Liceo Bottoni: la classe in protesta contro il professore che non ha voluto fare lezione davanti agli studenti che indossavano una gonna

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Tre giorni fa c’è stata la giornata contro la violenza sulle donne, sui vari social abbiamo visto le solite frasi fatte, ma qualcuno ha deciso di voler lanciare un messaggio: a Milano, al liceo Bottoni, gli studenti hanno deciso di presentarsi in classe indossando una gonna, con un indumento rosso o comunque femminile. Alcuni avevano lo smalto sulle unghie, altri ancora un segno rosso sul viso. Insomma, hanno voluto, in qualche modo, provare a parlare del tema, ricordando anche le vittime con un mito di silenzio, rivendicando una «società e una scuola più inclusivi».

I dati condivisi dalla Polizia Criminale e pubblicati sul sito del Viminale, hanno parlato fin troppo chiaro. Su un totale di 263 omicidi volontari compiuti in Italia dal 1° gennaio 2021 al 21 novembre 2021, il 35% (quindi 93) sono femminicidi. “Ma è sempre un omicidio, non è un femminicidio“. Apriamo ancora una volta quest’altra parentesi per chi ancora non ne conosce la differenza. Se un giorno decidi di uccidere una persona a caso che incontri per strada, e per casualità è una donna, quello è un omicidio. Se invece decidi di uccidere la tua fidanzata perché vuole lasciarti, quello è un femminicidio.

Tuttavia, non tutti sono pronti a questo dialogo. Non tutti sono pronti ad accettare la realtà. Non tutti sono pronti a essere orgogliosi di una classe di liceo che vuole portare i riflettori su un problema, perché più che un tema questo è un problema della nostra società, un problema che miete delle vittime e queste vittime sono tutte donne. Non tutti sono pronti a comprendere che la società cambia, così come cambia anche la scuola, il modo di insegnare, il modo di vestire.

Quando frequentavo io i primi anni di liceo, era inaccettabile indossare una minigonna o stare in classe con la pancia scoperta, ma allo stesso tempo era fuori luogo andare con i jeans tutti strappati. Quando poi sono arrivata agli ultimi anni di scuola, era normale vestirsi in questo modo, e anche i docenti accettavano questo cambiamento, perché la società, come la lingua e come la scuola, cambiano. E un docente questo dovrebbe accettarlo, soprattutto se decide di essere contro il “politicamente corretto” e contro il “pensiero unico“.

Noi non conosciamo il professore in questione, abbiamo giusto letto qualcuno dei tanti post che condivide su Facebook, sul suo profilo pubblico. È un cattolico che molto spesso cita Dio, sicuramente istruito e su questo non c’è da sindacare, tuttavia sembra semplicemente il solito uomo adulto che sul web verrebbe definito “boomer” poiché non accetta un’idea contraria alla sua, ma poi si lamenta che gli studenti non accettino la sua. Il professore, con tutto il rispetto, dovrebbe ricordare che è stato lui il primo a non voler fare lezione in presenza degli studenti che indossavano una gonna e non per qualche “lobby LGBT“, ma per mandare un messaggio contro la violenza sulle donne.

Ma vestirsi da donna non farà scomparire la violenza sulle donne!!!!“: ah, ma qui abbiamo scoperto l’acqua calda! La violenza sulle donne si sconfigge educando i propri figli e i propri studenti al rispetto e all’uguaglianza. Indossare una gonna, mettere lo smalto, farsi dei segni rossi sul viso, serve a spronare le persone a parlarne, a parlare di quei dati scandalosi, di tutte le vittime. È un modo per accendere i riflettori sul problema ed era questo l’obiettivo degli studenti dei Liceo Bottoni. Non fare “pagliacciate“.

Liceo Bottoni: la protesta degli studenti

L’iniziativa è partita dagli studenti del Liceo Bottoni ma è stata condivisa anche dai rappresentanti di classe e dalla dirigenza della scuola, tanto che la stessa dirigente a La Repubblica spiega di aver «invitato a riprendere la lezione a tutti i ragazzi, ma non ha voluto. Si è detto disponibile a rimanere in aula docenti, ma a quel punto gli ho chiesto di lasciare la scuola per poterlo sostituire». Il professore, infatti, aveva fatto uscire dalla classe i tre studenti che indossavano la gonna.

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Gli studenti del Liceo Bottoni

La preside, Giovanna Mezzatesta, ha anche detto che farà partire un procedimento disciplinare per mancata vigilanza sugli allievi fatti uscire dall’aula e per mancato assolvimento del dovere di insegnamento. I rappresentanti d’istituto del liceo Bottoni, Nicole Barrella e Niccolò Pessina, invece, spiegano l’iniziativa: «Siamo venuti a scuola vestiti in gonna perché troppo spesso le violenze sono scusate a causa del modo in cui ci vestiamo. A scuola, come della società troppe volte assistiamo a violenze, non solo fisiche ma anche e soprattutto psicologiche».

Loris Scivoletto, altro rappresentante d’istituto del liceo Bottoni, aggiunge che «per noi studenti è fondamentale che la scuola sia il luogo di prevenzione rispetto alla violenza di genere, vogliamo un’educazione sessuale e all’affettività realmente efficace e non cis-etero normata. La scuola deve essere un luogo in cui nessuna e nessuno deve essere discriminato per come si veste, per il proprio orientamento sessuale o per la propria identità di genere, perché anche quella è violenza».

