea «amara».
Anche studiare qualcosa che ci appassiona, però, è importante. Lo dimostra Francesca, una studentessa di 23 anni che è «sempre stata per tutti la studentessa modello, l’orgoglio della famiglia e la ragazza che “non ha mai dato problemi”, come se avere delle difficoltà fosse un problema e una vergogna». Il suo percorso universitario inizia nel 2017 a Foggia, presso la facoltà di economia, per rendere orgoglioso il padre che «per me aveva sempre sognato quella carriera e che rappresentava per lui la prosecuzione logica del mio percorso scolastico».
«Passano i mesi, gli anni e in un batter d’occhio mi ritrovo all’estate del mio terzo anno, quando a 9 esami dalla laurea cado nel periodo di brutto della mia vita. Odiavo quella facoltà, odiavo i professori, odiavo le ingiustizie che per tre anni avevo subito e visto subire ai miei amici, caddi così in una forma di depressione e attacchi di panico.
Cominciavo a non mangiare più e la sola vista dei libri sulla scrivania mi causava attacchi di panico, in più cominciavo a vedere tutti i miei colleghi universitari e i miei amici cominciare a laurearsi, finalmente loro ce l’avevano fatta, ma quello che doveva essere un giorno di festa diventava per me un incubo perché per quanto volessi essere felice per loro non riuscivo a noi pensare a quanto fallita mi sentissi in quel momento».
Non abbiate paura di cambiare facoltà e ricominciare tutto da capo. Non abbiate paura di dire: non ce la faccio. Per oggi ho scelto queste quattro testimonianze, ma le voci delle persone che mi hanno scritto non resteranno inascoltate. Non ho intenzione di finire con quest’articolo, voglio che tutti gli studenti abbiano la possibilità di fare la propria denuncia. Se volete unirvi a noi, mandate la vostra testimonianza a questa mail:raccontaluniversita@cupofgreentea.it
Giulia, 26 anni, laureata in Filologia Italiana con una tesi sull’italiano standard e neostandard, “paladina delle cause perse” e studentessa di Didattica dell’Italiano Lingua non materna. Presidente di ESN Perugia e volontaria di Univox. Amo scrivere, leggere, guardare serie tv e anime, i gatti e seguire le giuste polemiche.
Instagram: @murderskitty