Non una di meno – Palermo: “Non erano mostri, né cani, né un branco in movimento: erano ragazzi”

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Da quando lo stupro di una diciannovenne di Palermo per mano di sette giovani uomini e un minorenne è divenuto pubblico e tutti i giornali hanno cominciato a parlarne, è divenuto evidente anche come le testate e le persone in generale siano inconsapevolmente figli del patriarcato. “Branco”, “mostri”, “bestie”, sono i termini utilizzati per descrivere i sette, che però sono ragazzi. Sono quelli che vediamo a scuola, sono quelli che incontriamo al supermercato, i nostri colleghi di lavoro. Non sono tutti gli uomini, ma sono sempre uomini. Anche quelli che non ti aspetti. Per questo il comunicato di Non una di meno – Palermo è importante e tutti dovrebbero leggerlo.

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Fonte foto: Non una di meno – Palermo

Lo abbiamo detto più volte, e lo ripeteremo altrettante volte: chiamandoli “branco”, “mostri”, “bestie”, “animali”, si sta deumanizzando un assassino, uno stupratore, un molestatore, che è semplicemente un uomo, un essere umano. In un certo senso si cerca di rendere una violenza che è di genere, non di genere, e quindi togliendo la responsabilità all’uomo. Spesso sono proprio gli stessi uomini a chiamare “bestia” qualche ragazzo che ha fatto qualcosa di molto brutto a una donna, commentando con il solito “io non lo farei mai”, “not all men” o “non siamo tutti così”, ma molte volte sono le stesse donne a compiere questo errore.

Chi ti violenta, è un uomo. Chi ti molesta, è un uomo. Chi ti droga per stuprarti, è un uomo. Chi ti picchia, è un uomo. Chi ti uccide perché vuoi lasciarlo, è un uomo. Chi ti vieta di parlare con le tue amiche, è un uomo. Chi ti considera di sua proprietà, è un uomo. Sappiamo che, per fortuna, non tutti gli uomini sono così. Sappiamo che ci sono persone sane senza che venga commentato sotto ogni articolo di violenza di genere. Eppure, quanti di quelli che commentano “non tutti gli uomini” intervengono quando un loro amico commenta in un determinato modo una donna? Quanti di loro interverrebbero mettendosi contro gli altri uomini?

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Fonte foto: Non una di meno – Palermo

Non tutti gli uomini, ma è sempre un uomo. Ed è per questo che nel 2023 parliamo ancora di patriarcato, sessismo, femminismo e lottiamo e scendiamo in piazza e facciamo di tutto per non dimenticare le vittime di una società e di una cultura dello stupro. Per questo motivo non possiamo accettare determinati commenti da uomini feriti nell’orgoglio perché diciamo che i femminicidi in Italia sono troppi. Se non sei come gli altri, allora perché invece di indignarti, di arrabbiarti, di scendere in piazza e urlare che questa società considera le donne come degli oggetti, devi piagnucolare sotto un post in cui una ragazzina è stata violentata? Pensaci.

Il comunicato di Non una di meno – Palermo

Da quando è stata pubblicata la notizia, Non una di meno – Palermo è scesa a manifestare e a chiedere giustizia per la vittima ma anche per tutte le vittime, perché non tutte riescono ad avere il coraggio e la forza di denunciare. «Ciò che è successo nella nostra città ci fa male. Crescere una rabbia mai spenta, mai sopita», scrivono tre giorni fa in un post.

«Una nostra sorella è stata violentata. Ripetutamente. Un gruppo di giovanissimi uomini, ha stuprat0 una coetanea per dimostrare il loro valore. Ancora una volta alla gravità dell’accaduto in sé si somma la gravità della narrazione che viene fatta. La ricerca morbosa dei particolari, lo stato di lucidità della vittima ripropone, anche in forma velata, una sorta di assoluzione».

In particolare, parlano proprio di come le testate non sappiamo denunciare lo stupro di una donna: «E ancora siamo contro la narrazione che condanna ‘il branco’ ma non gli individui, riproponendo il solito schema di deresponsabilizzazione. Nessun branco, questi sono uomini che affogano e si cibano della stessa cultura della prevaricazione. Siamo contro la militarizzazione dei quartieri e dei territori, quello che va smantellato e sabotato è un intero sistema costruito sulla base del patriarcato e per farlo è necessario costruire una rete di solidarietà».

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Fonte foto: Non una di meno – Palermo

Lanciando anche un’assemblea che si terrà nella giornata di domani 23 agosto presso la sede di via Matteo Bonello 39, davanti al Tribunale di Palermo, poi, Non una di meno – Palermo ha letto un comunicato stampa lanciato sui social:

A Palermo, la serata spensierata di una ragazza in giro per le strade e i locali della città viene brutalmente interrotta e sporcata da un gruppo di 7 giovani uomini che abusano di lei e riprendono il momento dello stupro con il cellulare. Questo il fatto nella sua asciutta verità liberato da tutti gli orpelli di una narrazione tossica veicolata dai mass media e diretta espressione di un sistema patriarcale e machista.

È bastato un semplice passaparola per far convergere centinaia di persone alla Cala di Palermo ieri sera. Era importante vedersi, riconoscersi fra alleati e alleate contro un sistema violento e patriarcale, discutere l’accaduto e farsi sentire!

