Ennesimo attacco islamofobico in Francia

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Ormai non è più una novità, ma è comunque rammaricante e angosciante: in Francia le ragazze musulmane non possono indossare l’abaya, un lungo indumento simile a una tunica spesso indossato dalle donne musulmane, che però è molto simile ai vestiti lunghi venduti dalla stessa Zara. Ben 67 ragazze sono state cacciate da scuola perché si sono rifiutate di togliersi l’abaya. La settimana scorsa il ministro dell’Istruzione Gabriel Attal ha annunciato il divieto dell’abaya nelle scuole, ma non chiedetegli il motivo perché non saprà rispondervi. Ma io sì: è semplicemente islamofobia.

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Stephane Mahe/Reuters

È un Paese islamofobico. Due anni fa in Francia è passata la proposta di legge che vieta alle donne minori di 18 anni di indossare l’hijab o qualsiasi segno religioso, incluso il burkini nelle piscine e nei bagni pubblici. La decisione è frutto di tre emendamenti che vogliono evitare di rendere le donne inferiori agli uomini, ma non si comprende perché una donna che decide di propria spontanea volontà di credere e seguire una religione, debba essere inferiore all’uomo. E non è neanche il primo caso di islamofobia in Francia. Già nel 2004 nel paese che si vanta della sua Liberté, Égalité, Fraternité è stata approvata una legge che vietava l’uso del velo nelle scuole.

In realtà, però, è un’Unione Europea islamofobica. Quante volte quest’estate abbiamo parlato della lotta dei nostri politici contro il burkini? Penso alla festa in piscina muslim friendly che la Lega ha cercato di boicottare semplicemente perché sarebbe stato un posto sicuro anche per le donne musulmane che hanno difficoltà a farsi vedere in costume dagli uomini (una festa privata, capite? Si sono opposti a una festa privata ma poi hanno fatto il funerale di Stato a quello che i festini li faceva con prostitute e minorenni).

E dobbiamo parlare della sindaca leghista e islamofobica di Montafalcone che ha avuto il coraggio di lamentarsi delle persone che indossano il costume che vogliono a mare? Più che altro, si è lamentata degli “stranieri musulmani” che fanno il bagno in acqua “con i loro vestiti“. Secondo la sindaca, «chi viene da realtà diverse dalla nostra ha l’obbligo di rispettare le regole e i costumi che vigono nel contesto italiano e locale». Eppure, io credevo che nella nostra Costituzione ci fosse qualcosa sulla libertà, un certo articolo 19 che riconosce

«il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa e praticarne il culto, tranne ‘riti contrari al buon costume’, e vieta limitazioni normative nei confronti degli enti ecclesiastici, che possono organizzarsi secondo propri statuti».

L’islamofobia in Francia

Secondo il ministro dell’Istruzione Gabriel Attal, un totale di 67 ragazze sono state cacciate da scuola perché hanno rifiutato di togliere l’abaya. 298 studentesse indossavano l’indumento, ma una “grande maggioranza” ha accettato di toglierlo. Alla CNN il ministro ha detto che la legge è stata seguita «senza alcuna grande difficoltà». Il divieto, approvato domenica 3 settembre, è stato criticato dal gruppo Action Droits Des Musulmans (ADM). L’avvocato del gruppo, Vincent Brengarth, ha detto che questo divieto «non è basato su alcun testo legale».

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Villette Pierrick/ABACA/Shutterstock

In un’intervista con l’affiliata della CNN BFMTV, Brengarth ha affermato che il divieto è stato imposto in modo “arbitrario” in quanto non contiene alcuna definizione legale di come sia un abaya. Secondo Brengarth, inoltre, gli Abaya non sono mai stati formalmente classificati come oggetti religiosi. «L’argomento principale è che l’abaya non è definita dal governo esecutivo e dal potere esecutivo. Questo è un divieto che non ha assolutamente alcuna giustificazione», ha commentato l’avvocato. Secondo l’ADM, in più, violerebbe i “diritti fondamentali“, come quello alla libertà personale.

Il divieto trova il suo fondamento giuridico in una legge approvata nel 2004 che vieta di indossare simboli religiosi “vistosi” nelle scuole. Poiché alcuni si chiedono se l’abaya sia effettivamente una forma di abito religioso, gli avvocati hanno avvertito le scuole di stare attente a non penalizzare gli studenti che indossano indumenti che non hanno una chiara appartenenza religiosa. In un post su Twitter, l’avvocato Nabil Boudi ha affermato che avrebbe sporto denuncia a nome di uno studente di Lione, bandito perché indossava un kimono, ma «nulla nell’indossare un kimono caratterizza un’apparente manifestazione di appartenenza a una religione secondo la definizione della legge del 15 marzo 2004».

Un’altra studentessa, Yara di 15 anni, ha detto all’agenzia di stampa Agence-France Presse che non considera l’abaya una forma di abito religioso: «Dicono che l’abaya sia un abito religioso, ma non lo è affatto, non è un abito religioso, è un abito tradizionale, è un abito che indossano tutte le ragazze, sia velate che non velate, e quindi è un po’ un problema». Anche l’amico e compagno di scuola Luke è d’accordo con lei, perché «puoi indossarlo come un vestito, come un indumento di tutti i giorni… non avrebbe dovuto essere vietato». E infatti è molto simile ai vestiti lunghi indossati anche nel mondo “libero” occidentale.

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AMEER ALHALBI/ANADOLU AGENCY VIA GETTY IMAGES

«Se le bambine possono andare in giro indossando pantaloncini, leggings, vestiti, allora dovrebbero avere anche il diritto di indossare l’abaya», ha affermato una donna musulmana che ha lasciato la Francia proprio a causa dell’islamofobia. Secondo Sokhna Maimouna Sow, musulmana di origine senegalese arrivata in Francia per studiare 11 anni fa, il divieto è una sciocchezza: «Dicono che questo è un Paese libero, ma non ti è permesso fare cose che fanno parte della tua libertà: cultura e religione». Anche per la parigina Lina, l’abaya è un elemento culturale e non religioso, e «ogni anno la Francia propone una nuova legge quando si tratta di musulmani».

Anche alcuni insegnanti si sono schierati contro il divieto che definiscono islamofobico e annunciando uno sciopero. Gli insegnanti del Lycée de Stains di Seine-Saint-Denis hanno affermato che il divieto devia dagli «attacchi che vengono portati contro il sistema educativo pubblico», sottolineando la carenza di personale docente e i tagli al bilancio. Il presidente francese Emmanuel Macron ha difeso il divieto, affermando che non sta “stigmatizzando” nessuno, ma lo stanno facendo «le persone che promuovono l’abaya». Per il presidente, le scuola sono «gratuite, laiche e obbligatorie».

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