L’Unione Europea conclude l’azione legale contro la Polonia per le LGBT-Free Zone

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La Commissione Europea ha concluso la sua azione legale contro la Polonia per l’adozione da parte delle autorità locali di risoluzioni anti-LGBT, meglio conosciute come LGBT-Free Zone. I gruppi per i diritti della popolazione polacca hanno espresso diversa preoccupazione per la decisione, in quanto la maggior parte di tali risoluzioni rimangono in vigore. Tuttavia, sembra che, tramite un’interrogazione di OKO.press (un noto sito web di notizie), il caso sia stato ufficialmente chiuso il 26 gennaio dalla Commissione. La comunità LGBT della Polonia, quindi, è stata nuovamente abbandonata?

Il problema omofobo in Polonia è un gravissimo problema da ormai anni, quando è stata introdotta la Carta della Famiglia polacca che però prendeva in considerazione solo la famiglia eterosessuale escludendo in maniera totale quelle LGBT. Si sono aggiunte poi tante situazioni, come, ad esempio, i vescovi che volevano guarire gli omosessuali tramite delle cliniche create ad hoc. Il colmo lo si è però raggiunto con le LGBT-Free zones.

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Cosa sono le LGBT-Free zones? Sono delle città o addirittura comuni conservatori che hanno firmato delle dichiarazioni negli ultimi tre anni affermando di essere «liberi dall’ideologia LGBT» oppure semplicemente sostenendo il «matrimonio tradizionale», insomma, in altre parole, essendo degli omofobi. A riguardo si è anche espressa a marzo scorso Ursula von der Leyen, Presidente della commissione europea, che in un tweet ha scritto «Essere noi stessi non è un’ideologia. È un’identità. Nessuno può portarcelo via», allegando la bandiera LGBT.

Tutto questo avvenne dopo che Clément Beaune, Segretario di Stato incaricato degli Affari europei presso il Ministero dell’Europa e degli Affari Esteri della Repubblica francese e che ha fatto coming out lo scorso dicembre, ha denunciato l’omofobia polacca: «le autorità polacche mi hanno specificato che non erano in grado di pianificare questa visita, e me ne rammarico profondamente. È una decisione che deploroAi miei occhi, non è così che si dovrebbe comportare uno Stato membro dell’UESe ho deciso di visitare comunque la Polonia è perché un altro tema, altrettanto importante ai miei occhi, è emerso: quello dei diritti delle donne ad abortire».

In ogni caso, finalmente, dopo mesi di attesa, l’Unione Europea alza la voce contro gli stati più omofobi del nostro territorio, la Polonia e l’Ungheria. L’avviso pubblicato sul sito ufficiale dell’Unione Europea inizia con una frase della presidente Ursula von der Leyen al Parlamento Europeo, il 7 luglio 2021: «L’Europa non permetterà mai che parti della nostra società siano stigmatizzate: sia per il motivo per cui amano, per la loro età, la loro etnia, le loro opinioni politiche o le loro convinzioni religiose».

Intanto alcune zone LGBT Free sono cadute, hanno deciso di rinunciare in cambio di fondi in denaro (Polonia: tre regioni fanno un passo indietro sulle “LGBT Free-Zones” per non perdere i finanziamenti UE), ma altre hanno resistito, come ad esempio quella del padre del presidente Duda (Polonia: la regione Małopolska preferisce perdere 2,5 miliardi di fondi Ue piuttosto che non essere omofoba). Ma, sebbene diverse zone LGBT Free siano cadute, alcune sono ancora legali, quindi perché la Commissione Europea ha deciso di abbandonare la Polonia?

L’Unione Europea ha chiuso l’azione legale contro la Polonia

Pensavamo che l’Unione Europea si sarebbe occupata della questione omofobia in Polonia, ma sembra che, citando il sito web OKO.press, la Commissione Europea avrebbe affermato che l’azione legale, in data 14 febbraio, non solo era stata sospesa, ma ufficialmente chiusa lo scorso 26 gennaio. Nonostante ciò, il commissario europeo Nicolas Schmit aveva detto che il caso era stato «sospeso, ma non chiuso». La commissione non ha risposto alle domande sul motivo per cui lo aveva fatto.

Justyna Nakielska della Campagna contro l’omofobia (KPH), una delle principali ONG polacche per i diritti LGBT, ha dichiarato al quotidiano Rzeczpsopolita di essere «sorpresa» dalla decisione, soprattutto considerando che «documenti discriminatori sono ancora in vigore in 67 unità di governo locale del paese». «Ci aspettiamo che la Commissione non chiuda un occhio di fronte a quanto sta accadendo in Polonia. Speravamo e speriamo tuttora che utilizzi tutti gli strumenti possibili per condurre duri negoziati con la Polonia. Fino all’abrogazione dell’ultima risoluzione anti-LGBT», ha detto Nakielska.

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Jakub Gawron, attivista di Atlas Hate, si è detto «deluso dalla decisione della Commissione europea. Ciò significa che sta rinunciando alla pressione sul governo sulla questione delle zone anti-LGBT». Ciò significa che sta rinunciando alla pressione sul governo sulla questione delle zone anti-LGBT. Secondo l’Atlante dell’odio, circa la metà delle 67 risoluzioni rimaste, circa la metà condanna esplicitamente “l’ideologia LGBT”. Il resto è il risultato della Carta della Famiglia che non menziona esplicitamente la comunità ma esprimono opposizione al matrimonio tra persone dello stesso sesso e si impegnano a “proteggere i bambini dalla corruzione morale“.

Il governo polacco ha dichiarato: «Era un elemento di dibattito pubblico, che non crea né incide sulla legge in vigore. Lo scopo principale di queste risoluzioni era sottolineare l’importanza e il sostegno dei diritti costituzionalmente protetti dei genitori di crescere i propri figli secondo le proprie convinzioni (articolo 48, paragrafo 1, della Costituzione) e fornire ai bambini un’educazione morale e religiosa e un insegnamento conforme alle loro convinzioni (articolo 53, paragrafo 3, della Costituzione). L’attuazione di queste norme della Costituzione polacca non pregiudica l’applicazione del principio di non discriminazione».

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OKO.press riferisce, sulla base di fonti interne anonime, che la Commissione europea ha archiviato i procedimenti legali contro la Polonia perché le nuove regole implicano che la spesa dell’attuale bilancio dell’UE, che va dal 2021 al 2027, deve essere conforme alla Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Tale documento afferma che «qualsiasi discriminazione basata su qualsiasi motivo, come sesso, razza, colore, origine etnica o sociale, caratteristiche genetiche, lingua, religione o credo, opinioni politiche o di altro tipo, appartenenza a una minoranza nazionale, proprietà, nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale sono proibiti».

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