Ginny & Georgia 3: la serie Netflix che osa raccontare il lato oscuro della crescita

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[Quest’articolo contiene spoiler della terza stagione di Ginny & Georgia]

La terza stagione di Ginny & Georgia, disponibile su Netflix, conferma la capacità della serie di mescolare sapientemente teen drama, thriller e commedia con temi profondi e spesso controversi. Creata da Sarah Lampert, la serie continua a esplorare la complessa relazione madre-figlia tra Georgia Miller (Brianne Howey) e Ginny Miller (Antonia Gentry), in un crescendo emotivo che non lascia indifferenti.

Ginny & Georgia racconta la storia di Georgia, una giovane madre single dal passato turbolento e segnato da scelte estreme, che cerca di costruire una vita migliore per i suoi figli, Ginny e Austin, tentando di lasciarsi alle spalle i suoi segreti più oscuri. Trasferitasi nella perfetta Wellsbury, Georgia cerca di apparire come la madre modello e la cittadina impeccabile, ma dietro il suo sorriso e il suo fascino irresistibile si celano manipolazioni, bugie e atti che sfiorano — e spesso oltrepassano — il limite della legalità.

Parallelamente, seguiamo il percorso di crescita di Ginny, alle prese con la propria identità, le prime relazioni sentimentali, il senso di colpa per gli scheletri nell’armadio della madre e un costante conflitto interiore tra il desiderio di normalità e l’attrazione per l’adrenalina del caos familiare. La trama alterna momenti di leggerezza — con scene da tipico teen drama fatte di amicizie, feste e primi amori — a scene ad alta tensione, man mano che emergono i segreti di Georgia e le difficoltà che Ginny affronta nel costruire la propria identità personale e morale.

Il cast, ormai affiatato, è uno degli elementi più forti della serie. Oltre a Howey e Gentry, troviamo Diesel La Torraca nei panni del piccolo Austin, il figlio più fragile e sensibile di Georgia, segnato profondamente dagli eventi traumatici vissuti. Sara Waisglass interpreta Maxine “Max” Baker, migliore amica di Ginny e personaggio chiave di questa stagione. Felix Mallard torna come Marcus Baker, fratello di Max, la cui depressione viene trattata con grande delicatezza e profondità. Infine, Raymond Ablack veste i panni di Joe, il proprietario del Blue Farm Café e uno dei pochi personaggi che sembrano riuscire a vedere oltre la facciata di Georgia.

La terza stagione amplia ulteriormente il mondo narrativo della serie, aggiungendo nuove sfumature a ciascun personaggio e introducendo dinamiche inedite che rendono ancora più ricco e sfaccettato il racconto. In un contesto apparentemente perfetto come quello di Wellsbury, le ferite emotive e i drammi personali dei protagonisti emergono in tutta la loro complessità, preparando il terreno per nuove tensioni e sviluppi futuri.

Una stagione che scava più a fondo: la nostra recensione di Ginny & Georgia

La terza stagione di Ginny & Georgia si distingue per la capacità di intrecciare ancora più strettamente le storie personali dei personaggi principali con temi di grande attualità. Il ritmo narrativo è ben calibrato, alternando momenti di tensione con scene più leggere e commoventi. Il rapporto tra Ginny e Georgia resta il fulcro della serie, ma questa stagione dà spazio anche ad altri personaggi che meritano attenzione. Dal punto di vista visivo, la regia si conferma dinamica e accattivante, con una colonna sonora che accompagna perfettamente i momenti chiave della narrazione. La scrittura, seppur a tratti forzata in alcune sottotrame, riesce a mantenere viva l’attenzione e ad approfondire il percorso emotivo dei protagonisti.

Max: un personaggio tradito e destinato a soffrire ancora

Ho voluto iniziare con Max e non con le due protagoniste perché, onestamente, è stato il personaggio in cui mi sono più rivista e per cui ho sofferto di più durante questa terza stagione. Personalmente, il modo in cui le sue amiche l’hanno trattata è uno degli aspetti più dolorosi e ingiusti della narrazione. Max, che nelle prime due stagioni era una presenza solare, esuberante e affettuosa, si ritrova ora sempre più isolata ed emarginata da quel gruppo che un tempo era la sua seconda famiglia.

Non è soltanto una questione di incomprensioni adolescenziali: quello che accade a Max è un vero e proprio tradimento affettivo. Ginny e Abby, in particolare, sembrano dimenticare con una facilità spaventosa i legami profondi e sinceri che le avevano unite a lei. L’amicizia, che per Max rappresentava un punto fermo, un’ancora di sicurezza in un mondo spesso instabile, viene progressivamente sgretolata, senza che nessuno si prenda davvero la responsabilità di comprenderla o supportarla.

