Abortisce nel parcheggio dell’ospedale perché il Pronto Soccorso non aveva più tamponi molecolari

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La storia di Alessia Nappi ha colpito nel cuore tutti noi. Una donna di 25 anni che prova ad avere un figlio con il compagno 51enne da cinque anni e che, una volta incinta, ha un aborto spontaneo nel parcheggio dell’ospedale da cui era stata cacciata poiché quella mattina, con dei dolori alla quinta settimana di gravidanza, non aveva pensato di farsi un tampone molecolare prima di dirigersi al pronto soccorso. Cacciata dall’ospedale che, tra l’altro, non aveva neanche dei tamponi molecolari. E quindi lei ha avuto un aborto spontaneo nel parcheggio.

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Alessia ed Enzo

Ci sono tante cose che non vanno in questa storia, ma prima facciamo una premessa. I medici non avrebbero potuto fare niente. Purtroppo gli aborti nelle prime settimane di gravidanza sono molto comuni e in questo caso, soprattutto, l’aborto probabilmente era già in corso. Tuttavia, spero concorderete con me sul fatto che l’ostetrica ha trattato davvero in modo pessimo una donna che stava avendo un aborto spontaneo (e lei, che ha studiato più di noi, l’avrà sicuramente capito).

Noi non siamo contro l’obbligo del tampone prima di una visita in ospedale, più che altro perché è una struttura dove ci sono tantissime persone deboli che il Covid-19 non possono prenderlo, tuttavia l’ospedale deve avere sempre a disposizione dei tamponi in modo che nessuno resti escluso dalle cure. Una donna che ha forti dolori alla pancia durante le prime settimane di gravidanza non può pensare: oh, devo fare il tampone prima di andarmi ad accertare come sta il mio futuro figlio. Deve andare al pronto soccorso e qui glielo faranno.

Il problema, poi, sono gli italiani. In primis i media con i loro titoli clickbait in cui fanno intendere che Alessia Nappi e suo marito Enzo si sono rifiutati di fare il tampone per entrare in ospedale, facendoli quindi divenire i paladini dei no-vax quando lei è prenotata persino per la terza dose. In secundis gli italiani che non leggono l’articolo e quindi contribuiscono a distribuire ignoranza e cattiveria gratuita sui social network. In questa storia ci sono solo delle vittime, e delle persone che avrebbero potuto avere più umanità.

La storia dell’aborto spontaneo di Alessia Nappi

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Fonte: Twitter

Ci troviamo all’ospedale San Pietro di Sassaria, al pronto soccorso della clinica ostetrica. La giovane Alessia Nappi era incinta di cinque settimane e, quella mattina, aveva forti dolori addominali e perdite di sangue. Il suo medico le ha quindi consigliato di andare subito al pronto soccorso. Arrivata, descrive i sintomi all’ostetrica e all’accettazione le chiedono il Super Green Pass, che lei mostra subito poiché vaccinata con due dosi e prenotata per la terza.

Il marito poi racconta che hanno atteso «venti minuti» l’ostetrica che avrebbe dovuto chiamare il quarto piano per capire cosa fare, «dicendo che si era dimenticata». Quando torna da loro chiede ad Alessia se avesse il tampone molecolare, essenziale per la visita: «Non si può fare subito? Chiediamo. La risposta è che prima di lunedì sarebbe stato impossibile. In ogni modo ci tranquillizza dicendoci di tornare pure a casa, monitorare la perdita, e qualora dovesse aumentare, di ripresentarsi immediatamente». Tuttavia, non ce n’è stato tempo.

Il marito va a prendere l’auto e, quando torna, trova la moglie piegata a terra, con molto sangue. «Si capiva che non ci fosse più niente da fare, e una volta a casa abbiamo capito che aveva abortito», ha raccontato lui. «Vogliamo far sentire il nostro dolore, è una cosa indegna, non capisco cosa avrei dovuto fare. E se avesse avuto il Covid cosa avrebbero fatto, non l’avrebbero visitata? Chi ti da l’onnipotenza di decidere se mio figlio deve morire perché non abbiamo un molecolare?».

