Caso P38: il silenzio mediatico, le perquisizioni e i processi verso una band musicale

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Forse ancora non ci rendiamo conto della gravità della situazione. Forse i giornali più mainstream non sono riusciti a trasmettere cosa significhi indagare una band musicale per le loro canzoni, per i loro testi. La musica, i testi, possono piacere come non piacere. Da anni e anni, forse ancor prima che i membri della P38 (perché, ovviamente, parliamo di loro) nascessero o prima che potessero ancora leggere, esistono band neofasciste, ma nessuna di loro è stata mai indagata per apologia del fascismo. Perché sono delle band musicali. Non sono terroristi, non sono dei politici che cantano alla radio Faccetta Nera o hanno busti di Mussolini in casa.

Da un paio d’anni si parla della band trap P38, principalmente per condannare i loro testi musicali molto controversi in quanto parlano di un periodo storico molto particolare e ancora sentito da molti, come quello degli anni di piombo e delle Brigate Rosse. Pensiamo a Giorgia Meloni, che lo scorso maggio condannò la sinistra che non disse una parola sulla band, «che nelle sue canzoni inneggia alle Brigate Rosse e oltraggia la memoria di Aldo Moro. Silenzio sugli eredi del PCI che in provincia di Roma celebrano la vittoria dell’URSS con la ‘Z’ a inneggiare all’invasione dell’Ucraina». Ma lei ha mai detto qualcosa sulla band di Gianluca Iannone?

Chi è Gianluca Iannone, vi chiede? Iannone è il presidente di CasaPound, movimento politico di estrema destra con matrice neofascista, ma non solo. È anche leader e front-man di ZetaZeroAlfa, gruppo musical alternative rock e neofascista italiano, di genere Rock Against Communist. Continuiamo, però. Conoscete la band Avrora? Più volte si sono esibiti con la band neofascista, e nel 1998 hanno pubblicato una canzone dal titolo “Piccolo coatto antico in un corpo da bambina“, dedicata, pensate un po’… Alla nostra premier, Giorgia Meloni. Divertente, divertente, ma torniamo ai P38.

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Giorgia Meloni

La band trap P38, per chi non la conoscesse, è formata da un gruppo di ragazzi tra i 25 e i 33 anni che si esibisce con delle maschere in volto (stile Pussy Riot, d’altronde ci hanno dimostrato che le maschere per nascondere la propria identità servivano per davvero) e che sta facendo parlare molto di sé da qualche mese in quanto scrivono dei testi molto provocatori. Nel video di Ghiaccio in Siberia, ad esempio, dicono di avere «Mario Draghi nel cofano» mentre si trovano in viale Aldo Moro, sotto la sede della Regione Emilia Romagna. Ovviamente, tanti familiari delle vittime delle stragi si sono mosse per vie legali.

Ci teniamo a precisare che i testi delle canzoni della P38 possono piacere come non piacere, possono disgustare come non farlo, d’altronde sono davvero tanto provocatori e sicuramente non tutti riescono (e vogliono) a cogliere la goliardia e la provocazione considerando che il periodo storico non è poi così lontano. Ma già lo scorso maggio la band, che a fine 2022 ha annunciato lo scioglimento, ha provato a spiegare la propria arte, proprio con una citazione di Theodor Adorno: «Il compito attuale dell’arte è di introdurre il caos nell’ordine», tuttavia evidentemente non è bastato, dato che addirittura sono stati chiesti i domiciliari nei loro confronti (una band musicale!).

I P38 si spiegano: ma nessuno vuole ascoltarli

Il 2022 è stato l’anno in cui si è parlato più di P38, in particolare dopo un concerto ad aprile dove Bruno D’Alfonso, figlio del carabinieri Giovanni D’Alfonso, morto in seguito a un sequestro da parte delle Brigate Rosse nel giugno del 1975, ha denunciato i ragazzi. E ancora dopo il concerto presso il Circolo Arci Tunnel di Reggio Emilia. Da quel momento, i P38 sono ufficialmente diventati dei terroristi, nonostante nella loro musica si ascolti (citiamo un articolo del The Guardian) «la rabbia dei lavoratori pagati 3 euro l’ora e di una generazione sconfitta dalla classe lotta che sopravvive di meme e disperata ironia».

Il 25 novembre del 2022, i membri dei P38, che in arte si chiamano Astore, Jimmy Pentothal, Dimitri e Yung Stalin sono stati identificati dalla polizia (davvero stile Pussy Riot solo che siamo in Italia) e le loro abitazioni sono state perquisite. Adesso sono indagati dalla Procura di Torino, accusati di istigazione a delinquere, con aggravante per terrorismo. Per loro erano stati chiesti anche i domiciliari (una band musicale!). Se saranno giudicati colpevoli, rischiano una condanna a più di otto anni.

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«Crediamo che la Procura di Torino ci abbia scambiato per un gruppo terroristico quando in realtà siamo solo un gruppo musicale. Sicuramente nelle nostre canzoni diciamo cose forti… forse inaccettabili per certi versi. Ma non speriamo nel ritorno della lotta armata. Stiamo maldestramente cercando di fare qualcosa d’artistico. Che ha, ovviamente, una connotazione politica, come qualsiasi opera artistica», fanno sapere i ragazzi nell’intervista con Il The Guardian. Molto interessante anche il documentario con VDNews disponibile su Youtube e su Instagram (fa comprendere che dietro i P38 non ci siano dei terroristi, ma semplicemente dei ragazzi che fanno parte di una generazione arrabbiata con uno Stato che gli continua a togliere il futuro).

«In un faldone d’accusa di 1600 pagine, i nostri testi vengono estrapolati dal contesto e dal genere musicale e diventano deliranti dichiarazioni programmatiche. Eppure la sentenza del GIP parla chiaro, e dà ragione a chi pensa che i reati di Apologia e Istigazione al Terrorismo, nel nostro caso, non si applichino. Nell’appello dei PM il nostro caso viene messo in analogia con procedimenti penali che si sono svolti, nel periodo di maggior forza dell’ISIS, riguardo la diffusione in Italia di materiale di matrice jihadista», scrivono in un post su Instagram.

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Fotografia: Marta Clinco / Notizie VD.

Continuano: «Per non farsi mancare niente, tra le motivazioni addotte per l’applicazione di misure cautelari nei nostri confronti risulta anche l’esistenza di nostri post sui social in cui si palesa oggettivo l’interessamento alla causa del movimento NO TAV, nonché la nostra indignazione per la situazione di Alfredo Cospito, e infine la nostra solidarietà con la lotta del Collettivo di Fabbrica KFN. Stare dalla parte di chi lotta per un mondo migliore è evidentemente considerato un aggravante».

L’udienza è prevista a marzo, mese il cui «sapremo se il collegio di Torino vedrà in noi un gruppo trap comunista o dei pericolosi terroristi eversivi». In un post di qualche settimana fa, sottolineano anche che «questa vicenda non tocca solo noi, ma costituisce un precedente per la libertà artistica di chiunque». Emilio Gatti, sostituto procuratore di Torino, lo definisce un «caso estremamente raro», e per fortuna! L’Italia è uno stato libero: non si è mai indagata una band (ed esistono persino i partiti) neofascista, in che modo può essere legale accusare di terrorismo una band musicale (a prescindere da quanto sia condivisibile o no la loro musica)?

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