La storia del “piccolo Enea” è sconvolgente, ma solo per come l’hanno romanzata i media e gli uomini

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Non è sconvolgente che una donna abbia scelto di dare al proprio figlio una vita migliore che lei evidentemente non sarebbe riuscita a dargli. Non è sconvolgente che l’abbia lasciato nella “Culla per la vita” un luogo sicuro, in una clinica, che dovrebbe garantire l’anonimato. Dovrebbe, perché da quando il piccolo Enea è stato lasciato dalla madre, è scattata la caccia alle streghe. Una notizia del genere, una notizia con una persona che vuole rimanere anonima, sbandierata sui TG nazionali nel giorno di Pasqua e Pasquetta, su tutte le testate e addirittura con appelli fatti da uomini che parlano di “madri vere“. Ma vergognati, Italia.

Il giorno di Pasqua un bambino di nome Enea viene lasciato nella Culla per la vita, ovvero «una struttura concepita appositamente per permettere di lasciare, totalmente protetti, i neonati da parte delle mamme in difficoltà nel pieno rispetto della sicurezza del bambino e della privacy di chi lo deposita». È evidente, però, che viviamo in un’Italia in cui la notizia, il click, la notorietà, è più importante dell’etica professionale che dovrebbe semplicemente proteggere e rispettare la scelta delle donne. Perché, poi di questo ne parleremo, è evidente che la donna qualsiasi cosa faccia venga criticata. Una donna deve essere madre e basta per essere accettata.

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Sul sito delle Culle per la vita si sottolinea con un grassetto che «garantisce l’anonimato della mamma che vuole lasciare il bambino»: allora i primari e i responsabili vogliono spiegarci in che modo la notizia è arrivata alla stampa con tutte quelle informazioni, fra cui nome e addirittura peso del bambino? E soprattutto perché adesso si sta facendo di tutto e di più per convincere la donna a ritornare a prendere il bambino? Perché si dà per scontato che voglia quel bambino?

Può averlo abbandonato per condizioni economiche sgradevoli, perché il padre del bambino è pericoloso, perché sarebbe una madre single, perché è troppo giovane e vive in una famiglia bigotta che non l’accetterebbe, perché semplicemente non voleva essere una madre. Ci sono così tante possibilità e pensare che solo la madre biologica può crescere un bambino ci fa capire quanto il nostro Paese sia arretrato. Una madre è una persona che ti ama, ti rispetta e ti aiuta a crescere. Non è solo la persona che ti ha partorito. Ma è evidente che chi ritiene che la famiglia sia solo formata da un padre e una madre, questo non potrà mai capirlo.

Cosa non va nella notizia del “piccolo Enea”

Non c’è una singola cosa che sia moralmente corretta in questa notizia. Non c’è una singola persona che abbia realmente rispettato la donna che ha abbandonato il bambino. Partendo da chi nell’ospedale ha dato la notizia in pasto ai media che, lo sappiamo, sono sempre alla ricerca della notizia strappalacrime (poi, figuriamoci, il giorno di Pasqua!), passando per i giornali che non si sono neanche posti la domanda su quanto fosse moralmente corretto parlare di una storia di una persona che vuole l’anonimato, e concludendo con Ezio Greggio (e il suo discorso non ha una singola cosa giusta). Ma andiamo passo passo.

La notizia di per sé

Una donna arriva ad abbandonare il figlio. Lo porta in grembo per nove mesi, probabilmente ci passa anche una settimana in quanto il medico ha detto che Enea ha una settimana di vita circa, ha tutto il tempo per pensare, ragionare e prendere questa difficilissima decisione. Trova il coraggio di lasciarlo in un posto sicuro, con tutto il dolore psicologico che comporta… E poi va al pranzo pasquale magari con la sua famiglia, e si trova appelli e soprattutto la notizia su ogni TG e su ogni testata. Voi non pensate alla salute mentale delle persone.

Un servizio che garantisce l’anonimato non può proprio permettersi di sbandierare ai quattro venti una notizia del genere, condividendo il nome del bambino, il luogo in cui è stato lasciato e anche un pezzo della lettera da cui si potrebbe benissimo risalire alla donna che non vuole finire sotto i riflettori ma vuole semplicemente continuare con la propria vita. Come al solito, il rispetto per le donne e per le loro scelte viene dopo qualsiasi altra cosa. Perché essere madre, in Italia, è più importante di essere donna.