«Non si lasciano morire delle persone nei parcheggi dell’ospedale, mia moglie è stata lasciata andare con dolori atroci, come un cane, è gravissimo», continua, sottolineando che «noi non vogliamo soldi né risarcimenti, non vorremmo fare nemmeno queste interviste perché stiamo malissimo, non puntiamo il dito su nessuno ma vogliamo che queste cose non succedano mai più. Queste cose non devono più succedere». E come dargli torto? In questo caso è stata l’umanità a mancare. La sensibilità davanti a una donna che stava per avere un aborto spontaneo.

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Fonte: Pexels

Dal suo canto, Alessia dice di sapere «benissimo che queste cose durante il primo mese possono capitare. E non voglio dire che una visita avrebbe potuto cambiare il destino. Ma io mi sento profondamente triste e arrabbiata, perché ciò che mi è mancata è stata la comprensione umana. Mi sono sentita messa da parte, perché penso che una visita a una mamma che sta male, che aspetta questo tesoro da cinque anni, sia un diritto sacrosanto. Mi avrebbe aiutato ad accettare tutto con meno amarezza».

Dal canto suo la direzione dell’Aou di Sassari ha scritto una nota annunciando delle verifiche interne: «La direzione strategica ha richiesto alle strutture aziendali di riferimento l’avvio di un audit interno con tutti i soggetti interessati perché si possa fare chiarezza su quanto sia effettivamente avvenuto. Siamo dispiaciuti per quanto accaduto alla signora». Tuttavia, la coppia, ha già iniziato con la denuncia querela che «verrà depositata al più presto», afferma all’Adnkronos l’avvocato Gabriele Sechi.

Per lui «non si può accettare il fatto che una persona, dopo aver aspettato venti minuti al triage di un pronto soccorso, per essere visitata debba fare un tampone molecolare, per il quale non si hanno subito i risultati. Non voglio pensare che sia la prassi o il protocollo perché altrimenti nessuno potrebbe essere visitato nell’immediato. I miei assistiti non sono interessati ai denari. Ma qui c’è stata un’assurda incompetenza, e deve essere accertata dalla magistratura». Intanto interviene anche il primario di Ginecologia Giampiero Capobianco che a La Nuova Sardegna dice:

«In queste settimane siamo stati costretti a correre ai ripari. Un cluster interno sarebbe un disastro, dobbiamo proteggere le altre donne ricoverate in attesa di partorire. Per questo i casi più semplici, in assenza di un tampone, cerchiamo di risolverli nel pre-triage. La paziente ha parlato di una lieve perdita e di dolori addominali, è una situazione purtroppo frequente a 3-4 settimane di gravidanza, e gestibile a casa. La nostra raccomandazione è stata quella di tornare immediatamente, qualora l’emorragia non passasse o aumentasse.

Noi vorremmo poter visitare tutti come prima, ma dobbiamo preservare il reparto. Nei giorni scorsi, grazie allo screening molecolare preventivo, siamo riusciti a intercettare otto donne positive. E le abbiamo potute gestire nella nostra area Covid. Ci dispiace davvero per quello che poi è accaduto alla paziente. Ma, è triste dirlo, noi non avremmo potuto cambiare le cose. Non almeno in una fase così prematura del feto».

Sul caso sta già intervenendo il Ministero della Saluta che ha disposto un’ispezione al Pronto Soccorso della Clinica Ostetrica Ginecologica dell’Aou locale, per capire cosa sia successo sabato scorso. Gli ispettori avranno il compito di accertarsi di eventuali responsabilità, fa sapere l’Ufficio stampo del Ministero. Nessuno porterà indietro la gravidanza di Alessia ed Enzo, ma almeno assicuriamoci che nessuno debba più soffrire in questo modo, come se un aborto spontaneo non sia già tanto doloroso.

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