È la seconda, forse la terza, volta che una donna nell’ultimo anno sceglie di affidare i propri figli a un ospedale scegliendo un parto in anonimato, e alla fine la sua storia finisce su tutte le più grandi testate italiane con il titolo “donna abbandona il figlio“. Ripetiamolo tutto insieme: lo ha partito in ospedale e ha stabilito di non potersene prendere cura, e quindi lo ha affidato a qualcuno che potrà farlo. Quando si va contro l’aborto, si dice che si può partorire e poi dare in adozione. Quando si dà in adozione, si dice che si deve tenere i propri figli. Allora dite direttamente che volete che le donne siano madri, e la chiudiamo qui.
Il caso più celebre è quello avvenuto lo scorso aprile, quando bambino di nome Enea viene lasciato nella Culla per la vita, ovvero «una struttura concepita appositamente per permettere di lasciare, totalmente protetti, i neonati da parte delle mamme in difficoltà nel pieno rispetto della sicurezza del bambino e della privacy di chi lo deposita». Sulsito delleCulle per la vitasi sottolinea con un grassetto che «garantisce l’anonimato della mamma che vuole lasciare il bambino», eppure prima le testate hanno deciso di condividere la notizia e addirittura una parte della lettera che la donna aveva scritto al bambino.
Quando una donna decide di dare in adozione il bambino che ha partorito, può averlo deciso per diverse condizione, che vanno da quelle economiche, al fatto che il padre del bambino è pericoloso, o ancora perché sarebbe una madre single, perché è troppo giovane e vive in una famiglia bigotta che non l’accetterebbe, perché semplicemente non voleva essere una madre. Eppure in quella situazione divenne un vero e proprio caso mediatico, addirittura con un messaggio da parte di Ezio Greggio che la prega di ritornare sui suoi passi e riprendere «il tuo bambino che è bellissimo e si merita di avere la mamma vera, non una mamma che poi dovrà occuparsene ma non è la mamma vera».
Il problema dell’Italia è che ancora non ha compreso che una madre è una persona che ti ama, ti rispetta e ti aiuta a crescere. Non è solo la persona che ti ha partorito. E nonostante ciò, nonostante non sia la prima volta che si parla di una notizia del genere e delle persone cercano di far comprendere il problema, ecco di nuovo le testate pronte a contestare la scelta di una donna e a parlare di abbandono come se non avesse partorito in un ospedale, un luogo sicuro, affidando poi i figli (nel caso di oggi sono due gemelli) a delle persone che se ne sarebbero prese cura. Abbandonare è buttare il bambino fra i rifiuti.
Il parto in anonimato ma non per la donna che ha partorito
La notizia riguarda una donna di 32 anni tossicodipendente che ha partorito nell’ospedale di Palermo due gemellini, un maschio e una femmina, e poi ha deciso di non riconoscerli e quindi li ha lasciati alle cure dell’ospedale per farli adottare da chi sicuramente sarà capace di amarli come dei genitori dovrebbero fare. Su DayItaliaNews, che non è sicuramente una delle testate più conosciute, ma che risulta fra i primi risultati di Google per la notizia, nel primo paragrafo dell’articolo la storia della donna che ha affidato i due gemellini all’ospedale è paragonata alla ragazza di 23 anni che a Taranto ha abbandonato il figlio neonato fra i rifiuti.
Andiamo sulla pagina del governo dedicata al “Parto in anonimato“: «La donna che non riconosce e il neonato sono i due soggetti che la legge deve tutelare, intesi come persone distinte, ognuno con specifici diritti. La legge consente alla madre di non riconoscere il bambino e di lasciarlo nell’ospedale in cui è nato (DPR 396/2000, art. 30, comma 2) affinché sia assicurata l’assistenza e anche la sua tutela giuridica. Il nome della madre rimane per sempre segreto e nell’atto di nascita del bambino viene scritto “nato da donna che non consente di essere nominata”».
L’articolo 30 della legge 396/2000 prevede che tutti i bambini nati in un ospedale possano essere riconosciuti entro 3 giorni dalla nascita, oppure entro 10 giorni presso il comune di nascita del bambino oppure di residenza della madre. Nel momento in cui vengono dichiarati adottabili, la famiglia biologica mantiene sempre un ruolo di primaria importanza e avrà sempre la precedenza su qualsiasi candidato “esterno”. «Il neonato vede così garantito il diritto a crescere ed essere educato in famiglia e assume lo status di figlio legittimo dei genitori che lo hanno adottato», e devono sempre essere omessi elementi identificativi della madre.
Ci chiediamo, a questo punto, perché si parli e si continui a parlare costantemente in primis di bambini abbandonati quando è un servizio consentito dalla legge italiana e a cui ogni donna e famiglia ha diritto se non si sente di poter mantenere o poter dare una buona vita al neonato, in secundis perché nel momento in cui si dà in adozione un bambino si cominci a parlare di rintracciare la madre per farla tornare sui suoi passi oppure la si accusi di non essere una brava persona, quando la realtà è che, semplicemente, ha fatto un favore ai propri figli dando loro una vita con una famiglia che sicuramente li amerà e in cui saranno molto voluti.
noi queste cose però non dovremmo neanche venire a saperle, chi ha fatto uscire la notizia dall'ospedale come se non fossero cose estremamente private e chi sta scrivendo articoli sulla vicenda dovrebbe come minimo perdere il lavoro imo https://t.co/iXq16YzOLa
— s🆎 (@thirtyyninety) September 7, 2023
Sempre perché le parole sono importanti, la donna, come suo diritto tutelato dalla legge, ha Affidato i suoi figli al personale ospedaliero. L'abbandono è altra cosa. https://t.co/51TcglevtJ
— 📚Daniela, Rubry Rubacuori 🏳️🌈✨🇺🇦 (@dani_lettrice) September 7, 2023
Adesso vi spiego cosa dovreste fare in questi casi: non scriverci su nessun articolo, rispettare l'anonimato e garantire a queste creature di crescere senza ritrovare un tweet di vent'anni prima in cui degli estranei parlano della loro vita e giudicano la loro mamma https://t.co/DBW41vjuSE
— Emma Carstairs 🎃🎄✨📚💕 (@TessaTrisRose) September 7, 2023
Giulia, 26 anni, laureata in Filologia Italiana con una tesi sull’italiano standard e neostandard, “paladina delle cause perse” e studentessa di Didattica dell’Italiano Lingua non materna. Presidente di ESN Perugia e volontaria di Univox. Amo scrivere, leggere, guardare serie tv e anime, i gatti e seguire le giuste polemiche.
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