Quando l’aborto viene negato alle bambine vittime di stupro: caso del Brasile

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Nelle ultime settimane abbiamo più volte parlato del delicatissimo tema dell’aborto. In particolare, però, ci siamo anche soffermati sui casi in cui l’aborto è stato negato a delle vittime di stupro, a delle bambine vittime di stupro. Eclatante la storia della bambina di dieci, il cui stupratore è stato arrestato proprio la settimana scorsa. In Brasile, però, la situazione non è tanto diversa dagli Usa, infatti l’aborto è consentito solo in caso di stupro o se la vita della donna è in pericolo. E il bigottismo ancora una volta è prevalso.

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La dottoressa Caitlin Bernard, un ostetrico-ginecologo di Indianapolis, ha ricevuto una telefonata qualche settimana fa, tre giorni dopo la sentenza della Corte, da un medico in Ohio che aveva una bambina di 10 anni nel suo studio che era incinta di sei settimane e tre giorni, e quindi non idonea a ricevere un aborto nello stato, secondo un rapporto di The Indianapolis Star. Questo perché in Ohio vige la cosiddetta Heartbeat Act, ovvero la legge che vieta l’aborto dopo che è stata rilevata la prima attività cardiaca embrionale, quindi dopo circa sei settimane, senza avere delle eccezioni come in caso di stupro o incesto.

Questa è una legge molto controversa in quanto, secondo gli studiosi e non quelli che studiano sulla Bibbia per regolare la vita delle persone nel 2022, quello che viene rilevato durante questa fase è solo «una parte del tessuto fetale che diventerà il cuore come l’embrione si sviluppa». E quindi una bambina di 10 anni, vittima di stupro, non può ricorrere all’aborto nel suo stato, ma ha dovuto viaggiare fino all’Indiana per poter avere nuovamente il controllo sulla propria vita.

Non che, comunque, in Italia la situazione sia migliore. Certamente, l’aborto è legale. Tecnicamente nessuno può dirci che non possiamo abortire (beh, dire sì, ma comunque noi ne abbiamo il diritto), nessuno può negarci di fare quel che vogliamo con il nostro corpo. Praticamente, però, ci sono troppi medici obiettori e quindi ricorrere all’aborto diviene complicato. È divenuta popolare nelle ultime settimana la storia di Cosenza, ennesima provincia italiana a non garantire il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza:

«Ad oggi, abortire in provincia di Cosenza significa andare a Castrovillari, dove è disponibile soltanto l’IVG chirurgico e dove anni fa siamo andate personalmente a togliere dal reparto manifesti pro vita che colpevolizzavano le donne che abortiscono. Per il resto, in nessun altro presidio ospedaliero dell’ASP di Cosenza è possibile interrompere una gravidanza, ne chirurgicamente, né farmacologicamente».

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Brasile: aborto negato a una bambina di 11 anni

È successo a fine giugno, a Florianopolis, nello Stato di Santa Catarina, nel sud del Brasile, regione più abbiente rispetto al nord: il Consiglio nazionale di giustizia brasiliano, organo di vigilanza sulla magistratura, ha annunciato un’indagine sulla giudice che ha impedito l’aborto a una bambina di 11 anni, sopravvissuta a uno stupro e rimasta incinta a seguito della violenza. La bambina, adesso, è riuscita ad abortire, ma solo dopo un processo e dopo essere stata anche violentata psicologicamente.

Il The Intercept Brasil ha fatto sapere che, sebbene l’aborto sia legalmente vietato tranne in casi come stupro e pericolo per la donna, alla bambina è stato vietato di abortire in quanto erano passate 22 settimane. Aveva 10 anni quando è stata stuprata, e quando si è accorta di essere incinta era troppo tardi. Quando infatti la madre l’ha portata in ospedale per procedere con l’aborto, i medici hanno risposto di non poterlo fare dopo la ventesima settimana. Quindi la famiglia ha deciso di portare il caso in tribunale.

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Ma qui, è successo il peggio del peggio. La giudice Zimmer ha chiesto alla bambina se comprendesse l’origine della gravidanza, riferendosi allo stupratore come al “padre del bambino” e invitandola a “resistere ancora un po’” per salvare il bambino, suggerendole addirittura di sceglierne un nome. Tuttavia, la vittima non è caduta nel suo subdolo gioco psicologico, ed è rimasta ferma sull’aborto. E allora Zimmer ha deciso di togliere la bambina alla famiglia, isolandola in una casa d’accoglienza.

«La tua tristezza oggi potrebbe diventare l’immensa felicità per una coppia sterile», ha detto ancora la giudice. Anche in seguito a ciò, diverse persone hanno cominciato a manifestare per dare giustizia alla bambina, facendo nascere gli hashtag #NãoSuportamosMais e #CriançaNãoÉMãe (“Non ce la facciamo più” e “Una bambina non dev’essere madre”), ma a livello legale l’avvocato della famiglia con i colleghi sono riusciti a dimostrare che la legge non impone un limite nei casi di stupro o quando la vita della donna è in pericolo.

La bambina fortunatamente è riuscita a tornare a casa e anche ad abortire, anche grazie al Coletivo Juntas che, ancora una volta (in Brasile già qualche anno fa una bambina di 10 anni era stata stuprata ed era rimasta incinta, e anche a lei era stato negato l’aborto), ha creato una petizione per sovvertire la decisione della giudice e hanno organizzato diverse manifestazioni. Tuttavia, storie come queste, non dovrebbero essere più complicate di quel che sono già. Proteggiamo i bambini, ma solo quelli non nati?

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