Polonia: un tribunale assolve il conducente di un furgone omofobo

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Un conducente di un autobus in Polonia che paragonava l’omosessualità all’omofobia durante il Pride della città di Gorzów Wielkopolski nel 2019, è stato assolto perché, secondo il giudice del tribunale, tutto quello che c’era scritto sul furgone era vero. Polonia, Unione Europea, 2023. E non ci stupisce! È questa forse la parte peggiore: in Polonia c’è un clima omofobico ormai da anni e per quanto l’Unione Europea, seppur in ritardo, abbia cercato di andare contro questa situazione, è evidente che non è stato per niente utile.

Prima, però, facciamo un breve riassunto sulla situazione delle persone LGBT in Polonia. I problemi con le persone LGBT iniziano con l’introduzione della Carta della Famiglia polacca che però prendeva in considerazione solo la famiglia eterosessuale. Si sono aggiunte poi tante situazioni, come, ad esempio, i vescovi che volevano guarire gli omosessuali tramite delle cliniche create ad hoc. Il colmo lo si è però raggiunto con le LGBT-Free zones. L’ultima del PiS è stata l’istituzione del superprocuratore, ma andiamo passo passo.

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Cosa sono le LGBT-Free zones? Sono delle città o addirittura comuni conservatori che hanno firmato delle dichiarazioni negli ultimi tre anni affermando di essere «liberi dall’ideologia LGBT» oppure semplicemente sostenendo il «matrimonio tradizionale», insomma, in altre parole, essendo degli omofobi. A riguardo si è anche espressa a marzo scorso Ursula von der Leyen, Presidente della commissione europea, che in un tweet ha scritto «Essere noi stessi non è un’ideologia. È un’identità. Nessuno può portarcelo via», allegando la bandiera LGBT.

Per questo l’Unione Europea ha deciso di intervenire. «L’uguaglianza e il rispetto della dignità e dei diritti umani sono valori fondamentali dell’Ue, sanciti dall’articolo 2 del trattato dell’Unione europea. La Commissione utilizzerà tutti gli strumenti a sua disposizione per difendere questi valori», scrisse l’esecutivo europeo annunciando l’avvio della procedura d’infrazione. Insieme alla Polonia c’è anche l’Ungheria, che sicuramente non è messa meglio della prima.

Ma dalla Polonia arrivano delle lamentele da parte di Jan Duda, presidente dell’assemblea regionale di Małopolska con un’idea molto chiara sul non da farsi: «Alcuni barbari vogliono spogliarci dei fondi che sono cruciali per le nostre famiglie per vivere bene, ma questi sono soldi che ci meritiamo, non è una sorta di carità», ha detto il padre del Presidente, sostenuto anche dall’arcivescovo Marek Jędraszewski (è colui che in passato paragonò l’omosessualità alla peste nera) che durante un sermone domenicale ha affermato che «la libertà ha il suo prezzo. Questo prezzo include l’onore e non si puó comprare mettendo in svendita i propri valori, i nostri valori nazionali cristiani». 

Il superprocuratore, dal suo canto, va sia contro i diritti delle persone LGBT che da parte delle donne per quanto riguarda l’aborto. Marta Lempart, cofondatrice dello “Sciopero delle donne” che per mesi e anni è stata in piazza per lottare per i diritti delle donne polacche, ha parlato con La Repubblica, spiegando che adesso con questa figura «potranno sorvegliare le donne per capire se vogliono abortire o prendere la pillola del giorno dopo, perseguitare le famiglie arcobaleno, strappare i figli alle persone Lgbtq+, impedire divorzi. Stanno chiudendo il cerchio».

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Omofobia legalizzata in Polonia

Siamo nel 2019, al Pride di Gorzów Wielkopolski, una cittadina di 120.000 abitanti circa che si trova nella parte occidentale del Paese. Poco prima dell’inizio della parata, però, un furgone ricoperto di slogan omofobici ha cominciato a guidare nei pressi delle strade. “Gli omosessuali molto più spesso molestano i bambini“, “Ferma la piaga dell’arcobaleno” e ancora “La lobby LGBT vuole insegnare la masturbazione ai bambini di 4 anni, ai bambini di 6 anni consenso sessuale, e i bambini di 9 anni la loro prima esperienza sessuale e l’orgasmo“. Delle dichiarazioni che fanno accapponare la pelle.

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E quindi l’autista del furgone, che appartiene alla ONG conservatrice Fundacja Pro, è stato denunciato alla Procura, e da ormai tre anni questo caso è sulle bocche di tutti, con gli avvocati dell’autista che hanno cercato di dimostrare i legami tra omosessualità e omofobia, tuttavia fallendo, come riporta il quotidiano polacco Gazeta Wyborcza. Perciò il tribunale distrettuale di Gorzów Wielkopolski ha respinto le loro argomentazioni e ha condannato l’autista a pagare una multa di 6.000 zloty (1.336 euro) e un risarcimento di 3.000 zloty (668 euro) per diffamazione.

Nella sua giustificazione, il giudice, Krzysztof Rawo, ha sottolineato che, dopo la disumanizzazione dei gruppi sociali, «è solo un piccolo passo verso la violenza». Ha indicato gli esempi della Germania degli anni ’30, dei Balcani degli anni ’90 e della recente propaganda della Russia contro gli ucraini. Ma non finisce qui, perché l’autista ha fatto ricorso ottenenendo il sostegno legale di un importante gruppo ultraconservatore, l’Ordo Iuris, e un altro giudice, Roman Makowski, ha accolto il ricorso e ribaltato il verdetto contro il conducente.

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Non si sa ancora la motivazione della nuova sentenza, ma l’avvocato di Monika Drubkowska, la presidente della fondazione che organizzò il Pride, e anche l’avvocato di Ordo Iuris hanno confermato che il giudice ha ufficialmente assolto l’autista in quanto ritiene veritiere le scritte omofobiche sul furgone. L’associazione omofoba scrive: «Il tribunale ha riconosciuto come provata la veridicità degli slogan [come] ‘gli omosessuali molto più spesso molestano i bambini‘». E in più ha aggiunge che «lo slogan ‘fermare la peste arcobaleno’ [rientri] nel quadro della libertà di parola».

L’avvocato della presidenza, Jerzy Wierchowicz, ha detto all’emittente TOK FM che il verdetto è stato «sorprendente, vergognoso e scioccante… Dire che questi slogan sono basati sulla verità è oltraggioso, scandaloso e non ha nulla a che fare con la realtà. Non ci sono dati che consentano di fare tali dichiarazioni. Si tratta di un tipico incitamento all’odio, un discorso che polarizza la società e suscita odio nei confronti della comunità Lgbt, che in fondo è un gruppo sociale come gli altri. Il fatto che siano in minoranza non significa che possano essere discriminati».

Wierchowicz ha indicato che lui e il suo cliente probabilmente cercheranno ora la forma finale di appello, ovvero la cassazione. Paweł Szafraniec dell’Ordo Iuris, tuttavia, ha elogiato il tribunale di secondo grado per «essersi concentrati sui fatti senza prestare attenzione alla correttezza politica». Come al solito, per gli ultraconservatori è importante solo la propria verità, ma se li chiami stronzi poi si offendono.

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