Eitan: unico sopravvissuto alla tragedia della funivia Stresa-Mottarone, rapito dal nonno e portato in Israele

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Tutti ricordiamo la tragedia avvenuta qualche mese fa sulla funivia Stresa-Mottarone, in cui hanno perso la vita 14 persone di cui due bambini. Solo uno di loro, il piccolo Eitain, è miracolosamente sopravvissuto. Tuttavia, le sventure per il bambino non sono finite, perché proprio due giorni fa è stato rapito dal nonno materno, Shmeul Peleg, che ho ha sottratto dalla sorella del padre, Aya Biran Nirko, sua tutrice legale con cui stava vivendo. Sono ufficialmente aperte le indagini nei confronti dell’uomo con l’accusa di «sottrazione internazionale di minore».

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La famiglia di Eitan

La funivia è precipitata quando si trovava quasi in vetta, in un dei punti più alti del percorso. In genere percorre un tragitto di 20 minuti, raggiunte i 1491 metri ed era stata chiusa nel 2014 per una revisione, per poi essere riaperta nel 2016. I lavori sono costati 4 milioni di euro (finanziati dalla Regione Piemonte, dal Comune di Stresa e dalla società che ha condotto la gestione) e sono stati condotti dalla ditta Leitner di Vipiteno.

Le persone sulla funivia erano 15, e di queste c’è solo un sopravvissuto, un bambino. Il direttore della chirurgia pediatrica dell’Ospedale Regina Margherita di Torino, Fabrizio Gennari, aveva comunicato di due bambini in «situazione critica». Purtroppo, il più grande dei due, un bimbo di 9 anni di nome Mattia Zorloni, è deceduto mentre si trovava in ospedale. L’altro bambino, Eitan, è fortunatamente riuscito a salvarsi.. Tra le altre vittime troviamo un altro bambino, di soli due anni.

Questa tragedia, tra l’altro, si è scoperto non essere un incidente come inizialmente si pensava, bensì il tenente colonnello Alberto Cicognani intervistato a Buongiorno Regione, su Rai Tre disse che «c’erano malfunzionamenti nella funivia, è stata chiamata la manutenzione, che non ha risolto il problema, o lo ha risolto solo in parte. Per evitare ulteriori interruzioni del servizio, hanno scelto di lasciare la ‘forchetta’, che impedisce al freno d’emergenza di entrare in funzione. Il freno non è stato attivato volontariamente? Sì, sì, lo hanno ammesso».

La storia di Eitan: scontro fra due famiglie ed educazioni religiose differenti

Per raccontare del rapimento di Eitan dobbiamo iniziare con la presentazione delle persone che sono coinvolte nella storia, ovvero le due famiglie, la materna e la paterna, del bambino. I genitori di Eitan, morti nella tragedia insieme al bisnonno Itzhak, detto Izzy, si chiamavano Tal e Amit Biran. La nonna materna, vedova di Izzy, vive a Ramt Aviv e si chiama Etty Peleg. Insieme a lei ci sono anche le sorelle e il fratello di Tal, la madre di Eitan. Loro sono tutti figli di Etty e Shmuel Peleg, il primo marito della donna con cui ha avuto i quattro figli.

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Proprio i tre figli sopravvissuti, l’11 agosto, hanno convocato una conferenza stampa in Israele accusando Aya Biran Nirko, sorella di Amit (padre del bambino): «Dall’Italia non avevamo più notizie di lui, abbiamo agito per il suo bene; adesso merita una vita normale fatta di amici, sport e famiglia. Siamo stati obbligati ad agire così, non avevamo notizie sulle sue condizioni mentali e di salute. Potevamo solo vederlo per breve tempo. Lo abbiamo riportato a casa, così come i genitori volevano per lui. Eitan ha urlato di emozione quando ci ha visto ed ha detto “finalmente sono in Israele”», hanno detto alla radio israeliana 103.