L’analisi passo passo della lettera

La donna, prima di abbandonare Enea, ha scritto una “letterina“. Dice il nome del bambino, che è sano, che hanno passato del tempo insieme e si firma come “mamma“. E da questo, testate di destra, che poi hanno ovviamente cominciato a fare le frecciatine su come lei sia stata brava perché pur non volendo il bambino non l’ha abortito, hanno cominciato a fare l’analisi. “È scritta in prima persona“, “la lettera è più lunga ma ne è stata divulgata solo una parte“, “grande affetto ed estrema dolcezza“, “coccole“… Ma stiamo parlando di una lettera d’addio di una donna al proprio figlio o di un componimento di Manzoni?

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Gli appelli

Dalla lettera, in molti hanno compreso che si parla di una “giovane donna” che probabilmente è in condizioni economiche non favorevoli e quindi ha dovuto abbandonare il figlio pur volendolo. Questo è quello che hanno compreso i detective dei giornali. E da qui, quindi, partono gli appelli dagli uomini verso la donna, perché nessuno ha fatto l’appello al padre del bambino, non c’è stata una singola persona che si sia rivolta a chi la donna l’ha ingravidata e poi, forse, abbandonata, considerando che nella lettera non si fa proprio riferimento alla sua figura.

A parte il sessismo, gli appelli per far tornare una donna che lascia il proprio figlio in una struttura che dovrebbe garantire l’anonimato sono quanto di più disgustoso, irrispettoso e fallimentare che c’è. Non si prende mai in considerazione quello che una donna vuole: abortisce? Avrebbe potuto darlo in adozione. Lo dà in adozione? Ma può tenerlo, la aiutiamo noi. Lo tiene ma non riesce a stare con lui 24/7 perché deve lavorare per mantenere il bambino? È una cattiva madre. Qualsiasi cosa la donna faccia, agli uomini e alle mamme pancine non andrà mai bene.

Ezio Greggio

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Ezio Greggio merita proprio un punto per sé perché non c’è una cosa che nel suo appello vada bene. Vuole «dire alla mamma di tornare indietro, di tornare all’ospedale Mangiagalli dove tutto il reparto la sta aspettando nell’anonimato, nessuno dirà nulla (nomi, cognomi)»: ma come fa la donna a fidarsi di una struttura che ha sbandierato la sua storia e quella del suo bambino a letteralmente tutta Italia? Non ci si rende conto neanche dell’incoerenza di queste parole? Poi parla della sua associazione per bambini prematuri, dice che le daranno una mano.

«Mamma di Enea, torna sui tuoi passi; domani, stasera, stanotte, torna all’ospedale Mangiagalli, prendi il tuo bambino che è bellissimo e si merita di avere la mamma vera, non una mamma che poi dovrà occuparsene ma non è la mamma vera. Ci contiamo, ci conto tanto», conclude. Ma cosa ho appena letto? Mamma vera? Una madre è una persona che ti ama, ti rispetta e si prende cura di te con tanto amore, non è per forza la persona che ti ha partorito. Anche perché, lo sappiamo benissimo purtroppo, ci sono madri biologiche che hanno ucciso i propri figli (vedi: La morte della piccola Diana: abbandonata dalla madre, Elena Del Pozzo: la confessione della madre).

La madre biologica del piccolo Enea lo ha lasciato all’ospedale per far sì che un’altra famiglia si occupi di lui e possa dargli la gioia e la serenità che lei evidentemente non riuscirebbe a dargli. Lo ha lasciato in ospedale, al sicuro, per far sì che un’altra mamma possa amarlo.

Italia, vergognati. Vergognati perché preferisci umiliare e non rispettare minimamente la scelta delle donne qualsiasi scelta sia. Vergognati perché non accetti che un bambino possa essere felice anche con qualcuno che non sia la persona che lo ha partorito. Vergognati perché parli sempre di famiglia tradizionale, ma nel momento in cui un bambino viene abbandonato parli solamente della madre e non citi neanche per sbaglio il padre che, evidentemente, non ha alcuna colpa a prescindere. Vergognati, e vergognatevi tutti voi che avete lanciato appelli e non avete rispettato le scelte di una persona.

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