Per un personaggio come Max, così abituata a vivere le relazioni con passione e genuinità, questo tipo di esclusione rappresenta un colpo durissimo. Non va dimenticato che la sua esuberanza, a volte scambiata per superficialità o “drammaticità”, è sempre stata un modo per mascherare fragilità più profonde. Nella terza stagione, vediamo emergere queste ferite con una chiarezza dolorosa. Vedere le sue amiche fare un gruppo Whatsapp senza di lei, giustificandosi dicendo che “non volevano isolarla” ma “è troppo drammatica“, è un grande colpo al cuore per chi si è trovata a dover essere isolata da persone che considerava amiche, semplicemente perché prende tutto molto a cuore.

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A complicare ulteriormente la situazione c’è la relazione con il fratello Marcus, che sta attraversando un periodo di profonda depressione. Max, pur essendo ancora un’adolescente, si ritrova a gestire un carico emotivo enorme in famiglia: da un lato la preoccupazione costante per Marcus, dall’altro l’assenza di veri punti di riferimento tra le sue coetanee. Lei deve essere sempre perfetta, deve eccellere in qualsiasi cosa, perché i genitori si devono preoccupare già del fratello. Il silenzio e la mancanza di dialogo da parte delle sue amiche peggiorano ulteriormente il suo stato emotivo, lasciandola in una condizione di solitudine che rischia di esplodere.

È proprio questa doppia pressione — familiare e sociale — a rendere il percorso di Max così carico di tensione e, purtroppo, così realistico. Gli autori della serie hanno avuto il coraggio di mostrare senza filtri quanto l’isolamento possa essere devastante, soprattutto per un personaggio così giovane e ancora in fase di costruzione della propria identità. Tutto lascia presagire che nella prossima stagione Max dovrà affrontare pesanti conseguenze psicologiche. Se non troverà un vero supporto emotivo, il rischio è che possa intraprendere scelte autodistruttive o chiudersi definitivamente in se stessa. E, non meno importante, dovrà probabilmente elaborare anche il dolore per una rete di amicizie che si è sgretolata proprio quando ne avrebbe avuto più bisogno.

In una serie che parla così tanto di identità, relazioni e salute mentale, Max rappresenta forse il personaggio che più di tutti mostra come la mancanza di comprensione e ascolto possa ferire in modo silenzioso, ma profondo. E sarà davvero interessante — e doloroso — vedere come questo percorso verrà sviluppato nella prossima stagione.

Georgia: una madre che sfugge alla giustizia, ma a che prezzo?

Passando alla protagonista della stagione: Georgia Miller rimane un personaggio affascinante e controverso, uno dei più sfaccettati dell’intera serie – e con degli outfit iconici! Anche in questa stagione riesce a sfuggire alle proprie responsabilità grazie alla sua astuzia, alla capacità di manipolare le situazioni a proprio vantaggio e, soprattutto, grazie ai figli che — consapevolmente o meno — continuano a proteggerla. Ma a quale costo? Dietro la sua facciata sicura di sé e irresistibile, Georgia comincia però a mostrare crepe sempre più evidenti. Il senso di colpa per quello che ha fatto e continua a fare si fa strada in modo sottile ma inesorabile.

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A questo si aggiunge un pesante carico emotivo: per la prima volta Georgia inizia a dubitare seriamente di se stessa come madre. Gli eventi della terza stagione la portano a pensare che forse i suoi figli starebbero davvero meglio senza di lei, un pensiero che la perseguita nei momenti di maggiore vulnerabilità. Questo sottotesto emotivo rappresenta una svolta importante per il personaggio, che fino ad ora si era convinta di agire sempre e solo per il bene dei propri figli, giustificando ogni azione — anche la più discutibile.

Nel frattempo, il piccolo Austin appare sempre più traumatizzato dagli eventi vissuti, manifestando comportamenti che lasciano presagire un futuro complicato. La sua crescente aggressività e la difficoltà a gestire le emozioni sono segnali preoccupanti di un trauma non elaborato. Anche Ginny è visibilmente scossa: nella terza stagione prende lentamente coscienza del fatto che, nonostante i suoi sforzi, sta replicando inconsapevolmente i comportamenti manipolativi della madre. Il rischio è che Ginny non riesca a spezzare questo ciclo tossico, compromettendo non solo il rapporto con la madre, ma anche le sue relazioni future.

