3 aprile 1976: le donne del progresso in piazza per legalizzare l’aborto

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Quarantotto anni fa migliaia di donne scendevano in piazza per far sì che loro, le loro figlie e le loro nipoti un giorno avrebbero potuto ricorrere all’aborto non in clandestinità, ma in modo sicuro. Oggi la situazione in molti paesi europei è tragica, e l’Italia non si distingue, purtroppo. Abbiamo politici che cercano di portarci nel passato nascondendosi dietro la religione. Abbiamo politici a cui non importa minimamente della donna e dei suoi diritti. Politici che sono contro la gestazione per altri perché oggettifica la donna, ma che non si fanno scrupoli a considerarla solo come un grembo. Cosa penserebbero – e cosa pensano – le donne che quarantotto anni fa hanno fatto la storia?

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Foto di Piero Ravagli, su Herstory

Il Presidente Giorgia Meloni all’inizio del suo mandato non aveva minimamente avvisato i suoi colleghi uomini che non aveva intenzione di toccare l’aborto, tant’è che la prima proposta è arrivata da Maurizio Gasparri, che, come spiega lui stesso, «è un lascito morale di Carlo Casini, fondatore del Movimento per la vita», ovvero il primo movimento antiabortista italiano che venne fondato subito dopo l’approvazione della 194. La proposta prevede il riconoscimento giuridico del feto attraverso la modifica dell’articolo 1 del Codice Civile.

Il secondo disegno di legge è sempre di Maurizio Gasparri, Fratelli d’Italia, che cerca sempre di fare qualcosa contro i diritti delle donne. Il testo di Gasparri prevede di istituire la “giornata della vita nascente”, riferendosi a una serie di associazioni cattoliche che fanno parte del movimento antiabortista italiano, come “Family Day-Difendiamo i nostri figli”, “CitizenGo” o “Giuristi per la vita” o che si occupano addirittura della sepoltura dei feti senza il consenso delle donne coinvolte.

Infine, la terza proposta arriva dal leghista Massimiliano Romeo, e si intitola “Disposizioni per la tutela della famiglia e della vita nascente, per la conciliazione tra lavoro e famiglia e delega al Governo per la disciplina del fattore famiglia“, ed è una copia di quello presentato nel 2021 in cui diceva che «il concepito è riconosciuto quale componente del nucleo familiare a tutti gli effetti», per istituire un «fondo per il sostegno della maternità (…) finalizzato all’erogazione di aiuti e contributi per evitare che le donne in stato di gravidanza ricorrano all’interruzione volontaria della medesima».

Parliamo di alleati della Polonia che ha fatto morire troppe donne rendendo praticamente illegale l’aborto e ovviamente dell’Ungheria, che vuole obbligare le donne che desiderano abortire ad ascoltare il battito cardiaco del feto prima di poter portare a termine la procedura. Il provvedimento, firmato dal ministro dell’Interno Sandor Pinter, obbliga le donne a ottenere prima la perizia da un ostetrico-ginecologo, in cui si assicura di essere state confrontate «in modo chiaramente identificabile» con le «funzioni vitali» del feto. Non che in Italia, comunque, abortire sia più semplice.

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Sciopero delle donne in Polonia in seguito alle leggi contro l’aborto

Nonostante dovrebbe essere legale, infatti, i medici obiettori sono fin troppi, per cui sebbene l’aborto sia legalmente possibile, trovare un medico che sia disposto a farti abortire è davvero complesso. E in più abbiamo diversi personaggi che contribuiscono a rendere la discussione ancora più complessa. Simone Pillon, leghista, scrive post anti-aborto ogni due giorni o ogni giorno, diffondendo non solo fake news (come quando pubblico la dichiarazione di Justin Bieber del 2011, quando lo stesso Bieber poi si è schierato a favore della libertà di abortire) ma anche facendo del male a tante donne che vorrebbero dei figli ma non possono permetterselo.

Non possiamo avere dei figli se non abbiamo un salario minimo, se non abbiamo un lavoro, se non riusciamo ad arrivare a fine mese, se gli affitti sono alle stelle, se per trovare un lavoro dignitoso dobbiamo abbandonare la nostra città o proprio il nostro paese, se per lavorare dobbiamo per forza trasferirci nel nord Italia, completamente da soli, dove con uno stipendio di due persone non si riesce a coprire tutte le spese di un infante. Non si tratta, come ritiene la ministra della Famiglia e delle Pari Opportunità, di scegliere fra un bambino o uno spritz. Si tratta, semplicemente, di non avere abbastanza soldi per crescere un bambino in modo dignitoso.

