Diogo Alves, il serial killer di Lisbona – Una Tazza D’horror #45

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Per omaggiare la Lisbona che i miei compagni di viaggio e io abbiamo avuto modo di visitare oggi, vi lascio con questo episodio di “Una Tazza D’horror” a tema: la storia di Diogo Alves, il serial killer portoghese condannato ad essere protagonista della penultima esecuzione capitale del Paese.

Diogo Alves, il serial killer di Lisbona

All’epoca neanche si era soliti definire un criminale come “serial killer”, insomma, l’Ottocento mostrava un Portogallo che come oggi non poteva vantare chissà quali nefasti numeri di questi soggetti, erano casi veramente rarissimi, ma neanche gli altri reati erano all’ordine del giorno.

Diogo Alves, invece, si distingue proprio per la sua indole affamata di sangue, quanto di denaro, che cozza molto con quel panorama di quiete nella capitale portoghese. Incriminato infatti per 70 delitti, è difficile pensare anche solo a come sia riuscito a sfuggire alla legge quanto è bastato per essere autore di tutti questi omicidi.

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Fonte: Wikipedia

L’uomo nacque nel 1810 a Samos, in Spagna, figlio di una famiglia benestante. Una caduta da cavallo gli costò una botta alla testa e il soprannome di “Pancada“, che in portoghese si riferirebbe proprio alla batosta ricevuta. Così, all’età di 19 anni i suoi genitori decisero di inviarlo a Lisbona per trovarsi un lavoro. La ricerca fu sempre più ostica, vista la quantità di insuccesso, tanto da spingerlo a scrivere alla famiglia in cerca di sostegno, che non ricevette. La mancata risposta lo spinse a darsi ai piaceri dell’alcol e al gioco d’azzardo: conobbe così la locandiera Maria Gertrudes (la quale divenne anche sua amante), ritenuta una cattiva influenza per la futura vita da criminale avviata da da Alves.

Iniziò a lavorare come acquaiolo, ma i soldi non bastavano mai. La soluzione che decise di adottare fu quella della rapina. Sfruttando la sua conoscenza dell’acquedotto di Aguas Livres (Acque Libere, per noi italiani), lungo almeno 18 chilometri e costruito il secolo prima, avrebbe potuto guadagnare un bel gruzzoletto a spese degli altri. Considerando che i suoi omicidi percorro un arco di tempo inscrivibile tra il 1836 e il 1840, possiamo dire che all’epoca l’acquedotto era percorribile a piedi e anche frequentato da mercanti per spostarsi fuori e dentro Lisbona.

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Fonte: The Portugal News

Alves attuò un piano ingegnoso: aspettando le sue vittime in curve nascoste, poteva tendere loro degli agguati, rubandone i beni preziosi e gettandole di sotto. Queste strani morti passarono in un primo momento per suicidi, per troppo tempo oserei dire, fin quando la giustizia decise di aprire un’indagine e chiudere l’acquedotto, sequestrando il terreno da caccia di Diogo.

Quest’ultimo optò allora per derubare la casa di un ricco medico, senza risparmiare la vita a nessuno dei membri della sua famiglia. La faccenda iniziò ad insospettire le autorità, ma ad incastrarlo fu la figlia undicenne di Maria.

Diogo Alves venne condannato per i 70 omicidi da lui commessi, e anche Maria venne poi inviata in esilio in una delle colonie portoghesi situate in Africa. Il Portogallo in quel 1841 fu partecipe della sua penultima esecuzione: la testa di Alves venne mozzata e preservata nella formaldeide, allo scopo di poter condurre degli studi sul suo encefalo, ancora acerbi all’epoca, per studiarne la possibile correlazione con i suoi comportamenti e la sua personalità. Passò alla storia come “l’assassino dell’Acquedotto“.

In realtà la testa galleggiante di colui che viene identificato come il primo serial killer del Portogallo non presenta alcun segno che faccia presagire che gli studi siano concretamente avvenuti.

La “deliziosa” reliquia viene conservata tutt’oggi nell’Università di Lisbona, visitabile dai turisti che entreranno nel teatro anatomico della facoltà di Medicina del posto. Uno spettacolo sicuramente insolito.

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Fonte: Nerocrime

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