La vittima di Palermo è stata minacciata da un suo aguzzino (ma non uno dei sette di luglio) e sua madre

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Noi non diremo il suo nome: non lo abbiamo detto nei primi articoli e non continueremo a dirlo nonostante ormai sia di dominio pubblico e lei stessa è andata in programmi telesivi. La vittima di Palermo è la testimonianza di come i media e i social network non abbiano il minimo rispetto per le vittime di molestie sessuali, e noi di Cup of Green Tea non ci uniremo a loro. La notizia, tuttavia, dobbiamo darla: la giovane ragazza violentata a Palermo è stata minacciata da un ragazzo che in passato l’aveva molestata, accompagnato da sua madre che, invece di dare una lezione al figlio, ha deciso di andare contro la ragazza che lo ha denunciato.

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Non ripeteremo quello che ha dovuto subire la giovane ragazza di Palermo che lo scorso luglio è stata violentata da un branco di coetanei, oggi tutti – fortunatamente – in prigione. Vogliamo però ricordare le parole del Garante della Privacy, quando mise «in guardia sulle conseguenze, anche di natura penale, della diffusione e condivisione dei dati personali della vittima dello stupro di Palermo e dell’eventuale video realizzato». L’intervento è stato necessario in seguito alle «numerose notizie stampa su una “caccia alle immagini” scatenatasi nelle chat».

Per l’occasione, il «Garante ricorda che la diffusione e la condivisione del video costituiscono una violazione della normativa privacy, con conseguenze anche di carattere sanzionatorio, ed evidenzia i risvolti penali della diffusione dei dati personali delle persone vittime di reati sessuali (art. 734 bis del codice penale)». Eppure… Eppure oggi tutti pubblicano il suo nome dicendo che ha subito un’altra violenza sessuale, e su questo continuano i commenti di uomini e donne nemici delle donne, che proprio non riescono a percepire il corpo della donna non come un oggetto. E l’uomo invece è innocente, perché non sa controllare i suoi istinti. Viviamo in una distopia.

Il racconto della vittima di Palermo, minacciata e sequestrata davanti al fidanzato

La Procura di Palermo insieme alla Procura dei Minori ha avviato un’indagine per violenza privata nei confronti di un minore e di sua madre, a seguito della denuncia presentata dalla giovane palermitana che lo scorso luglio è finita sotto i riflettori a causa di una violenza sessuale presso il Foro Italico. Attualmente, sei individui sono sotto processo per questo abuso, e uno di loro è già stato condannato. Tutti sono comunque in carcere. Il ragazzo che invece l’ha minacciata nelle ultime ore insieme alla madre l’avrebbe molestata tra lo scorso maggio e giugno, e la vittima ne aveva parlato con gli inquirenti denunciando la violenza di gruppo.

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«Mi urlavano: ti ammazziamo, mentre mi colpivano, dopo avermi trascinato con violenza a casa loro. Mi gridavano: ti ammazziamo, mentre mi picchiavano, dopo avermi trascinata a forza a casa loro», racconta. Due giorni fa, in quella che doveva essere una serata normale nel centro storico con il suo fidanzato, la ragazza ha vissuto un altro incubo. «Ci hanno puntato un coltello e ci hanno divisi. Mi hanno immobilizzato e ho visto che la portavano via con la forza. Volevo chiamare subito aiuto ma me l’hanno impedito», ha raccontato il fidanzato di lei.

I due si trovano in piazza a Ballarò insieme ad altre persone, ed era appena passata la mezzanotte. Improvvisamente, arriva un’auto e la situazione prende una svolta inaspettata. A bordo c’è S., uno dei presunti aggressori della giovane, di cui lei ha parlato durante le testimonianze, riferendosi a un altro episodio di abuso accaduto prima dello stupro al Foro Italico.

Questo fatto ha attirato l’attenzione della Procura di Palermo, che ha avviato un’indagine. Come i sette già coinvolti, le cui famiglie hanno minacciato la giovane affinché ritrattasse, anche lui non intende restare in silenzio. Tuttavia, va oltre le azioni dei sospettati coinvolti nel caso del Foro Italico: quando la vede tra la folla a Ballarò, rallenta l’auto, abbassa il finestrino e inizia a insultarla.

Inizia un confronto, poi l’uomo si allontana, ma torna poco dopo. Questa volta a piedi, armato e in compagnia della madre: costringono la ragazza ad accompagnargli fino a casa, nello stesso quartiere. La prendono con la forza, minacciandola con un’arma da taglio. «L’ho vista mentre la trascinavano via, se la sono portata fino a casa mentre io avevo un coltello puntato alla gola», racconta il fidanzato, che aggiunge: «Quando finalmente sono riuscito a liberarmi volevo dare l’allarme perché intervenissero le forze dell’ordine, ma ho avuto paura di peggiorare le cose. Anche le persone attorno a me mi hanno sconsigliato di farlo perché quel ragazzo era armato e poteva attaccarla».

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Non appena può, il ragazzo si dirige alla caserma dei carabinieri più vicina, il comando provinciale dietro il teatro Massimo e racconta ai militari racconta l’accaduto nei minimi dettagli. Loro gli assicurano che le telecamere di videosorveglianza piazzate a Ballarò saranno utili per ricostruire l’evento. Ma il ragazzo non riesce a terminare il racconto prima che la fidanzata, il giovane indagato per violenza sessuale e sua madre si presentino in caserma. Il ragazzo riconosce immediatamente i tre e informa i militari della loro presenza. I tre vengono trattenuti in caserma per diverse ore.

La prima ad uscire è la giovane vittima, intorno alle sette di mattina. Tornata a casa della zia, rivive la terribile notte appena trascorsa: il rapimento e le minacce di morte subite nell’abitazione del ragazzo, le urla e i colpi ricevuti alle gambe. «Mi gridavano: “ci hai rovinato la vita”, mentre mi picchiavano e mi minacciavano di uccidermi», racconta. Poi, madre e figlio decidono di portarla alla caserma dei carabinieri per farla ritrattare.

«Ma hanno proceduto d’ufficio, anche se volessi non potrei fare nulla», ha spiegato lei ai suoi aguzzini. Madre e figlio si sono recati alla caserma di Carini, forse ignari della serie di reati appena commessi, e pretendevano che la ragazza scagionasse il giovane. Eppure… Non è così.

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