Vi avevamo avvisato: non abbiamo finito di trattare il tema della salute mentale nel mondo dello sport per sensibilizzare chi apparentemente ne ignora l’importanza fondamentale.
Se in Formula 1 lo stigma della psicologia dello sport viene ancora perpetuato da coloro che avrebbero, invece, il compito di aiutare i propri piloti a raggiungere il benessere necessario per conquistare le alte aspettative della categoria regina dell’automobilismo a ruote scoperte, la MotoGP ha visto alcuni di quegli stessi piloti raccontare dei momenti in cui si sono sentiti più vulnerabili, consapevoli che per molti sia troppo difficile cogliere l’umanità dietro ai volti di quegli idoli forgiati dall’ebrezza della corsa.
La salute mentale raccontata dai piloti della MotoGP
Marc Marquez
“Andare in moto non si dimentica, è come chi sa sciare, che da una stagione all’altra fa la prima discesa con più calma e poi se ne va. Ma avevo un limite fisico dovuto al mio braccio. Quando il dolore aumentava, la forza diminuiva e non potevo guidare come volevo. E quando ho iniziato a godermela un po’, è arrivata la lesione all’occhio, che mi ha tenuto fuori per altri due mesi e mezzo”, ha raccontato Marc Marquez alle penne di El Pais.
Quel Marc Marquez iridato otto volte campione del mondo, che per molti appassionati del Motomondiale ha riscritto completamente la storia di questo sport, quello stesso pilota che purtroppo si è ritrovato vittima di un incidente che ha segnato irreparabilmente la sua carriera.
Corre il 19 luglio del 2020 quando, in occasione del Gran Premio di Spagna, sulla pista di Jerez de la Frontera, il Re della MotoGP si lancia in una rimonta che diventa letteralmente (e tragicamente) mozzafiato: l’otto volte campione del mondo punta ad assicurarsi il secondo gradino più alto del podio, ma alla curva 3 accade l’impensabile. Marquez taglia sul cordolo, perde il posteriore e cade in modo terribile. Atterra davanti alla sua moto, la quale finisce con opprimergli il braccio destro. Arriverà la conferma di una frattura all’omero e così l’inizio del suo calvario.
Il primo intervento, il rientro in pista troppo precoce, il forte dolore, la seconda e la terza operazione: nove mesi sono trascorsi tra incertezze e sofferenze, e sono arrivate la diplopia e la depressione. Poi, il ritorno il 10 aprile 2021, a stagione già iniziata, con il Gran Premio del Portogallo, a Portimao.
“Grazie al dottor Sánchez Dalmau e alla sua pazienza, sono riuscito a guarire. E ora penso al braccio. Perché il braccio non l’ho dimenticato. Ecco perché andrò a vivere a Madrid. Farò un grande cambiamento nella mia vita. Ho dovuto sacrificare alcune cose. Nonostante Cervera e la mia gente siano sacri, ho deciso di spostarmi per tornare a quel punto, per dare un’aria fresca alla mia vita e per trovare la strada che mi riporterà a quella guida e quel divertimento in moto che, se arrivano, porteranno anche i risultati“.
“Se avessi una macchina del tempo cambierei quella decisione di tornare su una moto così in fretta, quattro giorni dopo l’intervento. Ho imparato che ci sono molte carriere, ma il corpo è solo uno. Se ti prendi cura del tuo corpo farai molte gare. Ho preso quella decisione perché nessuno mi ha fermato, perché i medici mi hanno detto che potevo farlo. Ma quello che è successo è successo. E mi sono rotto di nuovo“.
“Nemmeno i medici sapevano se sarebbero passati tre mesi, sei, o se non sarei mai guarito e non avrei mai più guidato una moto. Arriva un punto in cui il tuo corpo si spegne. Non è che ti senti sconfitto, ma ti lasci andare. Non potevo fare niente. Poi è comparsa l’ansia, non mangiavo, perché non avevo fame… E il corpo ha reagito: sono dimagrito, avevo il viso coperto di brufoli… Ora è appena un mese che guido la mia moto, ho iniziato ad aumentare di peso, ad avere un bell’aspetto. Il primo mese, lo scorso novembre, non riuscivo nemmeno a guardare la tv“.
