[ALERT SPOILER: NON LEGGERE SE NON HAI FINITO TUTTA LE SERIE “STRAPPARE LUNGO I BORDI” DI ZEROCALCARE]
Ho appena concluso la visione di “Strappare lungo i bordi” di Zerocalcare, e non mentirò: sto ancora singhiozzando. Non sto singhiozzando per la morte di Alice, perché c’è un suicidio, perché ancora una volta, come in tutte le sue opere, Calcare riesce ad arrivare all’animo delle persone. Sto singhiozzando perché ha rappresentato alla perfezione, come nessun altro sarebbe stato in grado di fare, la generazione degli ultimi anni, e questa include anche quella di oggi. Perché ogni giorno ci sentiamo dire di trovare la nostra strada e seguirla, ma nessuno prende in considerazione tutti gli ostacoli che dobbiamo subire, prima di arrivare a quell’obiettivo.
Zerocalcare in “Strappare lungo i bordi” è stato capace di rappresentare la nostra generazione, quella dei “nativi digitali”, quella a cui viene sempre detto che “avete tutto“, che “state sempre al cellulare“, che “non sapete cosa sia la fatica“, ma che in realtà non ha la cosa più importante: il futuro. Perché tutti abbiamo dei sogni. Tutti, bene o male, sappiamo chi vogliamo essere nella nostra vita. Insegnante, ingegnere, dottore, estetista, parrucchiere, barbiere, musicista, influencer, youtuber, attore, cantante. Abbiamo i sogni ma non abbiamo le possibilità di realizzarli.
“Strappare lungo i bordi” è uno schiaffo sulla guancia perché ti sbatte in faccia la verità, perché dietro quelle risate che ci facciamo dietro ogni opera di Zerocalcare c’è uno dei problemi più gravi che distrugge l’Italia: il precariato dei giovani, e non solo. Siamo sempre lì a perdere anni dietro gli studi, spendiamo soldi per libri, tasse, corsi di formazione e chi più ne ha più ne mette, per poi finire a portare il caffè a persone che non ricordano neanche il nostro nome. Per questo motivo, dopo aver fatto una recensione di questo capolavoro, ho deciso di lasciare un piccolo spazio nel nostro blog per una considerazione sul messaggio trasmesso.
Strappare lungo i bordi di Zerocalcare: la perfetta rappresentazione dell’Italia
Ora come ora, mi trovo senza parole. Ci sono tante cose che vorrei dire su Strappare lungo i bordi, a Zerocalcare, ma la prima è grazie. Grazie per prenderti il peso di parlare di noi, di noi sognatori, di noi giovani senza futuro, di noi che dobbiamo scappare dall’Italia anche se non vogliamo, di noi che arriviamo a pensare che non vivere sia meglio che vivere in queste condizioni, con la delusione appresso, con un’angoscia costante e con il pensiero di non farcela sempre fisso nella nostra testa. Grazie per aver parlato per noi, che veniamo considerati semplicemente dei nullafacenti.
Strappare lungo i bordi, è brutale, onesta, non ti fa sentire solo in questa situazione. È un caldo abbraccio proprio nel momento in cui ne hai più bisogno, proprio quando stai pensando: «ma vale davvero la pena soffrire così tanto, per ottenere qualche briciola?». Perché oggi, nel 2021, non si parla abbastanza del precariato, né degli affitti stellari che gli studenti devono pagare per avere un’istruzione decente. E a proposito di questo, come non pensare ai vantaggi della didattica a distanza, che permette agli studenti di seguire senza dover pagare minimo 300 euro di affitto per una stanza in periferia, ma che non viene presa in considerazione solo perché “la volete solo per copiare“?
La pandemia doveva renderci più umani, e forse proprio per questo spero che la serie tv animata di Zerocalcare arrivi a chiunque. Vorrei che tutti la guardassero. Vorrei che venisse mostrata nelle scuole superiori, perché gli studenti sappiano che non sarà facile. E questo non deve servirgli come demoralizzante, bensì come un piccolo post-it per fargli ricordare che non sono loro il fallimento, che non sono loro a sbagliare, che non è stata colpa loro se quel colloquio è andato male o se non sono ancora riusciti a realizzarsi. Perché se oggi i giovani non trovano lavoro, la colpa è di uno Stato che non pensa ai giovani.
