Con la morte di Matteo Messina Denaro non muore la mafia

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Qualsiasi testata giornalistica oggi ha parlato della vita e della morte di Matteo Messina Denaro, latitante mafioso che ha ucciso e fatto soffrire fin troppe persone, e che all’inizio di quest’anno è stato arrestato dopo ben 30 anni, quando ormai era in fin di vita. Insomma, non è stato effettivamente arrestato Matteo Messina Denaro, boss mafioso, quando più un vecchio malato di cancro che sarebbe morto a distanza di pochi mesi. E così è stato. È stato ucciso da un tumore al colon al quarto stadio, mentre si trovava reparto per detenuti dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila. E oggi tutti lo ricordano, non con commozione, ma con tanta rabbia.

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Matteo Messina Denaro

Lo scorso 19 luglio luglio la corte d’assise d’appello di Caltanissetta ha confermato la condanna all’ergastolo per il boss mafioso, che ha scelto di non partecipare all’udienza tramite videocollegamento. Matteo Messina Denaro era il figlio del vecchio capomafia di Castelvetrano, Ciccio, storico alleato dei corleonesi di Totò Riina, ed era latitante dal 1993, quando in una lettera scritta alla fidanzata dell’epoca, Angela, dopo le stragi mafiose di Roma, Milano e Firenze, preannunciò l’inizio della sua vita da Primula Rossa.

«Sentirai parlare di me, mi dipingeranno come un diavolo, ma sono tutte falsità», scrisse, ovviamente facendo riferimento a come il suo nome sarebbe stato legato a omicidi. Tant’è che il capo mafioso è condannato all’ergastolo per decine di omicidi, tra i quali quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito strangolato e sciolto nell’acido dopo quasi due anni di prigionia, per le stragi del ’92, costate la vita ai giudici Falcone e Borsellino, e per gli attentati del ’93 a Milano, Firenze e Roma. Era l’ultimo boss mafioso ancora ricercato, per cui adesso possiamo ritenere concluso uno dei periodi più bui dell’Italia. Ma non dimentichiamolo.

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Matteo Messina Denaro

Due settimane fa il boss mafioso è stato trasferito dal carcere all’ospedale. «La terapia del dolore è stata personalizzata, seguendo un protocollo standard, e tutti i pazienti reagiscono allo stesso modo», aveva detto il medico responsabile dell’ex mafioso a LaPresse. Nel nosocomio abruzzese, Messina Denaro aveva subito un intervento chirurgico per affrontare problemi intestinali, e inizialmente sembrava essersi ripreso. Tuttavia, le sue preoccupazioni per la salute erano ben radicate da tempo. In precedenza, nello stesso ospedale, aveva ricevuto cure di natura urologica nel giugno scorso, cure non direttamente legate al suo tumore.

Matteo Messina Denaro è morto: chi lo ricorda

Matteo Messina Denaro è morto all’età di 61 anni, latitante da 30. Lui stessa ha ripetuto nell’interrogatorio di febbraio che era stato catturato «per la malattia, senza non mi prendevate», e probabilmente è così. I trent’anni parlano chiaro e troppo forte ed è difficile poterlo smentire, considerando che è stato arrestato per davvero a causa della sua malattia e nel frattempo si trovava letteralmente nel suo paese o nelle vicinanze del suo paese. Com’è possibile che nessuno lo abbia mai notato? Com’è possibile che nessuno abbia mai parlato?

E a proposito della sua terra. Il sindaco di Castelvetrano, Enzo Alfano, ha affermato all’AGI che «questo capitolo nuovo è parte di un percorso già iniziato, che deve continuare e deve condurre alla piena consapevolezza di chi era Matteo Messina Denaro: un assassino uno stragista», sottolineando che Matteo Messina Denaro ormai «non apparteneva più a questa città: totalmente scomparso, gli unici ricordi che i cittadini hanno della sua giovinezza era di un uomo prepotente, che faceva paura». E ancora:

«La sua latitanza ha fatto male a questa terra, è stata una cappa invadente che ha impedito a questo territorio di dispiegare tutte le sue potenzialità. Il nostro percorso ci deve portare ad essere antimafiosi per eccellenza, a impedire che determinate situazioni possano ricostituirsi. Il terreno è stato coltivato da decenni da questi criminali, ed è una minoranza che ha condizionato questo territorio: parecchi di loro sono in galera, adesso è morto il loro capo, si potrà respirare aria nuova e c’è una rete istituzionale che consente a chiunque voglia investire e lavorare qui sa oggi di trovare un territorio diverso, sano.

