«Mi dispiace per quello che ha fatto mio figlio. Doveva uccidere me» ha detto Salvador Ramos, padre dell’omonimo Saldavor Ramos, assassino di 21 persone di cui 19 bambini durante la sparatoria in una scuola elementare del Texas. Nelle ultime ore stanno cominciando a uscire diversi racconti e testimonianze da parte della famiglia del killer, così come di alcuni compagni di scuola, che hanno smentito che fosse vittima di bullismo. Il bullismo, comunque, in alcun modo giustifica l’omicidio di 21 persone.
21 persone. 21 giovani vite. 19 bambini, tutti di una stessa classe, e due insegnanti che si sono sacrificate per proteggere i propri studenti. Madri, mogli, figlie, donne dedite al loro lavoro e che non sono state protette da uno stato che ha più a cuore il diritto di alcuni di possedere un’arma che usano per uccidere rispetto al diritto dei bambini e delle persone di vivere. Ma solo delle persone già nate. Perché in Texas non puoi neanche sognarti di abortire, perché quello sì che è omicidio va negato a tutti i costi.
Quello alla Robb Elementary School, è solo l’ennesimo caso in cui le vittime sono delle persone innocenti, dei bambini su cui non puoi dire neanche che si trovavano lì “al momento sbagliato“. Perché quello era il momento esatto in cui dovevano trovarsi nella loro scuola, al sicuro da tutto e da tutti. Nella scuola dove il peggio che può succederti è di prendere un brutto voto. E invece abbiamo il bullismo, abbiamo i professori che hanno dimenticato come si insegna e abbiamo le sparatorie scolastiche. Sarebbe bello dire “questa in Texas sarà l’ultima“. Ma finché in America si continuerà a vietare l’alcool fino ai 21 anni per poi regalare armi ai quindicenni, la situazione non cambierà mai
Voglio anche ricordarvi che mentre i soliti politici fanno condoglianze, esprimono sconcerto e shock, dicendo di dover far qualcosa per le armi, il repubblicano trumpiano ha proposto di «armare e preparare gli insegnanti a rispondere rapidamente. Secondo me questa è la risposta migliore», perché «non possiamo fermare i cattivi dal fare cose brutte». Chissà se Ken Paxton, trumpiano del Texas, è cosciente del fatto che solo negli USA ci sono più sparatorie rispetto a tutto il resto del mondo.
Sparatoria in Texas: le parole di chi conosceva Ramos
Salvador Ramos Sr, 42 anni, si è detto molto «dispiaciuto» per quel che il figlio 18enne ha fatto. Ha detto che «non si sarebbe mai aspettato» che il suo figlio più piccolo – che aveva il suo stesso nome – facesse una follia omicida, descrivendolo come «una brava persona» che «stava per conto suo». Ma ha anche ammesso di avere un rapporto distaccato e difficile con Salvador Jr – ucciso a colpi di arma da fuoco dalla polizia – e che sua madre (la nonna del killer) ritiene che il diciottenne gli avrebbe sparato se avesse potuto perché «diceva sempre che non lo amavo».
«Non voglio che lo chiamino mostro… non sanno niente, amico. Non sanno niente di quello che stava passando“, ha detto ancora. Sono le parole di un padre che sta soffrendo per la perdita di un figlio e per le azioni che ha fatto prima di morire. Ricordiamo che i genitori degli school shooter non sono colpevoli delle azioni dei figli. D’altronde, l’esempio più lampante è Sue Klebond, madre di uno dei due killer di Columbine, che aveva cresciuto il figlio con amore, rispetto e… religione.
Al Daily Beast, Salvador Ramos Sr ha detto che «avrebbe dovuto uccidere me, sai, invece di fare una cosa del genere a qualcun altro». Racconta che, quando ha saputo la notizia della sparatoria, lui era a lavoro e sua madre lo ha chiamato per comunicargli ciò che stava accadendo. Lui allora ha chiamato la prigione locale per sapere se il figlio fosse lì, e ha appreso la sua morte. «Hanno ucciso il mio bambino», ha detto. «Non vedrò mai più mio figlio, proprio come loro non vedranno i loro figli. E questo mi fa male».
