Stupro di gruppo: l’Italia che odia le donne

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Non è un’Italia fatta per le donne. È un’Italia che ci dice di denunciare, ma poi ci violenta di nuovo con domande e articoli in cui fanno sembrare noi le colpevoli. È un’Italia che cresce e difende uomini violenti, inclini allo stupro. È un’Italia in cui da una parte una ragazza di 20 anni viene stuprata da un gruppo di 7 amici che la fanno ubriacare proprio per abusare di lei, e dall’altra assolve dei ragazzi stupratori di una ragazza perché non avrebbero compreso il no della vittima mentre la stavano violentando senza il suo consenso. E poi ci chiedono perché ce ne vogliamo andare.

Ci dicono di denunciare. Denunciate, donne. Denunciate così gli uomini cattivi vengono puniti per quello che vi hanno fatto. Denunciate perché altrimenti non siete poi così dispiaciute di quello che avete subito. Denunciate anche se poi vi chiedono come eravate vestite, e se avevate bevuto, e se avevate detto che non volevate farlo, e se avete chiesto aiuto. Denunciate, donne. Ma non provate a difendervi durante l’atto, perché altrimenti siete colpevoli anche voi. Non provate a toccare il genitale dell’uomo per ferirlo mentre vuole stuprarvi, perché altrimenti siete colpevoli. Fatevi stuprare, e poi denunciate.

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Denunciate, donne. Anche se poi comunque sarete voi sotto processo. Era il 1979, e nell’arringa per quello che alla storia è passato come il “processo per stupro“, l’avvocata Tina Lagostena Bassi, spiegava a tutti gli uomini, a tutte le donne e all’Italia intera, cosa significava per una donna denunciare una violenza per stupro:

«Non vi chiediamo una condanna severa, pesante, esemplare, non c’interessa la condanna. Noi vogliamo che in questa aula ci sia resa giustizia, ed è una cosa diversa. Che cosa intendiamo quando chiediamo giustizia, come donne? Noi chiediamo che anche nelle aule dei tribunali, ed attraverso ciò che avviene nelle aule dei tribunali, si modifichi quella che è la concezione socio-culturale del nostro Paese, si cominci a dare atto che la donna non è un oggetto. Noi donne abbiamo deciso, e Fiorella in questo caso a nome di tutte noi – noi le siamo solamente a lato, perché la sua è una decisione autonoma – di chiedere giustizia. Ecco, questa è la nostra richiesta».

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Oggi, nel 2023, abbiamo ancora bisogno di difese di questo tipo, perché quando una donna viene stuprata, le viene chiesto cosa indossasse, se avesse bevuto, se abbia detto che non lo voleva, e come non ricordare ancora il caso che ci ha portato alla condanna della Corte Europea per “pregiudizi sulle donne“, dove degli stupratori sono stati assolti perché la vittima indossava delle mutande rosse, perché era bisex e perché aveva già avuto dei rapporti con due ragazzi del gruppo. Sempre l’avvocata Lagostena Bassi, nella sua arringa evidenziò come in quel processo del lontano 1979, alla fine sembrava che fosse la vittima a essere processata.

«La difesa è sacra, ed inviolabile, è vero.

Ma nessuno di noi avvocati – e qui parlo come avvocato – si sognerebbe d’impostare una difesa per rapina così come s’imposta un processo per violenza carnale. Nessuno degli avvocati direbbe nel caso di quattro rapinatori che con la violenza entrano in una gioielleria e portano via le gioie, i beni patrimoniali sicuri da difendere, ebbene, nessun avvocato si sognerebbe di cominciare la difesa, che comincia attraverso i primi suggerimenti dati agli imputati, di dire ai rapinatori “Vabbè, dite che però il gioielliere ha un passato poco chiaro, dite che il gioielliere in fondo ha ricettato, ha commesso reati di ricettazione, dite che il gioielliere un po’ è un usuraio, che specula, che guadagna, che evade le tasse!”».

E oggi più che mai, sembra che siamo ritornati nel passato. E qualcuno ha il coraggio di dire che non c’è più bisogno del femminismo.

Stupro di gruppo: da Firenze a Palermo

Dico che non è un’Italia per le donne, perché nel momento in cui una donna viene stuprata o molestata, neanche i tribunali sono dalla sua parte. Abbiamo tutti sentito parlare del bidello che ha toccato il sedere e le parti intime di una diciassettenne e che è stato assolto perché ritenuto uno scherzo e perché “sotto i 10 secondi“. E si crea un precedente. E poi a Firenze una ragazza viene stuprata da tre ragazzi che dovrebbero essere suoi amici, dice più volta di smetterla, ma loro non sarebbero capaci di comprenderla. Hanno frainteso. E si crea un altro precedente. E le donne, intanto, vengono molestate e violentate.

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Era il 2018, lei era appena maggiorenne e stava per iniziare il suo ultimo anno di scuola. Ha ripetuto più volte di smetterla, la vittima di Firenze, ai tre stupratori che erano suoi amici e con cui con uno dei tre aveva anche avuto una storia. Si trovavano a una festa a casa di amici, aveva bevuto in particolare vino rosso, e aveva anche fumato. Forse per il mix di tutto, si sente male. E fin qui, le varie testimonianze, sono tutte concordi. Poi, però, i presenti dicono cose diverse, e per il giudice gli altri partecipanti sono più affidabili della ragazza che avrebbe fornito dichiarazioni inconsistenti (poiché è stata interrogata più volte nel corso di tre anni).

