Polonia: pubblici ministeri fanno ricorso all’assoluzione di una drag queen

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Continua la lotta della Polonia contro la comunità LGBT, in particolare contro una drag queen che è stata assolta dall’accusa di pubblica istigazione a commettere l’omicidio di un arcivescovo omofobo. Cosa avrebbe fatto Marek M. (così viene chiamato dai media polacchi)? Durante un galà di fine anno nel 2019, vestito da drag queen, avrebbe simulato di tagliare la gola a una bambola gonfiabile con un coltello, a cui allegava una foto con la faccia dell’arcivescovo. Ma è andata davvero così?

Prima di parlare di questo caso molto particolare, facciamo un breve riassunto sulla situazione delle persone LGBT in Polonia. I problemi con le persone LGBT iniziano con l’introduzione della Carta della Famiglia polacca che però prendeva in considerazione solo la famiglia eterosessuale. Si sono aggiunte poi tante situazioni, come, ad esempio, i vescovi che volevano guarire gli omosessuali tramite delle cliniche create ad hoc. Il colmo lo si è però raggiunto con le LGBT-Free zones. L’ultima del PiS è stata l’istituzione del superprocuratore, ma andiamo passo passo.

Cosa sono le LGBT-Free zones? Sono delle città o addirittura comuni conservatori che hanno firmato delle dichiarazioni negli ultimi tre anni affermando di essere «liberi dall’ideologia LGBT» oppure semplicemente sostenendo il «matrimonio tradizionale», insomma, in altre parole, essendo degli omofobi. A riguardo si è anche espressa a marzo scorso Ursula von der Leyen, Presidente della commissione europea, che in un tweet ha scritto «Essere noi stessi non è un’ideologia. È un’identità. Nessuno può portarcelo via», allegando la bandiera LGBT.

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Per questo l’Unione Europea ha deciso di intervenire. «L’uguaglianza e il rispetto della dignità e dei diritti umani sono valori fondamentali dell’Ue, sanciti dall’articolo 2 del trattato dell’Unione europea. La Commissione utilizzerà tutti gli strumenti a sua disposizione per difendere questi valori», scrisse l’esecutivo europeo annunciando l’avvio della procedura d’infrazione. Insieme alla Polonia c’è anche l’Ungheria, che sicuramente non è messa meglio della prima.

Ma dalla Polonia arrivano delle lamentele da parte di Jan Duda, presidente dell’assemblea regionale di Małopolska con un’idea molto chiara sul non da farsi: «Alcuni barbari vogliono spogliarci dei fondi che sono cruciali per le nostre famiglie per vivere bene, ma questi sono soldi che ci meritiamo, non è una sorta di carità», ha detto il padre del Presidente, sostenuto anche dall’arcivescovo Marek Jędraszewski (è colui che in passato paragonò l’omosessualità alla peste nera) che durante un sermone domenicale ha affermato che «la libertà ha il suo prezzo. Questo prezzo include l’onore e non si può comprare mettendo in svendita i propri valori, i nostri valori nazionali cristiani». 

Il superprocuratore, dal suo canto, va sia contro i diritti delle persone LGBT che da parte delle donne per quanto riguarda l’aborto. Marta Lempart, cofondatrice dello “Sciopero delle donne” che per mesi e anni è stata in piazza per lottare per i diritti delle donne polacche, ha parlato con La Repubblica, spiegando che adesso con questa figura «potranno sorvegliare le donne per capire se vogliono abortire o prendere la pillola del giorno dopo, perseguitare le famiglie arcobaleno, strappare i figli alle persone Lgbtq+, impedire divorzi. Stanno chiudendo il cerchio».

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Polonia: procuratore distrettuale fa ricorso al tribunale di Poznań

Una portavoce dell’ufficio del procuratore distrettuale di Varsavia, Aleksandra Skrzyniarz, ha informato che l’ufficio del procuratore distrettuale di Varsavia il 29 luglio 2022 ha presentato ricorso al tribunale distrettuale di Poznań contro la sentenza del 24 giugno 2022, in cui l’imputato Marek M. è stato assolto dall’atto di cui era accusato – pubblica istigazione a commettere l’omicidio di un arcivescovo della Chiesa cattolica romana, all’odio sulla base di differenze confessionali e oltraggio a un ecclesiastico e ad altre persone di questa fede a causa della loro appartenenza confessionale.

