Ragazza suicida a 17 anni dopo violenza di gruppo: la rassegnazione di “non poterla avere vinta mai”

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Ci sono voluti otto anni per solo chiede il processo per i due ventiseienni che, da minorenni, hanno violentato una ragazza di 15 anni insieme a due amici maggiorenni, registrando tutto. La ragazza, due anni dopo, si è suicidata perché non riusciva più a reggere il peso dello stupro, lasciando una lunga lettere d’addio tramite un post su Facebook. Una lettera che dimostra come le donne in questo paese non siano protette e per quanto lottino, a volte non ci riescono. A volte, si trovano davanti delle battaglie che sono troppo difficili da combattere, e si trovano da sole… Abbandonate da chi dovrebbe dare loro la certezza di proteggerle.

Ci dicono di denunciareDenunciate, donne. Denunciate così gli uomini cattivi vengono puniti per quello che vi hanno fatto. Denunciate perché altrimenti non siete poi così dispiaciute di quello che avete subito. Denunciate anche se poi vi chiedono come eravate vestite, e se avevate bevuto, e se avevate detto che non volevate farlo, e se avete chiesto aiuto. Denunciate, donne. Ma non provate a difendervi durante l’atto, perché altrimenti siete colpevoli anche voi. Non provate a toccare il genitale dell’uomo per ferirlo mentre vuole stuprarvi, perché altrimenti siete colpevoli. Fatevi stuprare, e poi denunciate.

Denunciate, donne. Anche se poi comunque sarete voi sotto processo. Era il 1979, e nell’arringa per quello che alla storia è passato come il “processo per stupro“, l’avvocata Tina Lagostena Bassi, spiegava a tutti gli uomini, a tutte le donne e all’Italia intera, cosa significava per una donna denunciare una violenza per stupro:

«Non vi chiediamo una condanna severa, pesante, esemplare, non c’interessa la condanna. Noi vogliamo che in questa aula ci sia resa giustizia, ed è una cosa diversa. Che cosa intendiamo quando chiediamo giustizia, come donne? Noi chiediamo che anche nelle aule dei tribunali, ed attraverso ciò che avviene nelle aule dei tribunali, si modifichi quella che è la concezione socio-culturale del nostro Paese, si cominci a dare atto che la donna non è un oggetto. Noi donne abbiamo deciso, e Fiorella in questo caso a nome di tutte noi – noi le siamo solamente a lato, perché la sua è una decisione autonoma – di chiedere giustizia. Ecco, questa è la nostra richiesta».

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Oggi, nel 2023, abbiamo ancora bisogno di difese di questo tipo, perché quando una donna viene stuprata, le viene chiesto cosa indossasse, se avesse bevuto, se abbia detto che non lo voleva, e come non ricordare ancora il caso che ci ha portato alla condanna della Corte Europea per “pregiudizi sulle donne“, dove degli stupratori sono stati assolti perché la vittima indossava delle mutande rosse, perché era bisex e perché aveva già avuto dei rapporti con due ragazzi del gruppo. Sempre l’avvocata Lagostena Bassi, nella sua arringa evidenziò come in quel processo del lontano 1979, alla fine sembrava che fosse la vittima a essere processata.

«La difesa è sacra, ed inviolabile, è vero.

Ma nessuno di noi avvocati – e qui parlo come avvocato – si sognerebbe d’impostare una difesa per rapina così come s’imposta un processo per violenza carnale. Nessuno degli avvocati direbbe nel caso di quattro rapinatori che con la violenza entrano in una gioielleria e portano via le gioie, i beni patrimoniali sicuri da difendere, ebbene, nessun avvocato si sognerebbe di cominciare la difesa, che comincia attraverso i primi suggerimenti dati agli imputati, di dire ai rapinatori “Vabbè, dite che però il gioielliere ha un passato poco chiaro, dite che il gioielliere in fondo ha ricettato, ha commesso reati di ricettazione, dite che il gioielliere un po’ è un usuraio, che specula, che guadagna, che evade le tasse!”».

E oggi più che mai, sembra che siamo ritornati nel passato. E qualcuno ha il coraggio di dire che non c’è più bisogno del femminismo. Eppure, abbiamo qualcuno di molto importante per l’Italia che parla di testa sulle spalle e occhi aperti, come se dovessero essere le donne a sapere come proteggersi, e non gli uomini a tenere il pene nelle proprie mutande.