D’altro lato, per il giudice sembra poco plausibile che la ragazza possa ricordare con chiarezza di aver chiesto agli stupratori di smettere (insieme ad altri dettagli), considerando il suo stato di alterazione dichiarato. Tuttavia, un altro elemento che induce il giudice a dubitare è il comportamento aperto della giovane donna. In particolare il fatto che la vittima aveva avuto in precedenza un rapporto sessuale con uno degli stupratori, pochi mesi prima dell’episodio di stupro. Inoltre, non si era opposta neppure alla registrazione di questo rapporto sessuale tramite telefono cellulare da parte degli altri due presenti.

Eppure lei, comunque ubriaca e che io sappia quando sei ubriaco non sei proprio al cento per cento delle tue facoltà, racconta di averli implorati di smettere, e uno di loro, forse, se n’è anche accorto ma se n’è fregato. Racconta Il Tirreno che «uno di loro, ridendo, diceva “Questo è uno stupro” e l’amico, gli rispondeva “No, no, vai tranquillo”». Il giudice però mette come motivo di assoluzione:

«Non solo la persona offesa aveva avuto, nei mesi precedenti, dei rapporti sessuali con un imputato, con il quale, quindi, aveva un rapporto “intimo” e non conflittuale, ma tale rapporto era avvenuto in modo tale da poter essere percepito dagli altri imputati (basta guardare il filmato per comprendere la distanza ravvicinata alla quale era stato girato)… Ciò non può non aver influito nella determinazione, in capo agli imputati, della “falsa” convinzione della libera disponibilità della ragazza a qualsiasi tipo di rapporto».

Nella motivazione aggiunge anche che «la ragazza era in uno stato di alterazione più o meno accentuato e non appariva in grado di esprimere un valido consenso a un rapporto plurimo». Quindi… Non può dare un consenso perché ubriaca, e sappiamo che il consenso non si può dedurre dai comportamenti precedenti. Eppure il giudice ha comunque assolto gli imputati perché lei si è fatta riprendere mentre aveva un rapporto con uno di loro.

Il Tirreno riporta le parole del magistrato sul consenso della ragazza: «Il problema è che tale consenso, laddove pure vi fosse stato, a settembre sarebbe stato viziato… Tuttavia, gli imputati, anche perché condizionati da un’inammissibile concezione pornografica delle loro relazioni con il genere femminile, forse derivante da un deficit educativo e comunque, frutto di una concezione assai distorta del sesso, hanno, quindi, errato nel ritenere sussistente il consenso della ragazza, quanto meno dopo i primi approcci». Gli stupratori/non stupratori per il giudice e per la legge al momento, non avevano «la piena consapevolezza della mancanza di consenso della ragazza o della sua preponderante alterazione psico-fisica».

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Allo stesso modo, a Palermo una ragazza di 20 anni ha denunciato sette ragazzi che l’hanno stuprata al Foro Italico dopo averla fatta bere proprio con l’intento di avere uno stupro di gruppo con lei. Come riporta Il Corriere, uno dei giovani avrebbe detto al barman: «falla ubriacare che poi ci pensiamo noi». Tra gli indagati c’è anche un minorenne, perché è evidente che le famiglie e le scuole non riescono proprio a educare i propri figli maschi al rispetto per le donne e per il consenso.

La ragazzina è stata soccorsa da due passanti che le hanno fatto chiamare il fidanzato, e poi è stata portata al pronto soccorso e dai medici, poi ha raccontato agli inquirenti di aver incontrato degli amici, di aver bevuto e fumato insieme, e poi di essersi allontanati. Fra questi ragazzi c’era anche uno di cui lei si fidava e che conosceva da tanto tempo:

«Angelo (il nome dell’amico ndr) non mi ha toccata, a differenza degli altri, ma si è limitato a filmare la scena con il proprio telefono cellulare. Poco prima che io chiamassi il mio ragazzo, quando mi sono accasciata a terra, ho sentito che uno dei miei aggressori ha chiesto ad Angelo di condividere con lui il video e questi ha risposto di averlo già cancellato. Se n’è sicuramente liberato perché si è spaventato nel vedere le mie condizioni, tant’è che l’ho sentito commentare: “questo è uno stupro di massa”».

I video, però, sono stati trovati nei cellulari di due degli arrestati. Le indagini si sono svolte per mesi anche tramite i social che hanno consentito di identificare tutti. Addirittura dopo l’arresto dei primi tre il 3 agosto per ordine del Gip Clelia Maltese, due degli indagati scherzavano sul fatto che, quando i carabinieri li avrebbero arrestati, sarebbero finiti al telegiornale. Adesso sono stati arrestati tutti e sette, e speriamo che l’Italia possa dare giustizia a questa ragazza e a tutte le altre, e soprattutto che smetta di vedere le donne come degli oggetti e gli uomini incapaci di libero arbitrio. Perché un uomo sceglie di stuprare.

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