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C’è comunque da dire che quando si bruciano bandiere arcobaleno, si picchiano persone durante un Pride o si dice che queste persone vanno curate, nessuno della politica in Polonia si indigna così tanto. Ovviamente, non voglio dire che quello fatto dalla drag queen sia corretto, in quanto non si risponde all’odio con odio e avrebbe dimostrato molta più maturità semplicemente rispondendo al discorso omofobo del vescovo, in cui aveva definito il Pride la “peste arcobaleno“, paragonandola a quella rossa del bolscevismo, tuttavia bisognerebbe agire nello stesso modo per entrambe le parti.

Il vescovo Marek Jędraszewski non è popolare per essere una persona che rispetta i diritti umani. Ha più volte attaccato la famosa “ideologia LGBT“, paragonandola (senza senso) al nazismo e al comunismo. E per questo motivo Marek M., nei panni della sua drag queen Mariolkaa Rebell, lo ha attaccato, ballando su una canzone pop con una frase che diceva “l’ho ucciso con tutte le mie forze“, simulando anche l’omicidio. E per questo è stato accusato di incitamento pubblico a commettere omicidi, di odio religioso e di oltraggio ai cattolici.

Ma in un processo tenutosi a giugno, il tribunale distrettuale di Poznań aveva ritenuto l’imputato non colpevole. La giudice Agata Trzcinska ha ritenuto che i pubblici ministeri non possedessero delle prove, in quanto non c’erano registrazioni o testimoni diretti, ma le accuse erano fondate solo sui racconti dei media, senza neanche domandarsi se i giornalisti fossero effettivamente presenti o no allo spettacolo. Persino Marek M. ha negato la decapitazione della bambola, dicendo solo di aver ballato e perforato la sacca di sangue con le forbici, simbolo che l’arcivescovo aveva ferito il suo cuore con le dichiarazioni LGBT.

Il tribunale «si è basato in linea di principio solo sul conto dell’imputato, il quale ha indicato di non voler incitare all’odio, e il suo comportamento è stato solo una reazione alle parole del monsignor ha pronunciato il 1 agosto 2019 durante la messa in occasione del 75° anniversario dello scoppio della rivolta di Varsavia». Secondo la procura, però, il verbale del processo dell’imputato era solo una manifestazione della linea di difesa da lui adottata, che il tribunale aveva erroneamente ritenuto veritiero.

Skrzyniarz ritiene che «l’analisi delle foto in cui è stato immortalato l’atto dell’imputato porta alla conclusione che le persone riunite nel locale in quel momento non hanno assistito a un atto di performance artistica pacifica e non aggressiva, il cui scopo era quello di esprimere le proprie opinioni, ma una simulazione pianificata dell’omicidio di un rappresentante specifico della Chiesa cattolica romana, causato dalla riluttanza dovuta alla sua precedente dichiarazione. L’atteggiamento e le espressioni facciali dell’imputato indicano chiaramente che durante l’incidente non ha espresso alcun dolore legato alla dichiarazione del sacerdote, ma ha emanato emozioni negative, come rabbia o odio».

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Ha aggiungere che «questa percezione della performance è supportata non solo dagli oggetti di scena utilizzati a questo scopo sotto forma di forbici e sangue artificiale, ma soprattutto dal testo della canzone che è suonato durante la messa in scena. D’altra parte, il modo di utilizzare l’immagine di un sacerdote ballando in costume da drag queen con una bambola gonfiabile nuda con l’immagine del volto della vittima incollata alla testa, insieme al contenuto veicolato, dimostra che l’arcivescovo è stato insultato a causa della sua appartenenza religiosa».

Per questo motivo, i pubblici ministeri ritengono che la corte «abbia effettuato conclusioni fattuali errate, prive di obiettività e contrarie ai principi della logica». Della stessa opinione è il procuratore generale e ministro della giustizia, Zbigniew Ziobro, che ritiene che questa vicenda «va oltre tutti gli standard [accettabili] e danneggia l’immagine della magistratura polacca». Addirittura, ha detto che «è imbarazzante avere dei giudici del genere in Polonia». Marek M. invece è stato descritto come un «soggetto depravato che ha perpetrato un comportamento disgustoso».

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