Mafiosi romanticizzati: un problema fin troppo serio

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Dopo aver parlato ieri del problema del razzismo nei confronti degli asiatici nella nostra bella Italia, in cui è stato coinvolto il programma tv Striscia la Notizia, oggi poniamo i riflettori su un altro serio problema: le persone che romanticizzano la mafia italiana. Sia chiaro, non è una ripicca perché gli americani o i francesi ci chiamano razzisti. Il problema del razzismo in Italia è un problema che esiste e va risolto al più presto e lo sketch di Striscia la Notizia non fa che alimentarlo.

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365 giorni, film che romanticizza la mafia italiana
Fonte: Pinterest

Noi che viviamo in Italia sappiamo che, purtroppo, la mafia è un problema grave e serio, sono morte tantissime persone anche solo per aver provato a parlare, altri sono morti perché parenti delle persone sbagliate. All’estero, però, la nostra mafia è vista come un film romantico in cui il mafioso di turno (ovviamente di bell’aspetto) fa di tutto per conquistarti, come rapirti, uccidere chi ti sta intorno, considerarti come un oggetto, però ti riempie anche di regali facendoti vestire con abiti da principessa, quindi tutto perdonato. No, col cavolo.

Vorrei non fare nomi e cognomi tuttavia questo blog non lavora con il favore delle tenebre, per cui diamo la colpa a un film in particolare, uscito lo scorso anno, di origine polacca, disponibile su Netflix: 365 giorni, in cui una donna polacca si trova in Sicilia, viene rapita da un uomo mafioso siciliano che le dà 365 giorni per innamorarsi di lui. Lei lo stuzzica, lo fa arrabbiare, fa la cattiva ragazza, ma ovviamente alla fine si innamora di lui. C’è il lieto fine, quindi? No, ovviamente no, perché lei, incinta di suo figlio, viene uccisa. Ma gli americani hanno visto solo la parte in cui la riempie di vestiti e gioielli.

Sia chiaro, il film è fatto malissimo e sinceramente non mi capacito di come Netflix abbia potuto anche solo pensare di postarlo sulla propria piattaforma (poi la parte più divertente è che nessun sostenitore della famiglia tradizionale si lamenta per le scene sessualmente esplicite che potrebbero vedere i bambini, però due ragazzi che si tengono per mano non vanno bene e hanno stancato), tuttavia, considerando il successo che ha ottenuto, sicuramente non si saranno pentiti. Un film polacco molto leggero che potreste vedere è Amore al quadrato, decisamente meno irrispettoso.

La mafia italiana: com’è vista su internet…

Qualche tempo fa mi sono imbattuta in un video su Tiktok in cui una ragazza americana scriveva “come sarebbe la mia vita se fossi sposata con un mafioso italiano” e poi faceva scorrere una serie di foto in cui si vedevano delle immagini con vestiti da principessa, castelli, gioielli, insomma una vita molto lussuosa. Forse bisognerebbe far sarebbe a questi ignoranti, perché altro modo per descriverli non si trova, che la mafia non è lusso, non è amore, non è vivere una vita agiata.

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Foto che esce su Pinterest se si scrive “mafia”

Per gli americani (e non solo) la mafia è uno stile di vita, di quello stile di vita che i loro teen drama e non solo fanno pensare che sia l’ideale d’amore. La donna indifesa ma che si fa rispettare, quella che definirebbero con le palle, che non si fa mettere i piedi in testa dall’uomo forte e duro che, fra tutte, sceglie lei. Litigano, hanno una storia molto turbolenta (tossica) ma tutto è bene quel che finisce bene. La ragazza che nessuno nota finisce con il più popolare e vivranno per sempre felici e contenti.

In questo caso, secondo queste persone che idolatrano la mafia, un mafioso decide che le vuole (e già qui avremmo qualcosa da ridere), ma loro devono essere conquistate. Con gioielli e regali costosi. Ovviamente la lei di turno lo farà ingelosire e lui picchierà qualcuno o addirittura ucciderà, d’altronde in America vendono le pistole come se fossero pacchi di patatine quindi non ci stupiamo minimamente di questo loro pensiero. Alla fine comunque lei scopre che lo ama nonostante tutto, e con nonostante tutto intendiamo gli omicidi, i rapimenti e le mazzate.