Con quei beni si può realizzare un grande, ampio consenso sociale, presentando storie di successo di imprenditori sani che vengano a investire qui. Lavoreremo su questo, ci sono tutte le condizioni per farlo: un consenso sociale e una rete istituzionale. Qualche mese fa abbiamo incontrato in prefettura l’Agenzia dei beni confiscati e abbiamo manifestato l’intenzione di prenderli tutti in carico: sono circa un centinaio, buona parte dei quali riferibili a Messina Denaro».

Importantissime sono le parole di Nicola Di Matteo, fratello di Giuseppe, bambino che è stato prima strangolato e poi sciolto nell’acido per ordine di Giovanni Brusca e Matteo Messina Denaro: «Ancora devo metabolizzare la notizia. Con sé si porta dietro tanti segreti. Ero certo che non avrebbe collaborato. Da credente non avrei potuto augurargli la morte. Non si può augurarla a nessuno se si ha un po’ di umanità, ma se fosse rimasto in vita sofferente avrebbe forse capito il dolore enorme che ci ha inflitto». Anche il giorno della notizia dell’arresto, gli aveva augurato una lunga vita per una lunga sofferenza, «la stessa che ha imposto a mio fratello, un ragazzino innocente».

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Da Campobello di Mazara, luogo in cui è stato arrestato l’ex boss mafioso, parla il sindaco Giuseppe Castiglione: «Ora si scrive la parole fine su colui che per 30 anni ha provocato ferite profondissime e mortali non soltanto nella nostra provincia. La morte, comunque, rappresentando la conclusione della vita terrena, pone ogni uomo davanti la giustizia divina. Lo Stato ha rispettato la costituzione garantendo le massime cure al boss per salvargli la vita, nonostante l’indignazione del popolo italiano per la discriminazione rispetto alla qualità di trattamento con altri malati dello stesso tipo».

E in realtà, da quelle zone arriva anche la voce di Piera Maggio, madre di Denise Pipitone, bambina rapita all’età di 4 anni nel 2004 da Mazara del Vallo. Già il giorno dell’arresto di Matteo Messina Denaro, aveva chiesto su Facebbok: «Chiediamo allo Stato italiano, ai magistrati che se ne prenderanno carico. Dopo tutti gli accertamenti e le doverose domande di rito al boss Matteo Messina Denaro, qualcuno cortesemente chieda al boss, se in qualche modo ha avuto notizie sul sequestro di nostra figlia Denise? Grazie». In occasione della morte, invece, ha scritto: «Nessun funerale religioso per colui che morendo si è portato dietro tanti segreti, anche quello su Denise».

A parlare della morte di Matteo Messina Denaro è anche Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo, in un’intervista con LaPresse: «È morto un criminale. Secondo me la sua cattura non è stata un successo dello Stato, ma una resa a fronte della sua malattia. Ha preferito farsi curare dallo Stato piuttosto che curarsi nella latitanza. Purtroppo, essendo laico, non posso neanche sperare in una giustizia divina. Questa sua latitanza è stata una vergogna per lo Stato, come lo sono state le latitanze di Bernardo Provenzano, di Totò Riina.

Vengono catturati nel momento in cui cambia qualcosa e viene meno in qualche maniera il loro sistema di protezione. Purtroppo questa cattura non ha portato a nessun contributo nella ricerca di verità e giustizia e sui segreti che si porta, soprattutto sui rapporti tra mafia e Stato». Anche Giuseppe Costanza, autista di Giovanni Falcone e sopravvissuto alla strage del 23 maggio 1992, ha voluto sottolineare che con la morte di Matteo Messina Denaro «non finisce mafia, indagare complicità». Aggiunge:

«Con sé ha portato tutti i segreti che avrebbe potuto rivelare. Cosa nostra non si esaurisce con la sua morte. Lo dicono anche i processi ancora in corso. Occorre continuare a indagare per arrivare alla verità sulle stragi e i mandanti. Sarebbe il caso di non parlare più di lui. Non credo meriti tutta questa attenzione. E’ morto. Punto. Non c’è più. Con la malattia era arrivato alla fine della sua esistenza. Io penso sia stato catturato perché malato. Adesso occorre andare sino in fondo, scoprire chi ha consentito che la sua latitanza durasse 30 anni. Senza protezioni non sarebbe stato possibile».

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