La famiglia della madre in Israele continua a dire che il bambino è «tornato a casa» poiché sono convinti che la figlia e il marito stessero programmando di tornare a vivere in Israele, tanto che Etty, la nonna, ha raccontato che i due avevano comprato un appartamento a Ramat Hasharon ma anche che «Tal e Amit si rivolgevano a Eitan e a Tom in ebraico e parlavano di ebraismo e di Israele». La Stampa fa sapere invece che la nonna ha notato come Aya, la zia, non avesse la mezuzah sulla porta o altri simboli ebraici, e addirittura che avesse iscritto il nipote a una scuola religiosa cattolica.

Questo ovviamente non è piaciuto alla famiglia estremista della madre, che non ha «mai nascosto le mie idee di destra». Al centro del rapimento c’è quindi la religione. Al Corriere della Sera Etty dice che «questa non è l’eredità che Amit e Tal volevano trasmettergli. Mia figlia Tal soffriva per i rapporti con la famiglia di Amit, si sentiva sottovalutata. Non so per quale ragione ci disprezzino, forse perché noi siamo sefarditi». Tuttavia in quale religione è consentito violare la legge rapendo un bambino?

Aya con Eitan aveva un bel rapporto come fa sapere anche madre Paola Canziani, superiore dell’Istituto Canossiane di Pavia: «Le è davvero molto attaccato, per lui è un punto di riferimento fondamentale. Mi provoca un grande dolore pensare che sia stato portato via così», ma questo non è bastato per proteggerlo dal rapimento del nonno che alle 11 di due giorni fa è andato a prenderlo a casa della zia per passare un po’ di tempo insieme. Nessuno sospettava nulla finché la sera non lo ha più riportato.

Aya cerca di chiamare il nonno ma non ottiene risposta, così ne denuncia la risposta e dopo qualche verifica si viene a scoprire che Eitan è stato riportato in Israele, poiché i nonni materni possedevano ancora il suo passaporto israeliano. Adesso l’uomo, già noto alle forze dell’ordine per violenza domestica, rischia l’accusa di «sottrazione internazionale di minori». Le indagini sono coordinate dall’aggiunto Mario Venditti e dal pm Roberto Valli che indagano anche su chi avrebbe potuto aiutare l’uomo a rapire il nipote.

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«Seguiremo l’indagine e cercheremo di collaborare come meglio possibile, per fare in modo che il bimbo torni nel più breve tempo in Italia, siamo molto preoccupati per la sua salute, anche psicologica, è un fatto estremamente grave», ha detto l’avvocato Armando Simbari, che assiste la zia paterna e tutrice legale di Eitan, che tra l’altro non poteva espatriare se non accompagnato da lei o con la sua autorizzazione.

Intanto lo zio paterno, Or Nirko, al Corriere si dice non sorpreso: «Me lo sentivo che avrebbero fatto qualcosa di sporco per aggirare la legge italiana. Purtroppo i Peleg avevano in custodia il passaporto israeliano del bambino. La restituzione sarebbe stata stabilita dal giudice tutelare per il 30 agosto. Ma i nonni materni non lo avrebbero rispettato. Visto che non è stato revocato il diritto di visita – come avevamo chiesto – è andata come è andata

Tra l’altro ha anche aggiunto che sin da subito la famiglia della madre è stata irrispettosa nei loro confronti poiché «dicevano che con noi sarebbe cresciuto senza legami con la sua identità. Ma meglio vivere con una famiglia come quella? In Israele il nonno ha avuto una condanna per abusi domestici.». Intanto Peleg, andando contro al loro stesso avvocato, risponde affermando: «Lasciamo che siano gli avvocati a parlare. Noi pensiamo solo al benessere del bambino. Cosa avremmo potuto mai dirgli se, da grande, ci avesse rinfacciato di non averlo riportato in Israele, o almeno di aver tentato?».

Ci auguriamo Eitan possa tornare dalla sua zia, dai suoi cuginetti e da tutti i suoi amici qui in Italia, che sicuramente saranno capaci di amarlo e crescerlo al meglio. Perché per essere una famiglia non deve esserci per forza la religione, ma basta che ci siano l’amore e il rispetto, che un uomo denunciato e accusato di violenza domestica sicuramente non conosce.

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