La lettera di Alice, vittima di violenza sessuale, suicidata nel 2017

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«Nessuno di voi sa e saprà mai con cosa ho dovuto convivere da un periodo a questa parte. Quello che mi è successo non poteva essere detto, io non potevo e questo segreto dentro di me mi sta divorando», ha scritto nella sua lettera d’addio su Facebook. Era il 2017, la sua violenza si è consumata nel 2015, quindi per due anni la minorenne ha portato con sé questo peso, ha portato con sé quel ricordo che l’ha lentamente distrutta, l’ha resa inerme. No, non il ricordo. Ha portato con le la violenza di genere. Ha portato con sé le mani di quegli uomini che l’hanno uccisa.

Continua nella lettera: «Ho provato a conviverci e in alcuni momenti ci riuscivo così bene che me ne fregavo, ma dimenticarlo mai.. E allora ho pensato ‘Perché devo sopportare tutti i momenti no, Che pur fregandomene, sono abbastanza stressanti, se anche quando tutto va bene e come dico io, il mio pensiero è sempre là? Non sono una persona che molla, una persona debole, io sono prepotente, voglio cadere sempre in piedi e voglio sempre averla vinta, ma questa volta non posso lottare, perché non potrò averla vinta mai, come però non posso continuare a vivere così, anzi a fingere così…».

E quindi Alice si è tolta la vita a soli 17 anni, a causa di quella violenza sessuale per cui alle donne si dice di avere la testa sulle spalle, e di non bere alcool, e di non andare in giro da sole, e di non fidarsi degli uomini che non si conosce. Tante di quelle cose per non dire che semplicemente viviamo in un’Italia che le donne le rispetta solo se sono delle madri (e in alcuni casi, neanche).

Mentre i colpevoli, quelli che hanno lentamente e brutalmente ucciso la ragazza, già vittima di stupro, hanno aspettato ben 8 anni, anzi anche di più, per avere anche solo un processo. Questa è l’Italia che si dice progressista. Questa è un’Italia, non per le donne.

Le indagini e il processo per stupro

Nel corso delle indagini sul suicidio della giovanissima ragazza, avvenuto il 18 maggio del 2017, la squadra mobile ha esaminato varie piste, tra cui l’ipotesi delle sette sataniche, che sono state successivamente escluse non appena gli investigatori hanno scoperto dei video che risalivano a due anni prima, in cui la diciassettenne, all’epoca quindi quindicenne, era coinvolta in atti sessuali di gruppo con quattro ragazzi, di cui due erano minorenni all’epoca. Ci ricorda, sotto un certo punto di vista, la storia di Tiziana Cantone, che si è suicidata a causa del revenge porn. Che si è suicidata a causa di uomini che considerano le donne come oggetti, e non come persone.

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Secondo l’atto di accusa dei pm della procura di Palermo Luisa Bettiol e Giulia Amodeo, i quattro presunti stupratori, avrebbero approfittato della condizione di inferiorità non solo fisica ma anche psichica della vittima, che aveva assunto sostante alcoliche. Eppure, nonostante ciò, più volte la ragazza avrebbe detto rasi difficile da fraintendere (ricorda: Stupro di gruppo: l’Italia che odia le donne): «Non voglio», «non posso», «mi uccido», «no, ti prego.. mi sento male». Ma gli uomini (non bestie, uomini!) la tenevano ferma e, uno per volta, la stupravano. E registravano tutto.

Oltre all’accusa di violenza sessuale di gruppo ai danni di un minore, si aggiunge quindi anche l’accusa di produzione di materiale pedopornografico. Questa seconda ipotesi di reato ha portato alla competenza della procura di Palermo, a cui sono stati trasmessi i documenti dai colleghi di Agrigento. I quattro indagati sono accusati di aver realizzato e prodotto materiale pedopornografico, costringendo con violenza e abuso una quindicenne a subire tali rapporti. Eppure, nonostante ciò, ci sono altre due richieste di rinvio a giudizio per i due ragazzi che all’epoca della violenza erano minorenni.

L’udienza preliminare davanti al giudice per l’udienza preliminare Antonina Pardo è stata programmata per il 10 ottobre. Oltre ai due ex minorenni, che hanno designato gli avvocati Daniela Posante e Marco Giglio come difensori, sono coinvolti altri due giovani, più grandi di loro di pochi mesi. La procura ordinaria di Palermo ha già avviato procedimenti nei loro confronti, dato che erano maggiorenni al momento dei fatti, e ha richiesto da tempo il rinvio a giudizio. L’udienza preliminare per questi ultimi è invece fissata per il 4 ottobre.

Giustizia per Alice, per tutte le donne vittime di violenza sessuale. Perché non possiamo vivere con la costante paura che un uomo ci fraintenda.

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