Ha insultato i docenti, ha urlato davanti al figlio che intanto piangeva per i troppi compiti. E adesso si prenderà una querela da Professione Insegnante, una comunità di docenti su Facebook. La mamma di Palermo aveva condiviso un video sul suo profilo TikTok dopo che il figlio, che frequenta le elementari, è scoppiato a piangere a causa dei troppi compiti a casa. Giustamente, faceva notare come a causa dei troppi compiti il bambino non riuscisse a fare alcuna attività all’aperto o sportiva. Se però i motivi erano giusti, i modi sono stati assolutamente, completamente, irripetibilmente, errati.
Essere insegnanti non è semplice, se non lo era con le generazioni precedenti che di distrazioni non ne avevano così tante e così a portata di mano, con questa diviene ancora più complesso, soprattutto con dei piani di studio che sono letteralmente antichi e che agli studenti non interessano minimamente. Non vogliamo fare di tutta l’erba un fascio, non vogliamo dire che tutti i ragazzi sono maleducati, che tutti i bambini sono svogliati, anche perché allo stesso modo non tutti gli insegnanti sono degni di essere chiamati tale.
Se diversi studenti credono di essere invincibili, anche sostenuti dai genitori che gli permettono di sentirsi così e che li coprono per qualsiasi cosa facciamo, anche sparare a una docente (ed è vero, è realmente accaduto), altrettanti docenti hanno completamente perso la passione, sfogano le proprie frustrazioni sugli allievi, li insultano e li umiliano e credono di avere il diritto di farlo. Viviamo in un epoca in cui non ci sono più nero o bianco, la verità si trova nel mezzo.
E quindi, se l’intento della mamma di Palermo era davvero corretto perché non è possibile che un bambino delle scuole elementari non possa avere il tempo di giocare, di fare attività fisica e di stare all’aria aperta (che fa bene anche alla salute mentale, non dimentichiamo che anche i bambini possono essere stressati), allo stesso tempo è stato completamente sbagliato il modo in cui ha deciso di condividere la sua rabbia. Urlare e insultare non può mai essere un buon esempio per i propri figli. In questo modo rischi di crescere dei bulli che penseranno che urlare e insultare risolve tutto.
In ogni caso, come successe per la signora del non ce n’è coviddi, anche la mamma di Palermo è andata virale su TikTok, l’hanno ripresa le testate più importanti ed è stata persino invitata in tv. In un’intervista dove era molto più calma con Orizzonte Scuola, comunque, si scusa con i docenti: «Ho voluto più volte porgere le mie scuse e sento il dovere di continuare a porgerle per la parola utilizzata,schifo,dalla quale mi dissocio,anche perché non la penso, nonostante sia consapevole che il marcio ci sia in tutte le categorie di lavoratori». Ma questo non è bastato, e Professione Insegnante ha comunque deciso di proseguire con la querela.
Professione Insegnante querela la mamma arrabbiata di TikTok
«Non vogliamo spillare soldi a nessuno. Ma la violenza, verbale e non, contro gli insegnanti è un fenomeno drammatico e sempre più diffuso. Ed è sbagliato pensare che nascondendosi dietro allo schermo di un cellulare si possa dire qualunque cosa», ha affermato Salvo Amato, “amministratore” ed “esperto del gruppo” di Professione Insegnante. Il docente spiega di aver «letto di tutto. Persino genitori che le danno ragione e la osannano. L’eco sui social è tale che tutti i principali quotidiani ne hanno dato notizia. Se avvenisse la stessa cosa quando un docente protesta per i propri diritti, sicuramente la categoria sarebbe ascoltata anziché essere ignorata da tutti».
Aggiunge che poi le offese sono a tutta la categoria e sono «inaccettabili che alcuni nei commenti sui social hanno anche osannato al grido di “sei tutti noi”. Mi chiedo cosa sarebbe successo se questa mamma avesse fatto la stessa cosa ad esempio nei confronti di un carabiniere, poliziotto, funzionario dello Stato». Ovviamente, non sarebbe stato permesso. Sarebbe partito Matteo Salvini o qualsiasi esponente della destra a sostenere le guardie in qualsiasi occasione (come hanno già fatto, anche quando picchiano detenuti). Quando insulti i docenti, però, puoi passarla liscia.
«Sul caso della mamma di Palermo, nessuno è intervenuto», fa sapere Amato. «Noi insegnanti non siamo solo dei lavoratori, il nostro lavoro ha una funziona sociale che va tutelata e difesa. Non c’entrano nulla i compiti, di quello si può discutere. Personalmente io nemmeno li assegno. Ma è importante non far passare come “normali” offese a un’intera categoria che svolge un lavoro bellissimo, complicato e importante per i nostri figli e per tutta la società», conclude.
Il ministro del Merito Giuseppe Valditara, quello che ancora, insieme alla collega Bernini, non ha fatto sapere nulla riguardo i famosi 60 CFU per diventare docente, fa sapere che «non lascerà insegnanti e presidi soli e in caso di cause valuterà di proporre una costituzione di parte civile eventualmente lamentando anche un danno di immagine alla Amministrazione». Sarebbe bello, però, trovare una via di mezzo. Un modo per ascoltare sia gli studenti (ricordiamo: L’Italia è ultima in Europa per salute mentale), che i docenti. Perché non è possibile che a scuola volino insulti e umiliazioni, sia da parte di insegnanti che da parte di allievi.
Giulia, 26 anni, laureata in Filologia Italiana con una tesi sull’italiano standard e neostandard, “paladina delle cause perse” e studentessa di Didattica dell’Italiano Lingua non materna. Presidente di ESN Perugia e volontaria di Univox. Amo scrivere, leggere, guardare serie tv e anime, i gatti e seguire le giuste polemiche.
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