F1: il Brasile di Ayrton Senna

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Come ormai di consuetudine, strapazzo ancora le parole di Leo Turrini, dal suo libro “Ayrton Senna. Il pilota immortale“.

Il resto è ancora più coinvolgente e sconvolgente. Perchè nell’addio si stanno saldando le due anime del Brasile, quelle che tu desideri ricomporre, superando la devastante frattura tra gli Have e gli Have Not, coloro che tutto hanno e coloro che nulla possiedono, se non la forza della disperazione. Have e Have Not, nemmeno sono sicuro che si scriva così, il concetto lo usano gli economisti statunitensi, ci è capitato di parlarne assieme.

Questa fusione di mondi lontanissimi, improvvisamente riavvicinati fino a sovrapporsi, si sta compiendo sotto i nostri occhi, sotto gli occhi di chi ti ha accompagnato a casa. Sulla strada che dall’aeroporto porta al centro della città, si sono radunate, da ore e ore, folle immense. Parlano di cinque milioni di abitanti di San Paolo. Fermi, ai lati dell’immensa tangenziale che collega lo scalo con la città. Oppure aggrappati alle ringhiere dei ponti. O appollaiati in cima agli alberi. È uno spettacolo indescrivibile.

Leo Turrini, “Ayrton Senna. Il pilota immortale“, © 2021 Comedit Srl.
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Fonte: Pascal Rondeau – Getty Images

Il Brasile di Ayrton Senna

Ayrton un posto in politica sarebbe pure riuscito a ritagliarselo, in quel Brasile spezzato in due. Lui, figlio di un proprietario di diverse fattorie ed imprenditore, era nato dalla parte degli Have, proprio a San Paolo nel 1960. Nelson Piquet nasce invece a Rio de Janeiro, otto anni prima del suo connazionale.

Se a legarli sono le indiscusse capacità dimostrate al volante – entrambi laureatosi campioni del mondo per ben tre volte – è proprio il loro luogo di nascita a generare più astio: così pure i tifosi brasiliani sono costretti allo scisma.

Ayrton diceva: “Vengo da una famiglia che non ha mai avuto problemi di sussistenza. Ho questa grande fortuna e ne sono lieto, però proprio per questo ho il dovere di non dimenticare le masse sterminate delle favelas, i disperati che abitano le baracche a poche centinaia di metri dalle residenze lussuosissime“.

Ma anche se ne avesse avuto il tempo, Senna in politica non ci voleva finire. Era un pilota, e intendiamoci, non era un santo, benché fervente cristiano (si portava una copia della Bibbia ovunque andasse). Però, per il Brasile è ancora uno degli orgogli più grandi, così come Piquet.

Il dissidio con l’ormai naturalizzato brasiliano sette volte campione del mondo Lewis Hamilton è qualcosa che si tende ad ignorare, nonostante giusto ieri sia arrivato il verdetto: condanna in primo grado, 900mila euro é il prezzo che Nelson dovrà pagare a Sir Lewis per i suoi insulti razzisti e commenti omofobi.

Anche Emerson Fittipaldi è paulista, figlio di una dissidente dell’URSS, campione del mondo di F1 del 1972 e del 1974. Classe 1946, sostenitore di Jair Bolsonaro. Lui, invece, la carriera da politico ha provato a costruirsela proprio qui in Italia, al fianco di Giorgia Meloni, ma alla fine non è stato eletto senatore.

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Fonte: Getty Images

Ayrton Senna è morto, punto e basta. Il popolo che si spinge per lanciare un bacio alla salma, scortata da cavalieri della presidenza della repubblica, è qui perchè sa che non ci saranno altre occasioni. Questa lenta, estenuante processione è la tua ultima corsa. E stavolta sono loro, i poveracci dei quartieri malfamati, i ladri e le prostitute, i bambini svenduti sul mercato dell’orrido commercio sessuale, sono loro, sì, ad agitare quel vessillo verde oro. Ti stanno salutando come tu li salutavi alla fine di un Gran Premio trionfale.

Leo Turrini, “Ayrton Senna. Il pilota immortale“, © 2021 Comedit Srl.

Il Brasile ama Ayrton Senna, così come lui amava il suo Paese. Un Paese che ha convissuto con una dittatura militare fino al 1985, l’ultimo Stato ad abolire la schiavitù nel 1888, una terra ferita dove la polizia militare non ha paura di perpetuare violenza neanche nei confronti di bambini.

Quella dittatura durò per più di vent’anni, minando le libertà civili di un popolo già sofferente. Il colpo di Stato da parte dell’esercito avvenne in piena Guerra Fredda. Venne varata una nuova Costituzione che rese lecita la possibilità di perseguitare gli oppositori, i cui partiti e sindacati vennero sciolti. Si stima che gli oppositori uccisi siano tra i 300 e i 400, oltre ai migliaia torturati e spariti dalla circolazione.

L’attuale Presidente del Brasile, Lula Da Silva, ha contribuito a smantellare quel regime militare, fondando un nuovo Partito dei Lavoratori.

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Fonte: Pascal Rondeau – Getty Images

Ayrton sapeva che nella sua patria c’erano poveri poverissimi e ricchi ricchissimi, e le cose non sono affatto cambiate.

Bolsonaro ha ceduto la presidenza ufficialmente nel primo giorno dell’anno, lui che andava fiero del terrore che i poliziotti militari seminano tutt’oggi tra la popolazione nera e povera, tra le persone appartenenti alla comunità LGBTQ+, gli attivisti, i politici. “Sarei incapace di amare un figlio omosessuale. Non sarò un ipocrita: preferirei che mio figlio morisse in un incidente piuttosto che presentarsi con un tipo con i baffi“, diceva l’ex capo di Stato.

Oggi, la Fondazione Ayrton Senna è la manifestazione delle ultime volontà del pilota brasiliano: la sua opera di beneficienza era iniziata in parallelo con i primi grandi successi, e ai nostri giorni continua, avendo offerto a migliaia di ragazzi poveri – suoi connazionali – di ricevere un’adeguata istruzione.

A me sembra un discorso, come dire, che ha lo spessore di un programma politico. Di un progetto per una carriera da ministro, da governatore, da presidente addirittura. Te lo dico e ti metti a ridere, “no, per carità, in politica mai, uso parte dei miei soldi per aiutare gli emarginati e i ghettizzati e continuerò a farlo anche una volta appeso al chiodo il volante, però non entrerò mai nel Palazzo, è l’intera società brasiliana che deve cambiare profondamente, è un mutamento al quale ognuno deve contribuire e nessuno può sentirsi estraneo“.

Leo Turrini, “Ayrton Senna. Il pilota immortale“, © 2021 Comedit Srl.

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