Davvero il The Guardian ha chiamato razzista la torta di mele?

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Come abbiamo fatto con Biancaneve, andiamo a fondo anche con questo nuovo drama inventato dalla destra: il The Guardian ha davvero chiamato razzista la torta di mele? Per l’amor del cielo, no. Quello che Raj Patel ha fatto è stato semplicemente spiegare le origini della torta di mele, dell’apple pie americana, che non è americana come si crede (tanto che la ricetta è ispirata a quella della zucca inglese), e poi ha parlato di genocidi, schiavismo, battaglie e tutte legate alla produzione della torta di mele, oltre che anche della food justice, ma in alcun modo ha cancellato o chiamata razzista l’apple pie come si sta dicendo online.

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Fonte: Pinterest

Come in tutti i casi in cui un articolo inglese fa il giro del mondo e dell’Italia, basterebbe leggere la fonte principale, ma la verità è che persino fra i madrelingua inglesi c’è stato un bel po’ di drama intorno a quest’articolo il cui unico obiettivo era quello di far comprendere le origini di una ricetta che si ritiene americana ma non lo è e soprattutto di mettere in risalto la food justice. D’altronde, anche noi italiani ci indigneremmo se ci dicessero che la pizza, in realtà, non è italiana, tuttavia, come al solito, si fa una tragedia di tutto, come se nel mondo non esistessero altri problemi.

Da un certo punto di vista, meglio così. Facciamoli sfogare contro una torta di mele come se a qualcuno importasse davvero delle origini di una ricetta, o come se fosse così tanto rilevante, almeno per qualche minuto la smettono di parlare di complotti sui vaccini, della terra piatta o di tutte le altre storielle che raccontano per convincersi di aver ragione su tutto (come Matteo Salvini che pubblica solo le aggressioni da persone straniere evitando di raccontare quelle per mano di italiani, ma probabilmente non lo fa di proposito).

Andiamo quindi alla fonte originale e analizziamo, paragrafo per paragrafo, quello che Raj Patel, attivista che nel 1999 ha partecipato alla World Trade Organization a Seattle, ha scritto sulla torta di mele, dalle origini degli ingredienti, ai genocidi delle persone indigene. Trovate l’articolo, in lingue inglese, a questo link. Vi sottolineo anche che l’articolo è del primo maggio 2021 ma solo negli ultimi giorni il mondo si è accorto della sua esistenza, in Italia grazie a un tweet di Mariagiovanna Maglie, che molto indignata ha chiesto di «fermarli prima che sia davvero tardi», e la notizia poi è stata condivisa dai soliti Salvini e Meloni.

La torta di mele e il The Guardian

Probabilmente Raj Patel non si aspettava di scatenare un putiferio del genere, soprattutto dopo più di un mese da quando ha postato il suo articolo sulla rivista. «Dall’amnesia sulla torta di mele ai campi di battaglia degli hamburger, l’autore e accademico Raj Patel dice che le lotte per la giustizia alimentare di oggi hanno una lunga e sanguinosa storia», leggiamo nel sottotitolo dell’articolo, per cui non si parla né di cancel culture né di razzismo, ma semplicemente di origini.

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Fonte: Pinterest

Infatti, proprio nei primi paragrafi l’autore spiega, dopo aver introdotto l’apple pie, che, sebbene sia la cosa più americana che c’è in America, in realtà le mele non sono americane, così come anche la ricetta è semplicemente una variante della zuccha inglese, e solo dopo comincia a parlare della storia di come gli ingredienti della torta di mele americana in realtà non siano americani, ma in nessun modo si parla esplicitamente di razzismo.

«Le mele viaggiarono nell’emisfero occidentale con i coloni spagnoli nel 1500 in quello che era chiamato lo scambio colombiano, ma ora è meglio inteso come un vasto e continuo genocidio degli indigeni», scrive all’inizio, sottolineando che «con il tempo gli inglesi colonizzarono il nuovo mondo, e gli alberi di mele erano diventati marcatori di civiltà, ovvero di proprietà».

Continua poi: «John Chapman, meglio conosciuto come Johnny Appleseed, ha portato questi marcatori di proprietà colonizzate alle frontiere dell’espansione USA dove i suoi alberi erano simboli che le comunità indigene erano state estirpate». Per i paragrafi successivi continua con il cibo importato (o persino il materiale su cui la torta di mele viene poggiata), con la colonizzazione, con la tratta degli schiavi, insomma, con la storia dell’America, una storia di colonizzazione, di genocidi e sangue che, in realtà, già conosciamo e abbiamo studiato.

Quando comincia a parlare di razza? Nel paragrafo intitolato “commodity fetish“, citando gli «orrori del commercio internazionale: violenza, sfruttamento, povertà e profitto. La logica capitalista è ovunque la stessa, ma i paesi sono capitalisti a modo loro. La torta di mele è americana come la terra rubata, la ricchezza e il lavoro. Oggi ne viviamo le conseguenze». Più precisamente, però:

«L’eredità della conquista territoriale razziale e della dominazione razziale degli Stati Uniti può essere letta dai dati occupazionali del Dipartimento del Lavoro. Nel 2020, il lavoro più bianco e razziale segregato in questo stato coloniale è stata la valutazione della proprietà (96,5% dei periti sono bianchi), e il secondo bianco era la gestione di una fattoria (96,3%). Non è un caso che il più grande proprietario di terreni agricoli negli Stati Uniti sia uno degli uomini più ricchi del paese: Bill Gates.»

Ha per caso chiamato la torta di mele razzista? Assolutamente no. Parla delle contraddizioni del sistema alimentare, di come sette lavoratori più pagati su dieci siano nel sistema alimentare, di come un terzo delle famiglie con madri single siano più insicure dal punto di vista alimentare e di come l’insicurezza alimentare sia «sistematicamente più elevata nelle comunità di persone di colore», ma non dice che la torta di mele è razzista. Pensate, addirittura, che l’apple pie non è nemmeno citata dopo i primi paragrafi.

Continuando a leggere troviamo come titolo “struggle” e, in questo punto, comincia a parlare della food justice, un termine che è «comprensibile solo perché comunità oppresse e sfruttate hanno organizzato per la riparazione contro le predazioni del capitalismo statunitense. Gli Stati Uniti sono stati creati trovando costi del lavoro sempre più bassi, e contro cui i lavoratori hanno sempre combattuto. La giustizia alimentare, e il suo contrario, ne sono un pezzo», e poi fa l’esempio del burger.

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Fonte: Pinterest

A proposito di questo viene citato anche un altro articolo del The Guardian: «Una recente indagine del The Guardian/Northwestern University ha evidenziato il persistente divario razziale nel sistema alimentare. In Texas, le famiglie nere hanno segnalato la fame quattro volte più spesso delle famiglie bianche, e nella settimana prima di Natale 2020, 81 milioni di persone erano insicure sul cibo». Insomma, nell’articolo la torta di mele viene citata quasi come un esempio all’inizio, ma quello di cui si parla principalmente è la food justice.

Il giornalista ha detto che la torta di mele è razzista? No. Ha semplicemente spiegato che, sebbene sia ritenuta un simbolo americano, in realtà gli ingredienti provengono dall’estero, così come anche la ricetta. Come al solito è facile criticare qualcosa senza contestualizzarlo minimamente, ma non sappiamo se questo sia dovuto a una mancanza di conoscenza della lingua inglese o semplicemente all’obiettivo di far indignare qualcuno che, come al solito, abbocca a qualsiasi notizia.

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