Georgia ha dunque, in un certo senso, “vinto”: ha evitato il peggio dal punto di vista legale e ha mantenuto la famiglia unita. Ma la vittoria è amara. La famiglia Miller è più fragile che mai, e la quarta stagione dovrà necessariamente affrontare il danno psicologico che Georgia ha inflitto ai suoi stessi figli e — elemento nuovo — i danni che ora anche lei comincia a riconoscere dentro di sé. L’idea che Georgia stia arrivando a chiedersi se sia davvero una brava madre (anche e soprattutto considerando il colpo di scena finale) apre scenari molto interessanti per il prosieguo della serie, e potrebbe finalmente spingerla a confrontarsi con le proprie responsabilità in modo più autentico.

Una serie che non teme di affrontare temi difficili

Uno dei punti di forza di Ginny & Georgia è la capacità di trattare temi complessi senza cadere nella retorica o nel moralismo. La terza stagione si distingue per la delicatezza e la lucidità con cui affronta argomenti spesso considerati tabù nei prodotti mainstream destinati a un pubblico giovane. Tra questi troviamo la depressione (in particolare attraverso la storyline di Marcus), l’aborto, la sessualità e le identità di genere, tutti rappresentati in modo autentico e con grande rispetto per la complessità delle esperienze umane.

Uno degli aspetti più riusciti della stagione è proprio il modo in cui viene trattato il tema dell’aborto. La scelta narrativa di presentarlo come una decisione presa in maniera autonoma e consapevole da Ginny è estremamente potente, soprattutto considerando il clima politico e sociale attuale. In un periodo storico in cui in molte parti dell’Occidente — e non solo — i diritti riproduttivi delle donne sono nuovamente sotto attacco e le destre spingono per limitare fortemente l’accesso all’aborto, è significativo che una serie tanto popolare mostri con semplicità e chiarezza che la decisione sul proprio corpo spetta esclusivamente alla donna.

È stato particolarmente bello e importante vedere come Georgia e Zion, i genitori di Ginny, abbiano rispettato questa scelta e l’abbiano supportata senza giudicarla, soprattutto considerando che Georgia ha sempre dato alla luce i suoi figli. La loro presenza rassicurante accanto a Ginny durante questo momento delicato manda un messaggio fortissimo: anche quando si tratta di temi complessi e dolorosi, il rispetto per l’autodeterminazione della donna deve essere al centro.

Inoltre, è stato apprezzabile e molto educativo il modo in cui è stato mostrato l’aspetto pratico dell’aborto farmacologico, con l’uso delle pillole. Spesso la rappresentazione televisiva di questo tema è piena di stereotipi o volutamente drammatizzata, mentre qui viene raccontata con sobrietà e realismo. In un momento storico in cui l’accesso alle pillole abortive è diventato terreno di scontro politico in molti Paesi, mostrare al pubblico giovane che questa è un’opzione sicura e legale è un gesto di grande coraggio da parte della serie.

Non tutto, ovviamente, è perfetto: alcune situazioni vengono forse risolte troppo in fretta o trattate in modo un po’ superficiale. Tuttavia, il solo fatto che una serie così popolare e amata abbia deciso di dare spazio e dignità a questi temi è di per sé un segnale culturale molto importante. In particolare per un pubblico giovane che ha bisogno di narrazioni oneste, capaci di mostrare la realtà senza filtri e senza moralismi.

Le scelte narrative legate alla salute mentale, infine, risultano tra le più riuscite. La rappresentazione della depressione di Marcus, ad esempio, è autentica, dolorosa e priva di stereotipi. Il suo percorso viene raccontato con grande rispetto e umanità, offrendo un punto di vista importante e necessario per i giovani spettatori che potrebbero trovarsi a vivere situazioni simili, o che semplicemente hanno bisogno di vedere che anche la fragilità fa parte della vita e può essere affrontata.

È interessante notare come la serie sottolinei che la depressione, spesso, non arriva mai da sola. Nel caso di Marcus, vediamo come il suo disagio emotivo sia strettamente legato a una crescente dipendenza dall’alcol. Un aspetto che la serie ha il merito di trattare senza spettacolarizzarlo, ma mostrandone la presenza subdola e progressiva. Marcus nega costantemente sia il bisogno di aiuto, sia l’esistenza stessa della sua dipendenza, comportamento tristemente realistico per chi si trova in situazioni simili.

Molto toccante è anche il modo in cui Max, nonostante tutto il suo dolore personale e la solitudine che sta vivendo, resti accanto al fratello, cercando di offrirgli un sostegno che lui però continua a rifiutare. La dinamica tra i due è tra le più verosimili della stagione: chiunque abbia avuto a che fare con persone care in difficoltà sa quanto sia frustrante e doloroso tentare di aiutare chi non è pronto ad accettare aiuto. Questo rende la storyline di Marcus e Max ancora più potente e umana, offrendo una rappresentazione sincera delle sfide quotidiane che chi soffre di depressione e chi gli sta accanto devono affrontare.