Da lì la decisione di muoversi rumorosamente in una passeggiata per le strade della città, nei luoghi in cui si è consumata la violenza, per potere esprimere il dissenso e la rabbia per quanto accaduto, per far giungere una voce solidale alla giovane donna stuprata e a tutte coloro subiscono quotidianamente violenza di genere.

“Lo stupratore non è malato, è figlio sano del patriarcato”, “Il sesso senza consenso è stupro”, “Sorella non sei sola!”, sono i cori urlati e gli striscioni appesi nel cuore della vucciria e al foro italico.

Quanto accaduto e la sua narrazione rivelano elementi gravissimi e importanti da sottolineare: per il sistema attuale e la sua società noi siamo prede da catturare e sbranare per assecondare lo sguardo sessuale maschilista, una mania del possesso e della sottomissione. Siamo oggetti da afferrare e trofei da esporre a riprova della virilità.

Quando veniamo schiaffeggiate, stuprate, uccise i temi e le domande che si pongono per interpretare l’accaduto si riducono a quale azione noi siamo colpevoli di aver compiuto che ha innescato quella conseguente e animosa reazione violenta, quanto abbiamo bevuto o che vestiti indossavamo o in che parte della città ci muovevamo perché, insomma, ce la siamo proprio cercata. Noi abbiamo la colpa, l’uomo è caduto nella nostra rete.

E poi, ancora, questo fatto rileva la totale normalizzazione della violenza e dell’oggettificazione dei nostri corpi: è normale che al bancone di un pub si dica di voler fare bere una ragazza per poter fare di lei ciò che si vuole, come è normale essere palpeggiate o avvicinate senza il nostro permesso. E poi, se invece di sette fosse stato uno lo stupratore? E se invece di stupro fosse stato un palpeggiamento? Ci sarebbe stato tutto questo interesse dei media e della governance?

È la spettacolarizzazione della violenza che interessa o l’atto di violenza di genere in sé e per sè? Perché tutti i giorni la subiamo e passa sempre sotto silenzio totalmente sussunta nella quotidianità. Quando la stampa e l’opinione pubblica si interessano a un fatto ecco che la ricostruzione morbosa dell’accaduto si traduce in una vera e propria pornografia del dolore, la ricerca meticolosa dei particolari atta a far emergere lo stato di poca lucidità della vittima per assolvere velatamente il carnefice, l’utilizzo di termini come “branco”.

Lo chiamano branco, li chiamano mostri, urlano all’ergastolo: questa retorica e questo linguaggio non fanno altro in realtà che deresponsabilizzare e individualizzare soltanto sui sette ragazzi la cultura dello stupro che in realtà ci circonda tutti i giorni. Non erano mostri, né cani, né un branco in movimento: ragazzi, come i tanti che tutti i giorni dalle chat su wa al catcalling, dallo stalking ai mille processi di virilità tossica, sono figli del patriarcato di cui riproducono la violenza. E quando non si riconoscono queste come espressioni di violenza di genere si è complici.

Ciò che è accaduto è diretto riflesso di un sistema che ci considera subalterne e solo e soltanto in relazione al nostro corpo. Ciò che è accaduto non è un caso isolato. Ciò che è accaduto non può essere raccontato seguendo la logica della spettacolarizzazione, dell’assoluzione del carnefice, della colpevolizzazione della vittima, della straordinarietà del fatto. Ciò che è accaduto, infine, non può trovare risposta risolutiva in una militarizzazione dello spazio pubblico e nella giustizia dei tribunali.

Precedenti esempi, di fatto, ci dimostrano che denunciare spesso non soltanto non porta a nessun esito ma conduce anche a subire ulteriori violenze, come quella della narrazione tossica mediatica, che pur di acchiappare qualche like in più sbatte in prima pagina il racconto dettagliato della violenza subita; di un tribunale che mette sotto processo la vittima stessa, che deve dimostrare la sua credibilità: di un sistema il cui carcere non fa altro che riprodurre o produrre nuove violenze.

Se questo stupro di massa è accaduto, se tutti i giorni subiamo violenza di genere dentro e fuori le nostre case, è perché l’intero sistema è costruito sulla base del patriarcato e perché le nostre città non hanno abbastanza luoghi dove il transfemminismo sia riconosciuto e possa essere praticato.

Abbiamo bisogno di città sicure in ogni angolo e anfratto in cui non temere di subire discriminazione e violenza sulla base del genere, in cui potere vivere come meglio crediamo e desideriamo. Non abbiamo più molto tempo, la situazione sta precipitando e dobbiamo muoverci in fretta e in maniera capillare, con forza e audacia per costruire una rete dal basso che componga pezzo dopo pezzo una società, una città in cui non rischiamo la pelle.

Tutto il nostro amore e tutta la nostra rabbia vuole abbracciare e supportare la nostra sorella; saremo sempre pronte e con le lenti giuste a osservare la realtà, a vigilare che nessuna espressione di violenza di genere venga perpetrata nell’indifferenza, a distruggere pezzo dopo pezzo la cultura patriarcale.

Sorella non sei sola

Non una di meno – Palermo

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