“Non riuscivo a camminare bene, né a prendere la macchina… Vedevo due immagini tutto il giorno, sovrapposte, sfocate, mi davano le vertigini. Non potevo condurre una vita normale. Volevo essere curato per poter avere una vita normale. Quella era la mia priorità“.
Quell’incubo irrompe ancora in Indonesia, che porta con sé un nuovo episodio di diplopia e il quarto intervento, annunciato in conferenza stampa al Mugello, prima del suo ritiro. Ma Marc oggi riesce ancora a sorridere: ha rimosso il tutore e si sta preparando per ritornare a correre in MotoGP, testimone di sei dei suoi titoli mondiali, però senza esagerare: “Voglio tornare, ma abbiamo ancora un lungo processo davanti a noi“.
Aleix Espargarò
Anche Aleix Espargarò, pilota di MotoGP attivo con l’Aprilia dal 2017, ha trovato supporto in quella figura così discussa dello psicologo dello sport: “Soprattutto nel 2018 e nel 2019 ho fatto molti incontri con lui tramite Zoom e sono andato con lui anche a Barcellona per lavorare in un’università sportiva. Mi ha aiutato molto. Ora non lo uso più regolarmente, ma solo quando ho dei dubbi“, ha raccontato Aleix, “Lo trovo davvero utile perché ti dà la prospettiva dall’altra parte. La testa è la parte più importante del nostro corpo e la nostra vera forza. Ecco perché me ne prendo cura“.
Maverick Vinales
“Ho lavorato con uno psicologo, con un fisioterapista, un personal coach, con i miei ingegneri e meccanici… Devi lavorare tutti i giorni. La pressione è molto difficile da assimilare se sei solo“, è stata la confessione di Maverick Vinales, campione del mondo di Moto3 nel 2013, attualmente pilota di MotoGP per l’Aprilia, in seguito alle accuse ricevute in occasione del Gran Premio di Stiria 2021, che lo avrebbero visto mettere a rischio uno dei motori della sua M1.
Infatti, la Yamaha aveva deciso di sospenderlo, portandolo poi a retrocedere nel team italiano. Questo fatto ha segnato la sua reputazione di “pilota fragile“, smentita completamente dal diretto interessato: “Non puoi fingere di non avere sentimenti, un pilota non è un robot… Abbiamo tutti i nostri problemi“.
Alex Rins
Di questa stagione sono le parole di Alex Rins, pilota di MotoGP per la Suzuki, che dimostrano l’importanza di un supporto psicologico nel mondo del motorsport: “Ho lavorato sulla mente con uno psicologo, e mi sono concentrato anche sul fisico. La moto ha fatto un passo in avanti e anche questo aiuta. È tutto una somma, che la moto vada bene e che il pilota faccia un buon lavoro“.
Le parole di Francesco Guidotti
“Il pilota deve capire ed essere consapevole che fino a pochi anni fa la condizione fisica era forse più importante del lato mentale. Il lato fisico è sempre più facile da accettare e capire, perché il pilota sente come reagisce il suo corpo e sa come e dove è più debole o più forte“, scrive così sul suo blog il team manager KTM Francesco Guidotti.
“Da un punto di vista mentale invece è un po’ complicato andare fino in fondo. I piloti devono essere sicuri di sé, ma quanto? E come? Soprattutto nei momenti difficili può essere complicato accettare che qualcuno possa essere come te o più forte di te. Le circostanze in MotoGP ti portano ad essere il migliore e sentirti il migliore grazie a pochi millisecondi, ma poi puoi anche sentirti una schifezza a causa di pochi millisecondi. Devi sapere come gestire questi momenti“.
All’appello di coloro che hanno usufruito della psicologia dello sport possiamo aggiungere anche il campione del mondo in carica Fabio Quartararo e Pol Espargarò, vincitore del campionato del mondo della Moto2 nel 2013. E sicuramente la lista non finisce qui.
Giulia, Giu per chiunque. 20 anni. Studentessa di lettere e fonte di stress a tempo pieno. Mi diletto nello scrivere di ogni (ma soprattutto di F1) e amo imparare. Instagram: @ xoxgiu