Un altro personaggio che merita attenzione è Abby, spesso rimasta un po’ in ombra nelle stagioni precedenti, ma che in questa terza stagione vive un arco narrativo estremamente delicato e realistico. Abby si trova a fare i conti con due battaglie interiori che si intrecciano in modo doloroso: da un lato sta lentamente scoprendo la propria sessualità e cercando di capire chi sia davvero, dall’altro continua a lottare contro un disturbo del comportamento alimentare, in particolare un forte bisogno compulsivo di vomitare.

La serie ha il merito di mostrare senza filtri la sofferenza di Abby: non è una storyline usata come semplice contorno al drama adolescenziale, ma un vero e proprio viaggio personale che viene raccontato con rispetto e senza spettacolarizzazioni. Vediamo come il rapporto con il proprio corpo, già fragile, venga messo ulteriormente in crisi dalla pressione sociale, dalle aspettative esterne e dai suoi stessi dubbi interiori.

Nel mezzo di questa lotta invisibile, Abby (che comunque non ho sopportato per come ha invalidato per tutta la stagione le emozioni di una delle sue migliori amiche) si trova anche a esplorare la propria sessualità, un percorso già complesso che diventa ancora più difficile quando si è in guerra con la propria immagine corporea. Il bisogno di controllo sul proprio corpo — espresso nel rituale del vomito — è profondamente legato alla sua insicurezza e alla ricerca disperata di un’identità che le appartenga.

È molto importante che la serie mostri con onestà come questi problemi non si risolvano in modo immediato, né con un singolo gesto o un confronto risolutivo. Abby combatte ogni giorno contro impulsi distruttivi e contro l’idea che, per essere accettata o per accettarsi, debba corrispondere a determinati standard. Il fatto che la serie scelga di rappresentare questa lotta quotidiana in parallelo con la sua crescita personale e l’esplorazione della sessualità aggiunge ulteriore profondità al personaggio e offre un messaggio forte agli spettatori: è possibile essere in cammino, imperfetti, vulnerabili — e comunque degni di comprensione e di affetto.

Conclusioni

La terza stagione di Ginny & Georgia conferma la forza della serie: una narrazione coinvolgente, personaggi sfaccettati e un coraggioso approccio ai temi sociali, raccontati con una sensibilità rara per il genere. Non mancano i difetti — alcune storyline forse troppo accelerate o risolte in modo un po’ semplicistico — ma il bilancio complessivo è più che positivo. Magari sarebbe anche positivo non far passare due anni fra una stagione e l’altra, considerando che Austin, che nella serie dovrebbe avere 9 anni, sta per compiere 15 anni e non basta mettergli degli occhiali tondi neri per farlo sembrare un bambino.

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Un altro elemento che contribuisce a rendere la serie così potente è la colonna sonora, che in questa stagione è particolarmente riuscita. I brani scelti accompagnano perfettamente i momenti chiave della narrazione, amplificando le emozioni senza risultare mai invadenti. Ci sono scene che resteranno impresse nella memoria anche grazie alla musica, che sa sottolineare i sentimenti più profondi senza mai forzarli.

Alcuni momenti, in particolare, mi hanno colpita nel profondo e continueranno a farmi commuovere anche nei rewatch: penso soprattutto alla scena straziante in cui Ginny e Austin vengono portati via da Georgia, un momento di dolore puro che riesce a racchiudere in pochi minuti tutto il dramma emotivo e familiare che la serie ha costruito fino a quel punto. È una di quelle scene che ti rimangono addosso, che senti vere e universali, e che dimostrano ancora una volta quanto Ginny & Georgia sappia andare oltre la superficie del teen drama.

Con un finale che lascia aperte molte domande e con i personaggi principali destinati a confrontarsi con le loro scelte passate e con un futuro emotivamente incerto, la quarta stagione è attesissima. Dopo una terza stagione così intensa e coraggiosa, la serie ha tutte le carte in regola per continuare a far parlare di sé e per offrire, ancora una volta, un racconto che riesca a essere intrattenimento di qualità ma anche specchio della complessità umana.

Giulia, 26 anni, laureata in Filologia Italiana con una tesi sull'italiano standard e neostandard, "paladina delle cause perse" e studentessa di Didattica dell'Italiano Lingua non materna. Presidente di ESN Perugia e volontaria di Univox. Amo scrivere, leggere, guardare serie tv e anime, i gatti e seguire le giuste polemiche. Instagram: @murderskitty

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