Ci sono sempre più suicidi durante l’università. Ci sono degli studenti che, dopo anni passati dietro ai libri, arrivano al punto di dire: basta, non ce la faccio più, e mettono fine alla loro vita. Decidono che quei sogni che hanno scritto sui fogli di carta, non li riscaldano più. Mi è rimasta impressa la frase alla fine della serie: «Che tanto alla fine tutti i pezzi de carta so boni pe scaldasse e certe volte quel fuoco te basta… e altre volte no». Perché qualcuno ce la fa (a sopravvivere), e altri invece no.
Ho amato come Calcare non sia stato arrabbiato contro Alice. Non le ha dato colpe. Non ha fatto passare il suicidio come una cosa per “deboli”, come una cosa per persone tristi e infelici. Perché a suicidarsi sono anche delle persone che vediamo sempre allegre, sono anche le persone che hanno lottato, che hanno lottato tanto, che ci hanno provato e a lungo sono sopravvissute, ma che poi si sono rese conto di non farcela più. Sia chiaro che non ritengo che lo abbia giustificato, ma almeno ritengo che non abbia trattato l’argomento in maniera superficiale come troppo spesso avviene.
Sui giornali, dopo un suicidio, leggiamo spesso che «era una persona debole, troppo sensibile». Ma a suicidarsi sono anche le persone forti. Alice, come la descrive suo padre, è stata anche una persona debole, ma è proprio quell’anche che rappresenta tutte le altre cose che è stata Alice. Tutti abbiamo dei momenti di debolezza: qualcuno riesce a uscirne, altri no. Tra l’altro, quando sentiamo per la prima volta le voci dei personaggi non più recitate da Zero, lì sì che ci sono i brividi, perché per la prima volta il protagonista comprende che non c’è solo il suo punto di vista.
Strappare lungo i bordi mi ha fatta ridere, tanto. Persino nella scena finale in cui stavo singhiozzando e poi Secco se ne esce con un “annamo a pija er gelato?“, io sono morta dal ridere. È capace di farti ridere e piangere in contemporanea e va benissimo così perché alla fine non è così la vita? Un connubio di delusioni e soddisfazioni, a volte più delusioni che resto, ma quanto è bello quando ti scappa quella risata così, e ti senti davvero felice, al tuo posto? E chi l’ha detto poi che quelle delusioni, quelle cicatrici, non contribuiranno a renderti una persona migliore, in futuro?
«”La cicatrice non passa. È come una medaglia che nessuno ti può portare via. Così quando Zeta è grande e ormai il principe non gli fa più paura si ricorda che ha vissuto, che ha fatto tante avventure, che è caduto e si è rialzato”
“Perché non passa?”
“Perché è una cicatrice. Se andava via con l’acqua era un trasferello. È una cosa che fa paura ma è anche una cosa bella. È la vita”».
Zerocalcare in “Strappare lungo i bordi” ha parlato, ha urlato, ha schiaffeggiato la verità che tutti non vogliono sentirsi dire: in Italia il precariato è un problema serio. In Italia i giovani si suicidano perché non riescono a finire gli studi o ci mettono troppo tempo, perché non trovano lavoro, perché non riescono a pagare l’affitto. Zerocalcare ha parlato, e noi l’abbiamo ascoltato, e ci siamo sentiti compresi, finalmente. Grazie, Calcare, per essere la voce di noi che non riusciamo a parlare. Grazie, per aver dato voce a tutte le insicurezze della nostra generazione e di quelle future. Di quelle che dovrebbero avere tutto, ma che in realtà non hanno niente.
Giulia, 25 anni, laureata in Lettere Classiche, “paladina delle cause perse” e studentessa di Filologia Italiana. Amo scrivere, leggere, guardare serie tv e anime, i gatti e seguire le giuste polemiche.
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