Quando il Governo si renderà conto di questi problemi, gli aborti diminuiranno e le nascite aumenteranno. Fino ad allora (e anche dopo, considerando che ci sono donne che semplicemente non vogliono essere madri), l’aborto deve essere libero e sicuro per tutte le donne che ne hanno bisogno. C’erano arrivati nel 1976, possiamo farcela anche noi.

La manifestazione pro aborto che ha portato, due anni dopo, alla legalizzazione

Il 1976 è stato un anno di manifestazioni per legalizzare l’aborto, e solo due anni dopo, nel 1978, è stata approvata la legge 194 che consente alle donne di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza in una struttura pubblica nei primi 90 giorni di gestazione. «Spesso leggendo sui giornali delle squallide baruffe tra parlamentari sul problema dell’aborto ci chiediamo: perché con la crisi economica che c’è? Poi ci siamo accorte che 50.000 donne manifestavano a Roma e che il governo sta per cedere, che la lira oscilla come il Parlamento; allora ci siamo chieste: quali interessi ci sono sotto a questo “diritto civile”, a questa battaglia ideale?», si legge in uno dei tanti manifesti.

«Abbiamo grattato sotto gli sporchi affari dei medici strozzini (anche se è un giro di miliardi) ed abbiamo visto che aborto (e nessuna donna se potesse vorrebbe abortire) vuol dire anche libertà di scegliere se avere o non avere figli. ABORTO LIBERO E GRATUITO SIGNIFICA ANCHE DECIDERE QUANDO AVERE UN FIGLIO; AVERE LA POSSIBILITA’ DI MANTENERLO, AVERE SERVIZI SOCIALI PERCHE’ LA MATERNITA’ NON SI TRADUCA IN UN AGGRAVIO DEL NOSTRO CARICO DI LAVORO DOMESTICO».

Purtroppo, continuando a leggere, ci identifichiamo fin troppo nelle parole di questo manifesto del 1976: «allevare un figlio oggi significa lottare tutti i giorni con lo stipendio che non basta per comprare da mangiare e da vestire, chiudersi in casa per sempre perché non ci sono servizi sociali, spendere soldi in medici per curarlo o curarci, sfacchinare in casa per tenerla pulita, magari anche cercare un lavoro esterno, perché il salario del marito non basta più». Dovrebbe esserci la sanità pubblica… Eppure ancora oggi, nel 2024, anzi forse più di un ventennio fa, siamo costretti a rivolgerci a strutture private perché più veloci. Se vuoi vivere, devi avere soldi, perché gli ospedali pubblici, le ASL, funzionano poco e male.

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Un altro manifesto per legalizzare l’aborto nel 1976

Come si legge nel primo manifesto analizzato, c’era stata una manifestazione a cui hanno partecipato più di 50.000 donne. La manifestazione a cui si fa riferimento è quella del 3 aprile 1976 a Roma, indetta dal CRAC (Coordinamento romano aborto contraccezione), dall’UDI e da altri collettivi femministi. Il corteo ha sfilato per le vie della città arrivando a piazza Navona, dove è iniziato il comizio.

Fra i vari cartelloni, che si possono vedere in un video presente su Youtube, si leggono diversi cartelloni: “Basta con l’aborto clandestino“, “La metà del cielo è in tempesta“, “Aborto libero e legale. Governo Moro per te finisce male” o ancora “Autocoscienza anche maschile per rifiutare il ruolo fittizio dell’uomo forte“, quest’ultimo tenuto da un uomo. Altri: “Dc – Msi sono contro l’aborto perché vogliono partorire un mostro“, “Basta con la violenza sessuale“, “Per una maternità libera e consapevole“, “Siamo donne siamo tante siamo stufe tutte quante”, “Alla donna la decisione, senza la donna non c’è soluzione”, “Il voto nero non ci fa paura la lotta delle donne sarà sempre più dura”.

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I cori, invece, urlano degli slogan: “Aborto libero”, “Sì sì sì abortiamo la Dc”, “Tremate le streghe son tornate”, “Senza la nostra liberazione non ci sarà rivoluzione”, “Unità. La lotta delle donne vincerà”. Se siete interessate a leggere i volantini delle manifestazioni per legalizzare all’aborto, vi rimando alla pagina di Femminismo Ruggente – su cui ho trovato anche i manifesti precedenti. È interessante, quanto sconvolgente, vedere come dopo quarantotto anni la situazione è migliorata solo di poco. Due anni dopo questa manifestazione, le donne hanno vinto, le donne sono riuscite a rendere l’aborto legale e sicuro… Ma oggi, temo, dovremmo scendere nuovamente in Piazza.

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