Molly Russell: il suicidio nel 2017 è stato causato dai contenuti letti online

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Nel 2017 Molly Russell si è tolta la vita. Ha cenato con la sua famiglia a Harrow, quartiere a nord-ovest di Londra e poi hanno guardato insieme la tv. Tutto sembrava normale, per la madre della 14enne. Tuttavia, la mattina dopo, ha trovato la figlia morta in camera. Adesso, dopo anni di lotta da parte dei genitori, per la prima volta nella storia del Paese, un medico legale ha scritto come causa di morte «gli effetti negativi dei contenuti online». La giustizia in questo caso non riporterà Molly indietro, ma aiuterà dei genitori a non subire il calvario di Ian e Janet Russell.

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Jonathan Clifford per il New York Times

Solo stamani abbiamo parlato del tentato suicidio di un’adolescente a scuola, tagliandosi i polsi, evidenziando il problema della salute mentale che è un problema in Italia come anche nel resto del mondo, in particolare dopo la pandemia da Covid-19 che ci ha costretti a cambiare radicalmente tutte le nostre abitudini. Qualcuno, poi, ha reagito peggio di altri, e lo si legge nei dati dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma riferisce di una crescita “esponenziale” negli ultimi 10 anni degli accessi al pronto soccorso per comportamenti suicidari da parte di giovanissimi.

Negli ultimi due anni, con la pandemia, i casi di suicidio o tentativo suicidio sono aumentati del 75% rispetto al biennio precedente, e per l’autolesionismo i casi sono aumentati del 60%. Più dell’80% dei tentativi di suicidio sono da parte di bambine e ragazze, l’età media è di 15 anni. Molly Russell, però, alla pandemia non c’è arrivata. Lei si è suicidata nel 2017, dopo aver visto almeno 2.100 post e 138 video negativi e pericolosi su Instagram e Pinterest, social di immagini che sicuramente adesso risultano essere più sicuri rispetto a prima, ma di certo non salvi.

Oggi si parla molto di sicurezza online, ci sono persino delle petizioni contro TikTok, con 24k firme e che è stata consegnata al Ministero dell’Istruzione. «Antonella, Valerio, Jacob, Igor… in aumento e sempre più ravvicinati i casi drammatici che hanno visto bambini perdere la vita a causa di pericolose “sfide” lanciate sulla piattaforma TikTok», scrivono nell’appello, spiegando che la piattaforma ha «perso il controllo sui propri utenti e sui propri contenuti». Il social comunque ha già iniziato a mobilitarsi per evitare che situazioni del genere si possano ripetere.

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La sentenza sul suicidio di Molly Russell

Molly è stata uccisa dai social. «Molly Rose Russell è morta per un atto di autolesionismo mentre soffriva di depressione e degli effetti negativi dei contenuti online», ha detto il coroner, Andrew Walker. Piuttosto che classificare ufficialmente la sua morte come un suicidio, ha affermato che Internet «ha influenzato la sua salute mentale in modo negativo e ha contribuito alla sua morte in un modo più che minimo». Questa è la conclusione di una lunga battaglia legale fra la famiglia Russell ad alcune delle più grandi aziende della Silicon Valley.

Un dirigente di Meta ha dovuto affrontare una domanda scomoda: la sua compagnia ha contribuito al suicidio di una quattordicenne di nome Molly Russell? E poi sono state mostrate le immagini e i video di suicidio, autolesionismo e contenuti depressivi che l’adolescente ha visto nei mesi prima della sua morte nel novembre 2017. È stato anche letto un post a cui Molly aveva messo mi piace, in cui si parla di disprezzo per se stessi. «Questo è Instagram che dà letteralmente idee a Molly», ha detto l’avvocato Sanders, che rappresenta la famiglia.

Tuttavia, Elizabeth Lagone, che guida la politica per la salute e il benessere di Meta, ha risposto di non poter «parlare di ciò che stava succedendo nella mente di Molly». Indubbiamente, Instagram non ha ucciso Molly Russell e che sicuramente per suicidarsi soffriva di depressione. Ma è inevitabile che vedere tutti quei contenuti, uno dopo l’altro, non l’abbia aiutata a guarire e a sentirsi meglio con se stessa. Ed è d’accordo il coroner, che ha stabilito che Instagram e altre piattaforme di social media hanno contribuito alla sua morte.

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Jonathan Clifford per il New York Times

Con precisione, ha detto che «è probabile che questi periodi abbiano avuto un effetto negativo su Molly. Alcuni di questi contenuti hanno romanzato atti di autolesionismo da parte di giovani. Altri hanno cercato di scoraggiare la discussione con coloro che avrebbero potuto dare un aiuto. In alcuni casi, il contenuto era particolarmente realistico, impressionante, e ritraeva il suicidio come una inevitabile conseguenza di una condizione da cui non è possibile uscire.  probabile che il materiale visto da Molly, già affetta da una malattia depressiva e vulnerabile a causa della sua età, abbia influenzato la sua salute mentale in modo negativo e abbia contribuito alla sua morte in modo non secondario».

Tra l’altro, uno psicologo infantile chiamato come testimone esperto ha detto che il materiale visto online da Molly Russell era così “inquietante” e “angosciante” che gli ha fatto perdere il sonno per settimane. E per questo motivo nel parlamento britannico si fa strada un disegno di legge ispirato alla morte di Molly, che costringe i social media ad adottare nuove protezioni per la sicurezza dei bambini o rischiare pesanti multe. Instagram e Pinterest hanno già limitato l’accesso ad alcuni contenuti suicidi e autolesionistici.

«È tempo di proteggere i nostri giovani innocenti invece di consentire alle piattaforme social di dare priorità ai loro profitti, facendo soldi sul dolore dei ragazzi», ha detto Ian Russell, padre di Molly Russell. Anche il principe William si è espresso sulla vicenda con un comunicato: «Nessun genitore dovrebbe mai sopportare ciò che la famiglia Russell ha passato. Sono stati incredibilmente coraggiosi. La sicurezza online per i nostri bambini e giovani deve essere un prerequisito, non un aspetto secondario».

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