Alla testata americana ha anche detto di non sapere in che modo suo figlio fosse divenuto così violento, né perché abbia deciso di prendere di mira la scuola. Ma ha anche affermato di aver notato un cambiamento in suo figlio negli ultimi mesi: un paio di guantoni da boxe che aveva acquistato e che aveva iniziato a testare in un parco locale. «Ho detto, ‘Mijo, un giorno qualcuno ti prenderà a calci in culo’», ha ricordato Ramos. «Ho iniziato a vedere diversi cambiamenti in lui in quel periodo».
Ramos Jr aveva un brutto rapporto con la madre, e aveva abbandonato la scuola superiore proprio poco prima del diploma, all’ultimo anno. Suo padre ha ammesso di non aver trascorso molto tempo con lui ultimamente perché era impiegato fuori Uvalde – scava buche intorno ai pali per l’ispezione – e a causa della pandemia. Proprio a causa delle precauzione per il COVID, il padre dice che il figlio era frustrato. Non si vedevano da un mese circa.
Il padre del killer parla anche della figlia maggiore, Marisabelle Ramos, 21enne, che «ha cambiato vita ed è andata in marina. Vorrei che mio figlio se ne fosse andato e avesse cambiato la sua vita». Rolando Reyes, nonno del killer, ha detto che «mia nipote Marisabelle è in Marina e attualmente di stanza a San Diego, in California», tuttavia è «tornata di corsa a San Antonio per stare con sua nonna Celia dopo aver ricevuto la tragica notizia», per cui al momento è con la nonna a San Antonio.
Ex compagni di classe hanno poi confermato (altri smentito) che Salvador Ramos Jr fosse stato vittima di bullismo alle medie per un problema di linguaggio, e altri raccontano anche della sua vena aggressiva. Una compagna di scuola superiore ha detto alWashington Postdi aver visto Ramos coinvolto in molteplici risse, e un ex collega ha detto al Daily Beast che era incline a molestare le donne con cui lavorava.
Nadia Reyes, compagna di classe, ha detto di non credere «che sia stato necessariamente vittima di bullismo. Porterebbe le cose troppo oltre, direbbe qualcosa che non dovrebbe essere detto, e poi andrebbe in modalità difensiva al riguardo». Un altro compagno di classe, Jamie Arellano, dice che «andava al parco e cercava di prendersela con le persone e adorava ferire gli animali». «Urlava i nomi delle persone e iniziava risse. Ricordo che c’è stata una volta in cui l’abbiamo visto picchiare un cagnolino senza motivo».
Ariel Silva, il cui figlio frequenta una scuola a Uvalde, in Texas, dice che «abbiamo alcuni terapisti qui a livello locale, ma non sono davvero ai livelli di fare qualcosa del genere come questo ragazzo». Aggiunge che «questa scuola non ha mai abbastanza soldi per fare davvero tutte le cose che devono fare. Questa non è una comunità ricca». «Sono sicura che fanno quello che possono, ma semplicemente non otteniamo i finanziamenti che altre scuole sembrano ottenere».
Lydia Martinez, residente locale, ritiene che «lo stato ci lega le mani. Ci guardano semplicemente come ‘quei poveri ispanici’ che vivono vicino al confine. Se avessimo avuto risorse e rappresentanza avremmo potuto evitarlo».
Giulia, 26 anni, laureata in Filologia Italiana con una tesi sull’italiano standard e neostandard, “paladina delle cause perse” e studentessa di Didattica dell’Italiano Lingua non materna. Presidente di ESN Perugia e volontaria di Univox. Amo scrivere, leggere, guardare serie tv e anime, i gatti e seguire le giuste polemiche.
Instagram: @murderskitty