Ennesima tragedia in Italia: uno studente universitario si suicida il giorno della presunta laurea

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Quando l’Italia si renderà conto che c’è qualcosa che non va nel sistema universitario, nei docenti universitari e nella società, sarà troppo tardi. No, è già troppo tardi, perché tantissimi studenti si sono già suicidati per paura di dire di aver fallito. Un altro studente, un 29enne, venerdì si è suicidato a Bologna, gettandosi dal ponte di via Stalingrado. Aveva detto ai suoi genitori che si stava per laureare ma, quando i genitori sono arrivati in città, non lo hanno trovato. Lui, intanto, si buttava dal ponte, concludendo una vita piena di ansia e angoscia.

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Fonte: Pixabay

È facile dire “l’università non è per tutti” o ancora “l’università è una scelta” o ancora “solo i deboli si suicidano“. Perché non proviamo a domandarci: perché gli studenti arrivano a questo punto? Perché semplicemente non dicono di non farcela? Perché non chiedono aiuto? Cosa li porta a sentirsi un fallimento? Io ricorderò per sempre la mia seconda bocciatura a un esame per cui avevo tanto studiato. La ricorderò per sempre con le lacrime agli occhi e l’angoscia addosso. Perché quel giorno la professoressa non mi ha solo bocciata. Lei mi ha umiliata davanti a tutti. E io non ho più voluto neanche provare quell’esame.

Viviamo in una società in cui se uno studente non passa l’esame, la colpa è solo sua. Viviamo in una società che non tiene in considerazione l’ansia, che non è quella cosa che ti fa venire giusto il batticuore prima di un esame, ma è quella che ti fa mancare il respiro, che ti fa dimenticare tutto quello che hai studiato per mesi, che ti fa tremare la voce. Un professore universitario deve valutare le conoscenze dello studente, non le sue capacità di “farsi passare l’ansia“. Ovviamente non tutti i docenti sono così. Per fortuna esistono i professori che ti mettono a tuo agio e ti fanno fare un esame con il sorriso.

Se tutti i docenti fossero così, se tutti i professori universitari volessero promuovere gli studenti senza cercare loro di tagliare le gambe come se il fallimento dello studente non fosse il fallimento del docente, probabilmente in Italia e nel mondo ci sarebbero meno suicidi da parte di studenti universitari. Non sto neanche dicendo che dietro a un suicidio non ci sia un problema psicologico, perché chi si suicida molto probabilmente (non sono una psicologa né una psichiatra quindi non posso dirlo con certezza) soffre della bestia che è la depressione.

Magari tutti i docenti dello studente di Bologna erano perfetti, ma era semplicemente lui che non riusciva a studiare, che avrebbe avuto bisogno di un aiuto psicologico che gli permettesse di capire e accettare di aver scelto la strada sbagliata. E per questo io non li biasimo. Io non me la sento di giudicare chi non ce l’ha fatta, né di dire che l’università è una scelta, perché non è così. L’università in Italia non è una scelta, così come ormai non è una scelta neanche fermarsi alla triennale, perché per il lavoro dei tuoi sogni o anche per un semplice lavoro che non ti faccia morire di fame, oggi servono due lauree e anche un master.

Oggi in Italia gli studenti universitari finiscono sui giornali per due motivi: se si sono laureati troppo presto, e vengono visti come dei prodigi, con 10 articoli solo per loro (e intanto chi non ci riesce, chi è umano e va fuori dai tempi, si sente un fallimento); se non ce l’hanno fatta e sono arrivati a suicidarsi. E la colpa a chi la diamo? Alla pressione psicologica e alla cattiveria di alcuni docenti? All’università che non ti aiuta abbastanza? All’Italia che pretende la laurea per avere un futuro decente? Non serve a niente dare una colpa. Serve intervenire affinché nessuno studente si suicidi più perché sente di non farcela.

Bologna: uno studente universitario si suicida il giorno della presunta laurea

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Fonte: Pixabay

Aveva 29 anni il ragazzo che si è suicidato a Bologna, studiava Economia e Commercio. Aveva tutta la vita davanti ma ha preferito buttarsi da un ponte piuttosto che ammettere di non voler più studiare. Era originario di Pescara ma viveva a Bologna, dove studiare Economia e Commercio. Aveva invitato i suoi genitori a raggiungerlo lì in vista della sua laurea. Tuttavia, la sua laurea quel giorno non c’era. Nessuna festa, nessuna gioia, nessun amico a festeggiarlo, e infatti non aveva neanche avvisato i suoi amici. Solo i suoi genitori. E per questo i due erano anche indispettiti. Alcuni conoscenti, scrive Il resto del Carlino, raccontano che «si vedeva poco, tornava solo per le vacanze estive».

Quando i genitori sono arrivati a Bologna, non l’hanno trovato a casa e l’hanno cercato per tutto il giorno al telefono, ma lui non rispondeva, lui vagava per la città fino ad arrivare al ponte di Stalingrado. Nel frattempo avrebbe mandato un messaggio vocale alla sua ex fidanzata, e poi intorno alle 16 ha contattato un suo amico dicendogli quello che stava per fare. Lui ha ovviamente allertato i soccorsi e si è recato sul posto, ma quando le forze dell’ordine e il 118 sono arrivati, era ormai troppo tardi.

Gabriele Raimondi, presidente regionale dell’Ordine degli psicologi, afferma che questa tragedia «potrebbe essere associata al fatto che sempre più persone si sentano valutate in base ai propri risultati. Un errore psicologico che merita il giusto ascolto per evitare che possa portare a gesti anche dei più gravi, come in questo caso. Il messaggio è che sia ammesso anche fallire, incontrare delle difficoltà, senza per forza essere bollati come ’non validi’ per una propria mancanza

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Fonte: Pixabay

Il consiglio che dà lo psicologo è di creare dei «contesti di ascolto che permettano alle persone di affidare a professionisti le proprie difficoltà per poi analizzarle e superarle, prima che diventino prevaricanti. Nelle scuole, nelle università, la presenza di psicologi che possano intercettare sempre di più e sempre meglio queste situazioni è fondamentale. Così come lo è, da parte delle istituzioni, cercare di rendere sempre più accessibili e avvolgenti queste reti. A maggior ragione adesso che la pandemia ha mutato diversi equilibri per molte persone».

In realtà, in ogni università dovrebbe già esserci un aiuto psicologico, ma come scrive il neo consigliere comunale Detjon Begaj, «quanti studenti lo sanno? C’è una campagna e una comunicazione efficace per farlo conoscere?». Vi rispondo io, che sono una studentessa universitaria: no, non lo sanno, e se ci sono devi aspettare settimane, mesi. Nel frattempo se hai istinti suicidi ti sei già ucciso. Quest’ipotesi è confermata da Francesco Pancotti, psicologo e fondatore di Labascolta:

«La notizia del suicidio di uno studente è di una tragicità assurda. Eppure sono tantissimi i ragazzi che non riescono ad accedere al servizio di assistenza psicologica gratuita offerto dall’Unibo o perché non ne conoscono l’esistenza o perché i tempi di attesa per un incontro arrivano anche ad essere di un anno».

Noi facciamo le nostre condoglianze alla famiglia dello studente di Bologna, sperando che lui sia l’ultimo, che degli altri studenti non arrivino al pensiero che ammettere di fallire è peggio che fallire. Ricordate che ognuno ha i suoi tempi, che sbagliare è umano, che non per forza dovete laurearvi subito. Ricordate che potete chiedere aiuto, che c’è sempre qualcuno che vi vuole bene e a cui manchereste. Ricordate che la vostra vita vale più di un voto all’università.

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