La Corte di assise di Genova presieduta dal giudice Massimo Cusatti ha ufficialmente condannato in primo grado i due fratelli Alessio e Simone Scalamandré rispettivamente a 21 e 14 anni, con l’accusa di aver ucciso il padre Pasquale durante un litigio nella casa in cui i due abitavano insieme alla madre. I due sono stati accusati di omicidio volontario in concorso, aggravato dal vincolo di parentela, tuttavia non tutti sono d’accordo con la sentenza, in quanto il padre era una persona molto violenta.
In diverse occasioni abbiamo visto dei padri molto violenti venire uccisi dal proprio o dai propri figli per proteggere la propria madre. In altre occasioni è il figlio a morire per proteggere la madre, come nel caso di Mirko Farci, che è stato ucciso dal compagno della madre quando ha provato a difendere e salvare la vita alla donna. Nel caso dei fratelli Scalamandré, però, a morire è stato proprio il padre, indagato per maltrattamenti nei confronti della moglie e che era andato all’abitazione per chiedere al maggiore di ritirare le accuse nei suoi confronti.
Prima di raccontare la storia della famiglia Scalamandré, facciamo una premessa: nessuno merita di morire, nessuno deve prendersi il diritto di uccidere qualcuno. La legge dovrebbe funzionare e, sebbene in molti casi non sia così (lo vediamo, ad esempio, nei troppi femminicidi in cui le vittime avevano denunciato), non esistono i paladini o i supereroi che decidono di farsi giustizia da soli. Se però la giustizia avesse fatto il suo corso, il padre, che non poteva avvicinarsi né ai figli né alla moglie, non sarebbe dovuto essere in quell’edificio.
La tragedia, tra l’altro, è paragonata a quella di Alex Pompa, il 20enne di Collegno, Torino, che lo scorso novembre è stato assolto dalla Corte d’Assise di Torino per il parricidio (uccise il padre con 34 coltellate), in quanto il padre molestava ed era molto violento sia con la madre che con il fratello Loris. «Ho subito detto che mi ero pentito, so di non aver fatto una cosa bella. E potessi tornare indietro, preferirei morire io, ma eravamo arrivati a un livello tale che la violenza vissuta quella sera non può essere equiparata agli episodi di violenze vissuti prima», ha detto a Porta a Porta il ragazzo dopo essere stato assolto.
La storia di Alessio e Simone Scalamandré
Siamo al 10 agosto 2020 quando Pasquale Scalamandré, 62enne, viene ucciso dai due figli, Alessio e Simone. Pasquale era un marito violento e uno stalker, con il divieto di avvicinamento non solo all’ex moglie ma anche ai figli, per cui, quando è andato nell’abitazione dove abitano i familiari per chiedere loro di ritirare le accuse nei suoi confronti. I due ragazzi, ovviamente non accettarono e questo ha fatto esplodere una lita da cui, sfortunatamente, Pasquale non è uscito vito.
Prima di questo, però, Laura, la madre dei due ragazzi e la moglie della vittima, fa sapere di aver sopportato violenze e sopruso per tutti e quaranta gli anni di matrimonio, a cui non metteva fine proprio perché aveva paura della reazione del compagno. Quando però lui prese una rivoltella e l’ha minacciosamente poggiata sul tavolo della cucina, lei ha capito di dover chiedere aiuto a un centro antiviolenza. «Per evitare che papà la picchiasse, uno di noi restava a casa con lei», hanno spiegato Alessio e Simone.
Nonostante ciò, la donna ha più volte cercato rifugio e lui per quattro volte l’ha trovata, stalkerizzandola, fino a quel 10 agosto in cui i figli sono arrivati a uccidere il loro stesso padre per proteggere la madre. Ciò non toglie che l’omicidio sia sempre sbagliato, questo dobbiamo sempre sottolinearlo. «Un comma del ‘codice rosso’ impedisce al singolo giudice di valutare caso per caso le attenuanti. In questo vicenda del tutto evidenti», ha detto Luca Rinaldi, avvocato di Alessio, il figlio maggiore.
Nei giorni scorsi è poi arrivata la sentenza definitiva. Alessio e Simone Scalamandré erano indagati per omicidio volontario in concorso, aggravato dal vincolo di parentela, reato per il quale la pena minima è 21 anni (il pm Francesco Cardona aveva proprio chiesto 22 e 21 anni), e sono stati condannati per per 21 e 14 anni. Per il minore, Simone, è stato applicato l’articolo 114 del codice penale che fa riferimento al «contributo minimo» dell’imputato durante un reato in corso.
«Sentenza che rafforza la nostra convinzione sul fatto che i due imputati in maniera fredda e calcolata abbiano ucciso il loro padre», fanno sapere i legale della parte civile, Stefano Bertone, Irene Rebora e Greta Oliveri. La difesa aveva invece richiesto che il reato fosse visto dal punto della legittima difesa, ma la Corte d’assise non è stata d’accordo: «sarà uno dei tanti motivi di appello», ha commentato Luca Rinaldi.
Intanto sui social esistono già dei gruppi e pagine (Comitato Tutti per Alessio) per «sostenere e supportare Alessio, Simone e Laura attraverso iniziative solidali». Ieri hanno fatto sapere i tre «stanno bene, ma hanno bisogno, ora più che mai, dell’affetto e della vicinanza di tutti noi che li abbiamo sostenuti fin dall’inizio» e anche che «tra un paio di mesi sarà possibile fare ricorso in appello, cosa che succederà, perché qui nessuno ha intenzione di arrendersi».
Giulia, 26 anni, laureata in Filologia Italiana con una tesi sull’italiano standard e neostandard, “paladina delle cause perse” e studentessa di Didattica dell’Italiano Lingua non materna. Presidente di ESN Perugia e volontaria di Univox. Amo scrivere, leggere, guardare serie tv e anime, i gatti e seguire le giuste polemiche.
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