Insomma, gli studenti del Liceo Bottoni non si erano vestiti con indumenti “femminili” per fare un video su TikTok, per far ridere o per essere dei “pagliacci“. Lo avevano fatto per protestare, per un messaggio nobile che i docenti avrebbero solo dovuto aspettare. Perché tu, insegnante, sei libero di andare a scuola vestito in giacca e cravatta (come lui stesso dice di fare, molto fieramente), ma uno studente è libero di indossare una gonna per spingere gli insegnanti a parlare di come ogni giorno almeno una donna venga molestata.

La risposta del docente

Sul suo profilo Facebook, il docente ha raccontato quello che è successo: «La preside del liceo dove insegno mi ha cacciato da scuola. Stamattina. Mi ha cacciato poiché le avevo detto che non intendevo fare lezione in presenza di un allievo maschio che si è presentato travestito da donna dalla testa ai piedi. A questo punto la “signora” in questione mi ha messo brutalmente e arbitrariamente di fronte all’aut aut: o avrei fatto lezione facendo finta di nulla, o avrei dovuto lasciare immediatamente la scuola».

Il fatto che abbia virgolettato la parola “signora” è davvero di poco gusto, poiché letteralmente lui ha abusato del suo potere di insegnante cacciando dalla classe tre studenti solo perché indossavano una gonna. «Alla mia risposta che mi sembrava molto più onorevole la seconda possibilità, ella mi ha cacciato. Questi i fatti (tralascio le parole assai sgradevoli della “signora” in questione, che intendevano umiliarmi senza successo, alle quali ho ovviamente replicato).»

Comincia poi la sua critica alla scuola: «In una scuola capovolta, che a parole non vuole “discriminare” nessuno, si discrimina pesantemente solo chi chiede decoro, decenza, rispetto dei limiti. Per giunta si esercita l’arbitrio facendo ricorso dispotico ad un’autorità che a questo punto è solo la grottesca caricatura di se stessa», ma quello di cui forse non si rende conto è che è stato lui il primo a discriminare gli studenti. Tra l’altro, quest’idea del “decoro, decenza, rispetto dei limiti”, l’ha condivisa anche giudicando l’outfit dei Maneskin la scorsa settimana:

«Eravamo musicalmente famosi nel mondo per Rossini, Bellini, Verdi, Donizzetti e Puccini. Poi per Caruso, Toscanini e la Tebaldi. Infine per Modugno, che sicuramemte era un gradino sotto, ma la dignità c’era ancora. Oggi siamo famosi per un sub-umano che viene premiato in auto-reggenti da donna da una giuria di sub-umani anglosassoni. Poi chiedetevi perchè i musulmani e gli altri, con ragione, ci disprezzino tanto. L’Occidente porta nel mondo una “civiltà” che è ormai solo barbarie per avere rinnegato tutto ciò che di nobile e grande essa aveva prodotto».

Riguardo al post in cui parla di ciò che è successo, conclude con un P.S.: «Immagino di essere l’unico, tra i docenti della classe, ad avere chiesto alla preside l’esonero dalla lezione. E ovviamente l’unico ad essere cacciato. E immagino anche che riceverò poca o nessuna solidiarietà dalla maggior parte dei miei colleghi. Non me ne faccio problema: “etsi omnes, ego non”, come diceva monsignor von Galen. Ovvero: anche se tutti, io no». E gli studenti? Gli studenti hanno risposto con un #ETSICATSI:

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Storia del profilo Instagram del Liceo Bottoni

Per gli studenti non è comunque finita

Dopo il post su Facebook e dopo che la preside si è schierata dalla loro parte, è comunque partito il caso mediatico. Ne hanno parlato le più importanti testate e gli studenti hanno continuato a protestare contro il docente, tanto che ieri, 27 novembre, quando lui si è presentato in classe, «hanno deciso di far sentire la propria voce, in quanto il seguente professore nella giornata contro la violenza sulle donne si è rifiutato di fare lezione per difendere ideali alquanto discutibili». Come? Uscendo dall’aula durante la sua lezione.

Il docente risponde con una nota: «La lezione non può tenersi perché la classe esce dall’aula per protesta. Immagino che vogliano difendere il pensiero unico politicamente corretto». Chissà perché a parlare del politicamente corretto sono sempre quelli che non accettano che non ci sia un’opinione diversa dalla propria. Perché il professore, di cui noi non stiamo dicendo il nome per privacy ma che ormai è pubblico su diversi social così come il nome del Liceo Bottoni, si lamenta che gli studenti non accettino la sua idea, ma allo stesso modo lui non accetta la loro.

È stato lui a cacciarli dalla classe. Lui si è rifiutato di fare loro lezione. E gli studenti hanno solo risposto a quello che lui ha deciso e scritto sui social. Lui ha provato a imporre loro il pensiero unico, politicamente corretto. Perché, noi ne abbiamo già parlato, ma siamo sicuri che sia quelli dei ragazzi il “politicamente corretto”? Ma poi, esiste ancora il “politicamente corretto”? Abbiamo Pio e Amedeo in prima serata a dire frxcio e nexro e pensiamo ancora che quello sia politicamente scorretto?

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Gli studenti del Liceo Bottoni

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