Ma la mafia è davvero così? La mafia è uno stile di vita romantico? Per l’amore del cielo, no. Assolutamente no. Cari americani, dovreste sapere un paio di cose sulla mafia italiana. Magari vi diciamo un paio di nomi così provate a comprendere che la vita non è un teen drama.

…com’è realmente

Partiamo dai più piccoli. Sono più di 100 i bambini (e sottolineo, i bambini!) uccisi dalla mafia che voi tanto desiderate solo perché l’avete vista in un film su Netflix in cui tra l’altro alla fine lei muore ma voi non siete neanche riusciti a comprenderlo. La prima vittima di mafia è Emanuela Sansone. Era il 1896, aveva 17 anni. La vittima più piccola, uccisa nel 1989, non era ancora nata. Si trovava nel grembo della madre, Ida Castelluccio, moglie dell’agente segreto Antonino Agostino.

Le vittime partono dal 1896 fino ai giorni moderni, morti soprattutto nel sud Italia, tra Sicilia, Calabria, Campania e Puglia. Emanuela Sansone è la prima vittima di mafia minorenne ma anche donna. Sua madre, sopravvissuta, è divenuta la prima collaboratrice di giustizia della storia. Si pensa che la figlia sia stata uccisa dalla mafia che voleva vendicarsi della madre che li aveva denunciati per fabbricazione di banconote false.

Giuseppe Letizia invece aveva 12 anni. Ci troviamo nel 1920. Involontariamente ha assistito all’omicidio del sindacalista di Corleone, Placido Rizzotto, ucciso buttato dalle montagne (il suo cadavere sarebbe stato ritrovato solo 64 anni dopo). Giuseppe era sotto shock e fu portato in ospedale. In un ospedale gestito da Michele Navarra e Ignazio Dell’Aira, mafiosi che uccisero il bambino con un’iniezione di veleno.

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L’unica foto di Nadia e Caterina
Fonte: laspia.it

Nel 1993 nella strage dei Georgofili a Firenze, morirono insieme ai genitori Nadia e Caterina Nencioni, di 9 anni e 50 giorni a causa di un’autobomba imbottita con 277 chili di esplosivo nascosto in una macchina che esplose vicino alla Galleria degli Uffizi. A morire in quella tragedia, insieme alla famiglia, fu anche uno studente universitario di 22 anni, poiché le fiamme raggiunsero anche la casa in cui viveva da fuorisede.

E ora passiamo a un omicidio più recente, nel 2014, quando a morire fu Cocò, soprannome di Nicola Campolongo, un bambino di 3 anni sempre sorridente, nipote di Giuseppe Iannicelli, legato alla «cosca degli zingari» che gestisce il traffico di droga a Cosenza. Cocò accompagnava sempre il nonno che pensava che, con lui, avrebbe avuta salva la vita, lo usava come una sorta di scudo umano. E invece Cocò è stato bruciato vivo sul suo seggiolino mentre si trovava nella macchina.

E potremmo continuare ancora e ancora. La mafia non è amore. La mafia uccide, bambini, donne, uomini che per loro sono troppo scomodi. Come dimenticare la storia di Peppino Impastato, giornalista, conduttore radiofonico e attivista italiano che non aveva paura di denunciare le attività di Cosa Nostra? Peppino Impastato avrebbe potuto dare così tanto ai nostri giorni, se solo non fosse stato ucciso. Peppino Impastato veniva da una famiglia di mafiosi, e proprio per questo sapeva che la mafia andava fermata.

«Negli occhi si leggeva la voglia di cambiare
La voglia di Giustizia che lo portò a lottare
Aveva un cognome ingombrante e rispettato
Di certo in quell’ambiente da lui poco onorato
Si sa dove si nasce ma non come si muore
E non se un’ideale ti porterà dolore»

Cento Passi, Modena City Ramblers

Cari americani, prima di pensare che la mafia sia uno stile di vita, prima di ironizzare o fare satira, ricordate tutte quelle persone che sono state uccise perché, davanti alla mafia, non sono state zitte. Perché non si sono sottomesse, perché hanno deciso di lottare anche a costo della propria vita. Quando state per postare un post in cui scrivete «quanto vorrei un fidanzato mafioso», pensate a tutte quelle persone innocenti che sono state uccise. Studiate, informatevi, e poi parlate.

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